Teatro La ribalta di legno
«Le quinte di stoffa con le porte in rilievo, le finestre di vetro dipinto, i vasi coi fiori di carta. In alto una lampada faceva da giorno mentre la notte veniva con la parola “notte”. In terra, una botola, dalla ribalta portava sul retro, dov’erano pronti gli attori».
Ogni volta che si ha la gioia di ascoltare Lo Schiaccianoci, sin dall'allegro Ouverture, si ha come l'impressione di essere circondati da una leggera brezza di primo inverno, carica di candidi e soffici fiocchi di neve, immagine che inspiegabilmente riscalda la pelle e il cuore.
Violini vivaci, vispi e irrequieti, raggiungono apici purissimi, slittano vorticosamente verso le basse note dei flauti con entusiasmo ed incontenibile attesa; la stessa attesa di una fiaba che inizia, di un sipario che si apre, di un Natale ormai alle porte.
Una casetta di plastica da bambini. Un rettangolo di prato sintetico. Una siepe e una staccionata di plastica. Tutto è pronto per la messinscena del perbenismo, dell’ipocrisia e della vanità. Giorgio Dandini entra in scena cantando in playback sulle note di Celentano. Camicia a fiori sgargianti, sotto la quale si intravede l’italica canotta bianca, baffi a spiovente, l’aria solida e tronfia dell’uomo che ha acquistato col denaro la rispettabilità sociale.
- Il marito smarrito
- George Dandin
- Molière
- Filippo Renda
- Pier Paolo D'Alessandro
- Matthieu Pastore
- Laura Serena
- Simone Tangolo
- Anahi Traversi
- Eleonora Rossi
- Idiot Savant
- Ludwig
- Teatro Libero di Palermo
- LaMaMa Umbria
- Italietta
- Adriano Celentano
- parvenu
- matrimonio d'interesse
- Caterina Serena Martucci
- Il Pickwick
Prima di iniziare questa recensione devo mettervi a parte di una cosa: Pippo Delbono ha rappresentato la mia epifania teatrale ed è tutt’ora lo sceneggiatore, regista, attore che più amo. Farò in modo, però, che questa mia sfumatura di venerazione non mi impedisca di mostrare il dovuto rispetto alla recensione e, a voi, prometto che chiamerò a raccolta tutto il mio impegno per rendervi un buon servizio che sia, come ogni recensione che si rispetti, qualificabile con le parole: imparziale, distaccato, asettico come il guanto di un chirurgo.
Dunque: spettacolo mesmerizzante, estasiante, abbacinante, che toglie il fiato!
Se adesso, al posto di comporre parole battendo una ad una le lettere sulla mia tastiera, prendessi quella vecchia dal cassetto e staccassi tutti i tasti per comporre una collana, se la illuminassi con i led e me la legassi al collo con il cavo, verrebbe fuori una bella recensione per Giardini di Plastica, lo spettacolo andato in scena al Teatro Galilei a Città della Scienza. Lo spettacolo del riuso, tanto che a presentarlo è intervenuto il presidente dell’ASIA, che poi è lo spettacolo della creatività. “Guardate cosa si riesce a fare con i materiali che vengono gettati via!” sembra volerci dire e ogni persona seduta in sala, davanti ad ogni creazione, non può che rimanere sbalordita e in quell’incanto lasciarsi trasportare.
Mai la plastica fu più bella. A testimoniarlo bambini e adulti.
- Giardini di plastica
- Salvatore Tramacere
- Giovanni De Monte
- Alessandra Crocco
- Maria Rosaria Ponzetta
- Marco Daniele
- Angelo Piccinni
- riuso
- immaginazione teatrale
- le nuvole stabile di innovazione ragazzi
- Teatro Galilei 104
- Città della Scienza
- Koreja
- Teatro Stabile di Innovazione di Lecce
- ambiente
- Sara Scamardella
- Il Pickwick
- Alessandro Saco
C'era una volta, in un tempo sconosciuto, una giovane principessa dall'animo umile che viveva in un piccolo regno oltre i confini dell'universo. Così grande era la magia di questo luogo tanto da animare gli oggetti e trasformarli in eclettici ed improbabili personaggi: una perfida matrigna accompagnata da due "sorellastri" isterici e bamboleschi, un buffo Re dall'accento inglese vestito come una lampada, ed un eccentrico fatino dedito alla disco music con una strobosfera a mo' di zucca. La povera principessa desiderava essere felice, godere dei momenti più dolci che la vita ha da offrire; purtroppo però, la matrigna cattiva era legata a lei in modo possessivo e con invidia ostacolava la sua libertà.
