Teatro La ribalta di legno
«Le quinte di stoffa con le porte in rilievo, le finestre di vetro dipinto, i vasi coi fiori di carta. In alto una lampada faceva da giorno mentre la notte veniva con la parola “notte”. In terra, una botola, dalla ribalta portava sul retro, dov’erano pronti gli attori».
Potenza visionaria delle immagini costruite in scena, la parola ridotta all’afasia, a parlare sono la scena ed i corpi che la abitano. Titanic (The End) di Antonio Neiwiller, nella riproposizione di Salvatore Cantalupo – nel ventennale della scomparsa dell'autore – è visione che abbacina, magnete che attira su di sé sensazioni tirandole dalla platea, quella platea che viene più volte traversata dallo stesso Cantalupo, traghettatore su un ideale ponte (di comando) fra i due poli della visione, regista in scena di una compagnia alle prese con la deriva del tempo, ad un tempo nostromo di una nave di disperati e caporale che dei loro gesti dispone al suono d’una sirena.
Guai a chi non sa portare la propria maschera!
Written by Pasquale Vitale“Per me io sono colui che mi si crede"
Un uomo, durante una mascherata in costume, impazzisce e crede di essere il personaggio che interpretava alla festa, ovvero l’imperatore Enrico IV di Germania. Attorno a lui si avvicendano i funzionari di un ospedale psichiatrico che, pur di evitarne la chiusura, assecondano le false figurazioni di chi, oppresso dal ruolo sociale e dalla maschera, è uscito da una “forma” per assumerne un’altra.
Le vie (d'uscita) del Signore sono finite
Written by Arianna EspositoMetti un testo di Manlio Santanelli che da trent’anni unisce buona parte di critica e pubblico sia in Italia che all’estero, affida la scena a due interpreti come Ernesto Mahieux e Rino Di Martino, cresciuti a pane e teatro, e otterrai una commedia brillante, divertente, sebbene venata dalle note malinconiche del passato.
“Per la visita agli internati i parenti degli stessi sono pregati di raggiungere la cella 406 situata sul retro dell’edificio. Grazie per la collaborazione.”
Dal foyer penetriamo dietro il palco. La luce è poca. Dietro ogni apertura, dietro teli di cellophane trasparente, degli esseri umani, da soli o in gruppo, ma sempre soli. Urlano, si muovono in maniera incontrollata, ridono, tremano, sbattono la testa. Facciamo rapidamente la nostra visita, forse proprio come i parenti dei pazienti psichiatrici, quando rendono loro visita.
Lei entra in scena con una vestaglia bianca e le ciabattine rosse. Si muove delicata su una musica dolce come quella di un carillon. Sembra la bambolina che danza nella scatola con lo specchietto sotto il coperchio, solo che lei non fa delle pirouettes, piega i panni e lo specchio che ha alle spalle è deforme. Sul palco con lei una sedia e un attaccapanni, il cosiddetto uomo morto.
Un grido, uno squarcio. Tre storie, tre quadri, tre modi diversi di urlare un fremito di rivolta. Marina Confalone torna in scena, in formazione con Giovanni Martino e Mario Di Fonzo, per affrescare in ribalta una quadreria partenopea che ha il gusto amarognolo del disincanto e, perché no, anche del livore sotteso all’amore che si porta per una città come Napoli, matrigna e crudele.
L’insistenza dello sguardo va continuamente alla scena e, precisamente, all’elemento fisso che fa da fondo del palco e che è una scenografia dietro la scenografia: alte palizzate disegnate con tratto nero e colori tra il grigio chiaro e il grigio scuro, a rappresentare (in maniera dichiaratamente fasulla) un qualsiasi casermone di un quartiere qualsiasi di chissà quale città. Le finestre sono chiuse, come sigillate perché non vi passi aria; non vi sono tracce di vita all’esterno (né fiori, né abiti stesi ad asciugare, non una testa che faccia capolino da una vetrata); non si nota neanche una macchia di colore: solo grigio chiaro, solo grigio scuro. Uno, due, tre, quattro facciate ben disposte in orizzontale lungo tutta l’ampiezza del palco; in alto sulla destra si percepisce la stilizzazione di una grande arcata, negli angoli vi sono dei tubi calcati in rilievo, mezzo tondi.
