“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Teatro

Teatro La ribalta di legno

«Le quinte di stoffa con le porte in rilievo, le finestre di vetro dipinto, i vasi coi fiori di carta. In alto una lampada faceva da giorno mentre la notte veniva con la parola “notte”. In terra, una botola, dalla ribalta portava sul retro, dov’erano pronti gli attori».

“Una donna irosa è come una fontana intorbidita fangosa, brutta a vedersi, opaca, priva di bellezza, e finché è così, nessuno, per quanto a gola secca o assetato, si degna di sorbirne o toccarne una goccia”.
Con queste parole William Shakespeare descrive uno dei suoi personaggi più rappresentati a cinema e teatro, emblema della volubilità dell’animo femminile: Caterina Minola, in arte “La bisbetica domata”, portata in scena sul palco di Galleria Toledo di Napoli da Laura Angiulli.

Wednesday, 27 November 2013 01:00

Piccoli Beckett, ma con speranza

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Brevi gags di coppia; piccoli giochetti clowneschi; interrelazioni minime fatte di frasi che si ripetono, di gesti che si ripetono, di silenzi che si ripetono alternandosi a micromonologhi, inserti leggermente più prolungati, nei quali l’uno o l’altro personaggio svolge il ruolo di primo, con la spalla al suo fianco. Ma anche: una condizione di stasi vischiosa, un immobilismo di partenza da cui sembra impossibile evadere, una casa-non-casa (un tappeto a scacchi, un fiore di stoffa, una lampada da pavimento, due sedie, un tappetino) che è simile tanto ai luoghi-non-luoghi del teatro dell’assurdo: lì dove sorgono pareti immaginarie, dove gli spazi sono segregati per quanto non se ne veda la fine, dove non c’è apertura possibile, possibile fuga all’esterno. E in più: una metateatralità continua, costante, ben definita per accenni, ammicchi, sguardi diretti col pubblico (“È un poeta”), per scoperta illuminata di questo stesso pubblico (“C’è un sacco di gente”) o per scambi dialogici che alludono alla presenza su scena ed alle parti da recitare in commedia (“Ma, quanto meno, vai a tempo”; “E poi devi migliorare”; “Sì, ma calmati! Parole misurate, devi fare delle pause, altrimenti non mi arrivano le parole”).

Tuesday, 26 November 2013 01:00

A tempo di musica

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Una luce fosca e polverosa è la cifra cromatica della tragedia di Seneca messa in scena da Pierpaolo Sepe. Solo il sangue dell’infanticidio finale getterà una nota di colore in questo lucore buio, in questo buio squarciato di sciabolate di luce, in questa penombra eterna che è, a dispetto del disco solare (qui recante il simbolo del dollaro), nume tutelare della barbara principessa, al centro della scena, chiuso da una recinzione.
Pasolini ha scritto che “Medea è il confronto dell’universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico”. Medea il mito di confine. Medea e la Colchide sono il personaggio/luogo mitico in cui Oriente e Occidente si incontrano, vengono in contatto.

Tuesday, 26 November 2013 01:00

Questa non è l'America

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A Napoli i disastri si possono raccontare in molti modi, dall’asciuttezza della denuncia all’ironia del surreale di cui questa città è tanto prodiga quanto nell’elargire le disgrazie. Il testo di Antonio Menna Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, trasformato in testo teatrale dai registi Mauro Di Rosa e Pasquale Ioffredo, racconta per assurdo la stessa storia di quella del mago della Apple, ma tutta partenopea, di due giovani intraprendenti dei Quartieri Spagnoli, Stefano Lavori e Stefano Vozzini, che hanno un’idea geniale: produrre un computer veloce ed esteticamente bello. Un’idea vincente.

Sunday, 24 November 2013 01:00

Gli specchi del sociale

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Piove ed un uomo arriva frettoloso su un letto pieno di foglie autunnali. È uno straniero, si trova in Francia e vive isolato per l’incomprensione della lingua e per le sue abitudini di vita diverse, da straniero appunto. Carlo Verre, attore che interpreta il monologo di Bernard-Marie Koltès La notte poco prima della foresta, vive in una condizione di limite e sembra davvero essere relegato ai margini del sociale, ai margini dell’umano ed ai limiti del mondo, in una foresta di foglie marroncine.

Sunday, 24 November 2013 01:00

Ricorda con rabbia, ma senza esagerare

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Look Back in Anger, è titolo originale della commedia del drammaturgo e Premio Oscar britannico John Osborne, e dopo quasi sessant'anni dalla sua prima rappresentazione, il testo del portavoce dei 'giovani arrabbiati' (The angry young men) rispecchia ancora e con un'inquietante contemporaneità, sentimenti, disagio e rabbia dei giovani nei confronti di una società disumana lanciata nella corsa sfrenata al successo e divorata da una perenne sensazione di fame bulimica e insaziabile. Ricorda con rabbia è un potente urlo Ginsberghiano rivolto alla religione dell'economia, del progresso e dello sviluppo non più sostenibile; è una messa in scena che oggi più che mai ha un debito preciso con la realtà, la nostra. D'altra parte la finzione letteraria ben riuscita è sempre senza tempo.