- Cenerentola Across the Universe
- Katia Scarimbolo
- Michelangelo Campale
- Nunzia Antonino
- Annarita De Michele
- Paolo Gubello
- Luigi Tagliente
- Maria Pascale
- Gabriella Vino
- Teatri abitati
- Artinscena
- La luna nel letto
- Teatro San Ferdinando
- Cenerentola
- Andrea Arionte
- Beatles
- discomusic
- Lucio Dalla
- Petula Clark
- Armand Amar
- Simon & Garfunkel
- Il Pickwick
L’ingresso a teatro è già spettacolo. Ti accolgono, in sottofondo, voci, registrate, di leader politici e religiosi, presenti e passati. Ci sono Giovanni XXIII e Francesco I (papa), c’è Khomeini, c’è Mandela, ci sono Andreotti, Mao, Kennedy, Bush, Marchionne ed anche, ci sembra, il Gian Maria Volonté de Il caso Moro; ci sembra, perché un pubblico diseducato ad un inizio non canonico dello spettacolo, non consente approfondimenti. Celestini è sul fondo della platea, accanto al tecnico audio e luci, la sua presenza non scoraggia il vociare.
“Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno”. Scriveva Dante. Quanto Basta è il titolo del reading-concerto diretto e recitato da Lucio Allocca, in cui tenta di sfamare il digiuno, sì, ma quello culturale, di un’epoca, la nostra, in cui il rischio è di restare a mente vuota più che a stomaco vuoto: “Non vogliamo tanto, ma Quanto Basta per ridare dignità alla nostra esistenza. Siamo assediati da trasmissioni televisive in cui il cibo è ridotto a una competizione sterile, e ho avuto fame di dignità. Il cibo è cultura, è storia, si può conoscere il passato di un popolo attraverso la tradizione gastronomica, più che da una cattedrale, come direbbe Lorca”.
- QB Quanto Basta
- Lucio Allocca
- Lello Ferraro
- Antonio Chioccarelli
- cibo
- Reading
- concerto
- Cantico delle Creature
- San Francesco d'Assisi
- dante alighieri
- Pablo Neruda
- Gianni Rodari
- Gian Battista Della Porta
- Marino Niola
- Zecchino d'Oro
- Cristoforo Colombo
- Matrimonio del Guarracino
- Pino Daniele
- Palazzo de' Liguoro
- Anita Laudando
- Il Pickwick
Una scrivania con libri sulla sinistra, davanti a un letto con baldacchino di assi di ferro e teli di plastica. Al centro un tavolino a fungere da desco improvvisato. A destra un letto a castello assemblato alla meno peggio, e dietro un lavabo e un attaccapanni. Sullo sfondo fogli di plastica trasparente a separare il luogo da un “fuori” in cui si riverberano, ogni tanto, i riflessi dei fari di chi sosta all’imbocco del tunnel senza però addentrarvisi. La scena è completata da cavi di acciaio a forma di arco che suggeriscono una realistica costruzione dell’ambiente. Irrompono tre figure e si è subito introdotti nel “dramma” che nasce dalle loro storie.
- Tunnel
- Federico Frasca
- Franco Festa
- Ilia Caso
- Roberta Gesuè
- Maria Irpino
- Fiorella Zurlo
- Antonio Ippolito
- Giovanni Di Nardo
- Caterina Vitale
- Costantino Mauro
- Teatro 99 posti
- Mercogliano
- avellino
- Mephite Editore
- Teatro dell'Assurdo
- condizione femminile
- metaforizzazione teatrale
- Antonio Cataldo
- Il Pickwick
I tempi dispari sono quelli che permettono di ricomporre i frammenti delle cose (emozioni, sensazioni, racconti, canzoni). Sono i tempi in cui dai frammenti embrionali e dettati dalla fase post-creativa si arriva subito al collegamento di questi, al loro disegno, in cui appare la rivelazione del segno che già c’era. In una non piccola sala di un’associazione napoletana, il chitarrista-cantante Enrico Russo ha “messo in scena” i suoi brani, i frammenti, in uno spettacolo di teatro e danza, un esperimento per cercare di dare vita a questi frammenti.
Napoli. Decumano inferiore. Palazzo di Diomede Carafa di Maddaloni. Si attraversa il cortile, si rende omaggio alla mitologica testa di cavallo (o meglio alla sua riproduzione in terracotta) e dietro una leggera cortina prende vita uno spazio scenico. Vediamo una fila di sedie, uno spazio quadrato al centro, una ragazza inginocchiata, un proiettore. Un telo bianco sul fondo. Buio. Quando una luce si riaccende sappiamo che il viaggio è cominciato. L’autore/attore è sulla scena. È un ragazzo, biondo. Jeans, Converse, felpa bianca con cappuccio.
Il teatro è l’arte della metafora. L’attore è un uomo che sta in palco, ma come se fosse un altro uomo, all’interno di uno spazio che richiama un altro spazio, e compie gesti che segnano un tempo che non è il tempo vero ma uno fasullo, più breve o più lento di quello durante il quale – normalmente – camminiamo, mangiamo o riposiamo.
"Copiare il vero può essere una buona cosa, ma immaginare il vero è meglio, molto meglio". Giuseppe Verdi.
