“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 11 November 2013 07:36

Incomunicabilità e catastrofe

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Potenza visionaria delle immagini costruite in scena, la parola ridotta all’afasia, a parlare sono la scena ed i corpi che la abitano. Titanic (The End) di Antonio Neiwiller, nella riproposizione di Salvatore Cantalupo – nel ventennale della scomparsa dell'autore – è visione che abbacina, magnete che attira su di sé sensazioni tirandole dalla platea, quella platea che viene più volte traversata dallo stesso Cantalupo, traghettatore su un ideale ponte (di comando) fra i due poli della visione, regista in scena di una compagnia alle prese con la deriva del tempo, ad un tempo nostromo di una nave di disperati e caporale che dei loro gesti dispone al suono d’una sirena.

La scena come un mare aperto, una cerata arancione ricopre l’assito, formando pieghe crespe come onde; di lì sotto, al segnale dato dal sibilo acuto della sirena, si scatenerà l’agire frenetico di sette persone, naviganti, profughi, derelitti. Via la cerata, srotoleranno tubi come gomene, come cime lanciate verso una possibilità di comunicazione che rimarrà senza voce e s’abbarbicheranno ad un relitto, calpesteranno una pedana che è zattera nel mare, migranti dell’altrove, portatori di una lingua franca che è un grammelot affastellato di slavismi non destinati alla comprensione.
Ciascuno ha in valigia un talento, vero o improvvisato, da musico, da saltimbanco, da ballerina. Ciascuno è un migrante, vagante in una deriva contemporanea – che è contemporanea forse al diuturno ripetersi del sempre – ciascuno è una monade che muove, danza, gioca, agita fogli di carta inutile, perché inutili sono le parole che possono esservi impresse. La parola perde nerbo e spessore, perché la comunicazione ha perduto nerbo e spessore, svilita da una mancanza di credibilità tale da aver sottratto alla stessa comunicazione verbale i crismi della legittimità.
Titanic (The End) nella visione di Salvatore Cantalupo è costruzione mirabile, cattura lo sguardo mentre arpeggia con le corde del sentire, la lezione di Neiwiller pulsa di vita viva, metafora di una condizione dell’uomo, ma anche dell’arte e dell’artista, saltimbanco, girovago, circense senza circo, avvinghiato al proprio strumento come ad un asse di legno in mezzo al mare, costretto a sentir svilito il valore poetico (e poietico) della propria parola – che è parola anche quando parola non è – di una parola inghiottita dall’abisso di una fine sentita come incombente.
E non è solo la parola a spegnersi morta fra le labbra: il ruolo distorto dell’immagine nella società delle immagini crea proiezioni distorte dietro ad un sipario che è sipario a metà, che prima s’abbassa senza calare, poi si issa a tutto celare: filtro, schermo, diaframma fra il reale e la sua percezione, dietro al quale ombre si offrono allusive e deformi all’occhio dello spettatore, deformità che è difformità dal vero, così come difforme dal vero è ogni parola svuotata di senso, mentre, significativamente, l’unica parola che l’orecchio riesce a percepire e distinguere, in lontananza e dietro al fosco delle ombre, è “revolution”.
Rivoluzione necessaria, in ogni atto, in ogni gesto, in ogni parola che intenda sottrarsi al rituale dell’incomunicabilità indotta. Rivoluzione come baluardo da frapporre alla fine, o come prodromo di palingenesi.
Antonio Neiwiller rivive attraverso lo sguardo di Salvatore Cantalupo, che esprime la poetica della catastrofe, forse incipiente, forse già avvenuta, in ogni caso una traccia visionaria e tremenda lasciata negli occhi di chi ha occhi per guardare, nell’anima di chi ha un’anima per recepire.

 

 

Titanic (The End)
ideazione e regia Antonio Neiwiller
in una visione di Salvatore Cantalupo
con Salvatore Cantalupo, Carmine Ferrara, Massimo Finelli, Amelia Longobardi, Ambra Marcozzi, Claudia Sacco, Sonia Totaro, Chiara Vitiello
luci Cesare Accetta
direzione tecnica Lello Becchimanzi
foto di scena Rosario Cammarota
produzione Teatri Uniti
in collaborazione con Ex Asilo Filangieri/La Balena, Accademia Amiata Mutamenti, Laboratorio Memini, ‘A Puteca
durata 1h 15’
Napoli, Sala Assoli, 8 novembre 2013
in scena dall'8 al 17 novembre

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