Saturday, 23 November 2013 01:00

Tante parole, senza carattere

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Il palco è un imbuto simbolico, una sorta di cavea o di grotta post-moderna che tende a veicolare attenzione ed ascolto verso il centro. Quinte nere sigillano ogni lato, ogni pertugio, ogni fuga d’aria possibile costruendo una cappa totale, da cui nessuna distrazione è consentita, da cui non è consentito nessun sollievo momentaneo. Nel mezzo il divano rosso, unico vero arredo di scena, mentre tra quinta e quinta brillano intense intercapedini a neon. A vista sembra operazione interessante: sigillare tutto lo spazio consentito, attraendo ogni sguardo della platea perché venga sospinto e convogliato esattamente nel punto – il divano – dal quale verranno le parole.

Thursday, 21 November 2013 09:34

L'occhio della madre

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Come può un testo scritto nel 1930 – rappresentato l’anno dopo – risultare sorprendentemente attuale ancora al giorno d’oggi, beninteso non nella narrazione di atteggiamenti e valori imprescindibilmente umani, non nella descrizione di eterne dinamiche sentimentali valide in ogni tempo e ad ogni latitudine, ma nella disamina dei meccanismi economici e delle pratiche (basse) che sono alla base delle strategie di arricchimento di una classe e di sfruttamento dell’altra?

Thursday, 21 November 2013 01:00

La "Messa" in scena

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La scenografia metateatrale si rivela subito a sipario alzato. È divisa orizzontalmente in due parti: la scena inferiore è il camerino del protagonista composto da una chaise longue sulla sinistra, una toletta al centro per il trucco, un bagno sulla destra. La parete trasparente in fondo mostra il corridoio su cui si affacciano gli altri camerini degli attori. La parte superiore soppalcata mostra l’interno del teatro ove a breve verrà rappresentato l’ennesimo Re Lear di Shakespeare; si vedono anche le poltrone in platea sullo sfondo ed un velo che divide il palco dalle quinte.

Wednesday, 20 November 2013 01:00

Pensieri di uno spettatore dotato di taccuino

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Un faro, da destra, illumina il torace nudo del boia: il ventre tondo, il petto liscio, le spalle nerborute, le mani pesanti, le braccia tornite e l’orlo nero del cappuccio. Così per quasi tutta la durata dello spettacolo. Il faro che, da destra, rimane costantemente acceso e puntato è il primo segno rivelatore e sembra avere un duplice senso, contenutistico e metateatrale.

Tuesday, 19 November 2013 01:00

Gli altri fantasmi

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Un racconto, un film, una location. Questi i tre presupposti che costituiscono l’ossatura della messinscena di Gli Altri, per la regia di Peppe Celentano. Il racconto è Giro di Vite di Henry James, il film è The Others, di Alejandro Amenàbar, che al romanzo di James liberamente si ispira e che viene evocato nel titolo della pièce allestita nella suggestiva cornice del Pio Monte della Misericordia di Napoli.

Monday, 18 November 2013 01:00

Alle radici del Male

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La scena spazio vuoto, come vuoto universo all’atto della creazione. Si parte dalla Genesi – “o ‘dal’ Genesi, come direbbero i puristi” – per raccontare come in quello spazio vuoto possa insinuarsi ed allignare il Male. In scena un solo attore, portatore di parola, corpo e gesti, che dalla parola parte nelle sue definizioni primigenie, nelle sue formulazioni ancestrali, per andare alla radice ed alle viscere del Male, per raccontare una menzogna (quella della storia, che inganna) attraverso una menzogna (quella del teatro, che finge), per coniugare infine quella parola con l’espressione corporea e gestuale.

Sunday, 17 November 2013 01:00

La finzione della realtà

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Quattro donne, quattro caratteri e quattro possibilità di “spiegarsi il mondo”. All’inizio le vedi dietro uno schermo bianco, in fila, che si scavalcano, senza parole, solo il suono della musica introduce la prima scena di Oro a Forcella, il terzo capitolo de Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, in scena al Ridotto del Teatro Mercadante. Ecco che si presentano una ad una al pubblico, uscendo dall’anonimato ed iniziando la recitazione. Queste donne sono, infatti, in fila al banco dei Pegni a Forcella, in una delle zone più “caratteristiche” della città di Napoli. Sono donne del 2013 o donne del dopoguerra, quando la Ortese scriveva il racconto?

Friday, 15 November 2013 01:00

La magica visione del silenzio

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Mani giganti, animaletti verdi, lombrichi, coppie innamorate con visi di carta igienica, facce cubiste, visi modellabili, esseri fantastici e straordinari, scie di luce e di seta, prese elettriche che fanno l’amore, piovre bicolore, fogli di carta volanti: non siamo né nel paese delle meraviglie, né sull’isola che non c’è; questo miracolo della fantasia si è compiuto nel pomeriggio di un giorno di novembre al Teatro Bellini grazie alla Mummeschanz Foundation, la compagnia italo-svizzera che l’anno scorso ha compiuto quarant’anni.

Thursday, 14 November 2013 01:00

"T'ho fatto male"

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Siamo in tanti ad Officina Teatro. La sala è così piena che qualcuno è rimasto in piedi. Ci guardiamo l’un l’altro mentre applaudiamo al termine dello spettacolo. Qualcuno ha le lacrime agli occhi e ce le ho anch’io perché mi sono ritrovata a pensare a cose alle quali non avevo mai pensato prima. Vedo tutto in modo diverso ed è merito dello spettacolo e del libro che Massimo Verga ha scritto per raccontare la sua storia di papà di un bambino disabile.

il Pickwick

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