- L'amore è un cane blu
- La conquista dell'Est
- Paolo Rossi
- Stefano Dongetti
- Alessandro Mizzi
- Riccardo Piferi
- I Virtuosi del Carso
- Emanuele Dell'Aquila
- Alex Orciani
- Stefan Bembi
- Denic Beganovic
- Mariaberta Blašković
- David Morgan
- Gioia Casale
- La Corte Ospitale
- Teatro Bellini
- Il Carso
- Friuli Venezia Giulia
- memnoria personale
- tradizione
- concerto spettacolo
- satira politica
- alessandro toppi
- Il Pickwick
Esiste un passato che allunga la propria ombra sul presente con la cupezza sinistra degli scenari macabri; esiste un passato, nella storia di un Paese, le cui torbide vicende, i cui misteri insoluti, le cui occulte sfere, s’allungano ancora e ancora s‘allungheranno sulla storia patria disegnando un’ombra malevola e subdola, nella cui oscurità il sotterfugio, la collusione, il malaffare hanno potuto liberamente proliferare.
Partitura per uomo solo – Riti e danza alla Limonaia
Written by Simona PerrellaDa più di dieci anni Company Blu, associazione culturale e compagnia tersicorea di Sesto Fiorentino, diretta da Alessandro Certini e Charlotte Zerbey, organizza il Festival Dinamiche scomposte presso il Teatro della Limonaia. Il posto è molto interessante, la limonaia di una nobile villa di Sesto, e l’accoglienza artistica ed umana è davvero calorosa. L’edizione di quest’anno è stata aperta dall’assolo di Peter Jasko, uno dei componenti del Collettivo Les Slovaks. Il gruppo slovacco, infatti, è conosciuto per una potente energia ed una ricerca drammaturgica individuale molto marcata, tra il tragico ed il comico, sfruttando al massimo la ricerca di differenti qualità di movimento, in un clima molto giocoso e soprattutto collaborativo, in cui lo spirito del gruppo non viene mai messo da parte. Inoltre il danzatore ha lavorato con Sidi Larbi Cherkaoui e David Zambrano.
- Alberi
- Fabrizio Favale
- Jari Boldrini
- Andrea Del Bianco
- Stefano Roveda
- Teho Teardo
- Alberto Trebbi
- Le Supplici
- Teatro della Limonaia
- Sesto Fiorentino
- Dinamiche scomposte 2013
- Sesto Tram
- The Invisible Traces Experiment
- riti sacri
- riti naturali
- danza religiosa
- danza cerimoniale
- geometrie coreografiche contemporanee
- simona perrella
- Il Pickwick
- Solo 2009
- Company Blu
- Alessandro Certini
- Charlotte Zerbey
- Peter Jasko
- Les Slovaks
- David Zambrano
- Sidi Larbi Cherkaoui
- Pëtr Il'ič Čajkovskij
- Josef Vik
- Simon Thierrée
- Joris De Bolle
Il 1˚ novembre, al Teatro Paisiello di Lecce, l’Associazione Italiana Critici di Teatro presieduta da Giulio Baffi e le riviste Hystrio, Inscenaonline, Teatri delle diversità hanno assegnato i premi della critica e delle riviste a registi, attori, drammaturghi, festival, studiosi, creatori di luce e a tutti coloro che contribuiscono a far crescere il teatro contemporaneo. La serata era inserita all’interno dell’Assemblea Nazionale dei Critici di Teatro per il progetto Le parole del teatro di Walls-Separate worlds della compagnia Astràgali di Lecce.
Il pubblico era prevalentemente composto da addetti ai lavori, ma l’ora e mezza della premiazione è trascorsa simpaticamente in compagnia di un Giulio Baffi nell’inedita veste di presentatore “non professionista” che confondeva l’ordine della scaletta, cercava le email sul cellulare per leggere i ringraziamenti dei premiati assenti e, con leggerezza e sinteticità, ha conduceva la serata.