Questa frase inchiostrata di rosso sangue e passione è proiettata nel buio della sala sul sipario chiuso. Mentre esso si apre, la scritta si fonde in un punto luce che si ingrandirà, proiettato su un disco sospeso per tutta la prima parte composta dal I e II atto. È un sole rosso che gira velocemente su se stesso. Sulla scena ci sono anche quattro colonne sospese poste diagonalmente a mezz'aria, che spesso si muoveranno accompagnando i gesti salienti dell'opera. Ovunque vi sono delle funi: fungono da secondo sipario, poi da sfondo, anche trattenute dai servi possono sembrare fluide colonne dei palazzi egizi dove la storia è ambientata. Una scenografia mobile, aerea, fluttuante giocata su questi pochi elementi della scena e su un sapiente e ricco disegno luci che enfatizza i corpi, taglia il buio, colora la luce. Spesso un occhio di bue illumina i protagonisti isolando tutto il resto nell'oscurità. Sul palcoscenico figuranti di piccola ed alta statura, vestiti di stracci, si muovono spesso carponi, velocissimi ragni sempre presenti, umanità in schiavitù costretta a muoversi con la schiena piegata.
- Aida
- giuseppe verdi
- Antonio Ghislanzoni
- Salvatore Caputo
- Franco Dragone
- Lucrecia Garcìa
- Jorge de Leon
- Ekaterina Semenchuk
- Marco Vratogna
- Ferruccio Furlanetto
- Carlo Cigni
- Valeria Sepe
- Massimiliano Chiarolla
- Teatro San Carlo
- william shakespeare
- Romeo e Giulietta
- Re Lear
- Riccardo III
- amore e patria
- Paola Spedaliere
- Il Pickwick
" L'altra sera siamo stati all'Operà a vedere Tristano ed Isotta (...)
Sa qual è il peso degli escrementi che un individuo evacua al giorno?
Un chilo e mezzo. Moltiplichi per quattro miliardi di individui e fanno sei miliardi di chili al giorno."
Così discutevano con nonchalance, seduti su dei gabinetti intorno a un tavolo, i protagonisti di una celebre scena de Il fantasma della libertà, film del 1974 firmato Luis Buñuel, grande nome del cinema surrealista del XX secolo.
- La purga
- Georges Feydeau
- Arturo Cirillo
- Salvatore Caruso
- Sabrina Scucimarra
- Luciano Saltarelli
- Rosario Giglio
- Giuseppina Cervizzi
- Dario Gessati
- Gianluca Falaschi
- Badar Farok
- Francesco De Melis
- teatro francese
- Teatro Stabile delle Marche
- teatro mercadante
- Bastiano Follavoine
- WC
- sevizi igienici
- Andrea Arionte
- Il Pickwick
- Il fantasma della libertà
- Luis Buñuel
Ma che sei tornata a fare a Napoli? Ma chi ti ha chiamato? Sei venuta a spiare? Sì, a spiare, sei venuta a spiare, vero? Non ti basta quello che hai scritto di questa città? Non ti basta quello che hai scritto sugli intellettuali di questa città? Perché non te ne vai? Perché non te ne vai a Roma, a Firenze, a Milano, perché non te ne vai a morire in Liguria? Ma tu ci hai mai conosciuti? Ma tu ci hai mai frequentato? O ci hai soltanto spiati per poterci mettere nelle tue pagine? Non è che sei tu, proprio tu, quella che sbaglia? Sei sicura di non essere in torto? Sei sicura di non aver commesso un errore scrivendo il tuo libro? Ma perché non te ne torni da dove sei venuta? Perché non ci lasci in pace? Perché ci tormenti? Anna Maria, perché ci tormenti?
- il mare non bagna napoli
- Il silenzio della ragione
- Anna Maria Ortese
- Linda Dalisi
- Michelangelo Dalisi
- Fabrizia Sacchi
- Lino Musella
- Francesca De Nicolais
- zaira de vincentiis
- gigi saccomandi
- Marco Messina
- Francesca Giolivo
- raffaele la capria
- Luigi Compagnone
- Doenico Rea
- letteratura napoletana
- letteratura italiana
- Sud
- L'armonia perduta
- L'occhio di Napoli
- alessandro toppi
- Il Pickwick
Rabbia, risentimenti, lenti tasselli della cornice del vuoto sociale dell’uomo: lo spettacolo di Luciano Melchionna al Teatro Bellini riempie la sala con un dramma d’interno. La scrittura scenica è presa dall’opera di John Osborne, presentata per la prima volta a Londra nel 1956 ed intitolata Ricorda con rabbia. Più che il tema del ricordo è prorompente l’evidenza socio-psicologica dell’uomo insoddisfatto, che non si sente al suo posto e nella sua epoca e che sfoga il suo malessere interno, i segni del suo passato e la denuncia della difficoltà delle relazioni umane e sociali.