“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Note su "Nunzio" di Spiro Scimone

(il regista)
Provare a scrivere qualcosa di nuovo su Nunzio è particolarmente difficile: lo spettacolo è andato in scena, per la prima volta, nell’agosto di vent’anni fa e – da allora – è stato raccontato centinaia di volte, è diventato oggetto di saggi monografici, ha generato ulteriori interventi critici. Vale la pena redigere una recensione tradizionale? Probabilmente no. Per questo la preferenza va a un insieme di note suggerite dalla lettura del testo e dalla visione dello spettacolo. Si parte dalle parole del regista, dalle parole di Carlo Cecchi.

Il teatro di un bambino

In questi anni siamo stati abituati a un “teatro civile” che è forte delle sue argomentazioni (spesso dette a un pubblico già consenziente alle stesse); “civile” perché ha ragione, "civile" perché è memore di chi andava ricordato, "civile" perché è pulito rispetto alla melma che ci inonda e a cui si contrappone moralmente: facendo testimonianza dal palco. Ci siamo assuefatti – in questi anni – alla retorica del "teatro civile" che salva un quartiere, che è dalla parte del giusto, che merita un consenso quasi preventivo, di fatto inevitabile: indipendentemente dal modo in cui fa teatro.

La parola, il corpo, il teatro

(Luca e Anna)
Luca e Anna sono davvero Luca e Anna? Si stanno davvero lasciando, dopo aver trascorso una parte della loro vita assieme? Clôture de l’amour è davvero una trama sentimentale, un’emotiva vicenda d’addio? Ciò cui assistiamo è – davvero – un Lui che accusa Lei, una Lei che risponde a Lui, prima che Lui e Lei prendano strade differenti?

Sul mercante di Binasco

(la scena)
Il blu è il mare, l’oro è il denaro. Due colori per Il mercante di Venezia messo in scena da Binasco. Sono blu (con pennellate di azzurro, celeste e turchese) le pareti laterali, sono blu i tavoli e le sedie di legname. Acqua, laguna, fanno luogo e ambiente ma fanno anche percorso, viaggio, itinerario: è questo blu che attraversano i personaggi andando e tornando da Venezia, andando e tornando da Belmonte: andando e tornando da un estremo all’altro dell’assito.

Su Gadda, Amleto, Gifuni

Codeste, sì, son cose che sembrano; perché si possono
recitare. Ma io ho dentro qualcosa ch’è al di là d’ogni mostra:
il resto non è che l’ornamento e il vestito del dolore.
(William Shakespeare)


Nella mia vita di umiliato e offeso la narrazione mi è apparsa,
talvolta, lo strumento che mi avrebbe consentito di stabilire la
mia verità; il mio modo di vedere, cioè: lo strumento, assoluto,
del riscatto e della vendetta.
(Carlo Emilio Gadda)

Ridendo, disperatamente

(sul senso dello spettacolo)
“Lui ha mentito a te, come tu hai mentito a lui, come mia moglie ha mentito a me: qui mentono tutti”. Morsi a vuoto è uno spettacolo sulla menzogna. Non – sia chiaro – sulla bugia che pensiamo, elaboriamo e utilizziamo per ingannare chi abbiamo di fronte, ma sull’ipocrita manomissione della verità con cui proviamo a ingannare noi stessi.

Alla ricerca di un perché

(il tema)
L’impressione è che Jesus – ultima creazione di Babilonia Teatri – non sia uno spettacolo su Gesù ma su una sua mancanza privata, intima, personale; che sia una sorta di paradossale invocazione dell’assente, una chiamata disperata all’invisibile, un tentativo di strappare un segno o una parola di conferma a Colui che osserva in silenzio, impassibile, incurante: ammesso che esista.

Matrici, un rito. Prime riflessioni

Matrici è stato già recensito da Il Pickwick: due volte. Ne hanno scritto Michele Di Donato e Caterina Serena Martucci. Anche per questo il mio sarà un tentativo differente: iniziare un discorso sul teatro di Alessandra Asuni e Marina Rippa (femminile plurale), operando quasi a margine dello spettacolo visto, conservandone alcune suggestioni e usandole per cercare di comprendere la natura (performativa? rituale? interpretativa?) di ciò che ho veduto. Un diario pubblico di riflessioni private, ancora incerte, parziali. Smentibili domani, eventualmente.
Un insieme di ragionamenti, cui occorrerà − in futuro − mettere ordine.
Cominciamo.

Una poesia

(l’acqua)
Nella prima scena la protagonista di La femme acéphale simula l’atto di lavarsi: inclina una brocca in un catino, v’immerge le mani, raccoglie l’aria, la spinge verso il volto che si piega, dando la sensazione evidente del getto. Nella penultima scena dello spettacolo – rivelando anche la natura circolare della trama – compie le stesse movenze ma con un’aggiunta: l’acqua. Il suo volto si bagna davvero.
Simulazione dell'atto e sua realizzazione effettiva, acqua invisibile e acqua reale, pelle asciutta e pelle bagnata. Sembra, è. Teatro, vita. Finzione, realtà. Poesia, biografia. Menzogna del vero, vero affidato alla menzogna.

Ragionando

(La trama)
Un giovane si crede Amleto. I parenti cercano di fargli "tornare la ragione" inscenando una menzogna che somiglia proprio all'opera britannica ma, questa menzogna, ha un effetto disturbante ed imprevisto: il giovane uccide lo strozzino di cui la famiglia è vittima, costringendola alla fuga. Assolto il dovere della trama, cominciamo a ragionare.

il Pickwick

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