- Associazione Nazionale Critici di Teatro
- Giulio Baffi
- Premi della Critica 2013
- Teatro Paisiello
- WallsSeparate Worlds
- Astragali Teatro
- Teatro Pubblico Pugliese
- Lecce
- Teatri abitati
- imma villa
- Teatro Le Nuvole
- Roberto Zappalà
- Mario Martone
- Roberto Herlitzka
- nanni garella
- Alfredo Arias
- Neon Teatri
- Daria De Florian
- Ludovica Radif
- Paola Spedaliere
- Il Pickwick
Per prendere posto al Théâtre de Poche dobbiamo attraversare il palco. Questo ci permette di entrare fisicamente in casa di Stephanie. Passiamo accanto al tavolo con due sedie, accanto al divanetto per due, al tavolino col telefono. Siamo pochi in sala. Siamo invitati privilegiati in casa della maestra che fa ritorno dal lavoro dopo aver camminato nella neve. Il luogo è accogliente, sia per la sala con il piccolo palco, sia per l’allegria di Stephanie che parla a noi più di quanto faccia al marito Sheldon. Ci rendiamo conto col passar del tempo, infatti, che Sheldon non c’è. C’è Stephanie e ci siamo noi a guardarla e ascoltarla. Squarciata la parete del corpo, c’è un’altra casa. È quella dei pensieri di lei, la sede della sua anima. Questa casa è la meno accogliente per noi. Essa è continuamente scossa dalle sensazioni provocate dagli eventi, ruota nel turbinio dei ricordi come se fosse stata portata via da un ciclone. Nonostante questo, è una casa che si mostra ai nostri occhi senza veli ma su di un telo rosso. L’inchiostro compone e scompone i pensieri, ricrea quei fantasmi del passato che ritornano vivi e feriscono.
Il tentativo di questo Pierre e Jean è di operare in riduzione e scarnificazione dell’opera – via ogni possibile orpello scenico, via ogni ingombro d’inchiostro – senza rinunciare ai temi e agli umori che vi appartengono. Compattezza, velocità, accelerazione ritmata, attenzione alla micromimica facciale e gestuale, alternanza dei toni, dichiarazione esplicita del fasullo con uno sguardo diretto alla platea, doubling perché quattro personaggi – per due attori – siano vedibili, ne sono le caratteristiche fondanti. Assistiamo così ad una vertiginosa interpretazione che, quasi ruotando su se stessa di continuo, genera un costante cambio di rapporti, dialoghi, incontri, discussioni, liti e riappacificazioni, amori e dissapori, unioni e partenze.
Noir comico in salsa napoletana, lo spettacolo di Peppe Celentano garantisce quasi due ore di risate attorno ai racconti di Arturo Scamardo, serial killer (ha commesso la bellezza di venticinque omicidi) che uccide per un impulso irrefrenabile simile al capriccio ostinato del bambino, definito 'nziria in napoletano, che fa di lui piuttosto uno 'nzirial killer.
“In questo paese morire non è carino, non si fa.” In realtà in quel paese non è consentito aprire bocca per timore che si venga infamati o derisi. L’onore, il rispetto, il buon viso e il cattivo gioco sono troppo importanti a discapito della verità. Lei, Luciana Maniaci, è madre apprensiva che per una trovata assurda e sorprendente riesce a comunicare con il figlio appena morto nel tentativo di salvare la reputazione della famiglia. Il ragazzo vorrebbe attraversare il varco e andare oltre, ma la madre glielo impedisce. "Tra un anno ti devi pure sposare".
La premessa è che, per Interno familiare di Anna Maria Ortese, valga il principio di irrealtà ovvero che tutto ciò che è scritto nel racconto non risponda alla volontà di fare ritratto, scorcio, tranche de vie ma a quella di rendere fiaba, favola, invenzione effimera, immagine passante ed amara, corrusca, eccessiva.
- Interno familiare
- paolo coletta
- Monica Assante di Tatisso
- Daniela Fiorentino
- Ivana Maione
- antonella romano
- Peppa Talamo
- il mare non bagna napoli
- Anna Maria Ortese
- zaira de vincentiis
- gigi saccomandi
- Roberta Di Palma
- songspiel
- opera buffa
- Straniamento
- principio di irrealtà
- Anastasia Finizio
- alessandro toppi
- Il Pickwick
- Marco Ghidelli