“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 10 November 2013 01:00

Cella 406

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“Per la visita agli internati i parenti degli stessi sono pregati di raggiungere la cella 406 situata sul retro dell’edificio. Grazie per la collaborazione.”
Dal foyer penetriamo dietro il palco. La luce è poca. Dietro ogni apertura, dietro teli di cellophane trasparente, degli esseri umani, da soli o in gruppo, ma sempre soli. Urlano, si muovono in maniera incontrollata, ridono, tremano, sbattono la testa. Facciamo rapidamente la nostra visita, forse proprio come i parenti dei pazienti psichiatrici, quando rendono loro visita.

Passiamo rapidamente davanti alle loro celle, li guardiamo come si guarderebbero dei fantasmi, anelanti di raggiungere la rassicurante poltrona che ci dia la materiale certezza di essere in un teatro, di stare assistendo ad una rappresentazione della sofferenza psichica e non alla sua brutale realtà. E poi c’è una sorta di senso di pudore a guardare nelle celle, come se si stesse violando l’intimità di una persona, come se si stesse guardando un animale nella gabbia di uno zoo.
In scena pendono cinque catene di metallo, sottili. Per terra ci sono altrettanti bidoni di metallo. La luce è livida. Luce di chiuso. Luce artificiale. Luce di luogo che è separato dal fluire della vita quotidiana. Luogo dove ogni giorno è uguale. Dove il tempo si annulla, nella reiterazione infinita e insensata. 406 il numero della cella. QuattroZero6. QZ6. Sei pazienti, sei persone, ne sono gli occupanti. Due donne e quattro uomini. Sono in mutande, si vestono a fatica di abiti logori, tuniche, camicie e pantaloni che sembrano luridi cenci. Sguardi fissi. Corpi tesi nello spasmo di movimenti irrigiditi, corpi che esplorano le potenzialità del corpo umano, l’iperestensione di ogni nervo, e al tempo stesso non hanno più nulla di umano. “Il manicomio è un luogo in cui ricevi le tavole di una legge agli uomini sconosciuta”. Urla. Balbettii. Percosse. Spinte. Teste sbattute. Movimenti ritmici. Corpi che si vestono e si svestono. Il cuore si gela nel vedere la rappresentazione della sofferenza mentale. Il cuore è attanagliato dall’angoscia di vedere l’assolutamente altro da sé, nella consapevolezza di quanto possa essere fragile l’equilibrio sul quale si fonda ciascuno di noi. Si fanno domande i pazienti della cella 406. “Chi sono io? E chi è l’altra che vive in me?” A turno escono dal personaggio, diventano lucidi, assumono voce ed espressione umana, e raccontano la loro storia, o qualcosa di simile. Ma è un attimo. Poi ciascuno ritorna nel personaggio. Ritornano le urla. I tremori. Ritorna l’angoscia. Però è diverso. L’impatto iniziale si smorza. Non ci si abitua, ma si percepisce la dimensione estetica. Si apprezza la ritmicità dei movimenti, la costruzione dell’azione scenica. La sapienza delle proiezioni di grate. Quelle intrecciate della brandina. Quelle a trama fitta, come di una zanzariera. Quelle orizzontali, come di una cella, che moltiplicano all’infinito lo spazio, quello spazio. Si ammira il mestiere degli attori, la capacità espressiva di corpi, volti, voci.
Ci si trincera, interiormente, al riparo delle proprie rassicuranti certezze. La diversità fa paura. Crea disagio, diffidenza. Ma una diversità così monocorde nelle sue reazioni allo stimolo, nelle sue manifestazioni patologiche, finisce quasi per rassicurare, nonostante l’angoscia. La reiterazione, nella sua rappresentazione estetica, perde di forza, come se si depotenziasse. L’effetto è quello di profonda pietà per la sofferenza altrui, per una condizione di vita abbrutita. Ma l’incommensurabilmente altro resta fuori (o dentro), al di là delle grate. Inevitabilmente reietto.

 

 

 

QZ6 I colori della follia
scritto e diretto da
Ciro Pellegrino
con Maurizio D. Capuano, Noemi Giulia Fabiano, Paolo Gentile, Ilaria Incoronato, Vittorio Passaro, Marco Serra
produzione Naviganti InVersi
foto di scena Lucia Testa
lingua
italiano
durata 1h 10'
Napoli, Circolo Teatro Arcas, 7 novembre 2013
in scena dal 7 al 10 novembre 2013

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