“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Prometeo o della Libertà

Il corpo di quello che sembra essere un uomo giace legato: le braccia dietro la schiena, il polso unito all’altro polso. Sul torace e lungo la colonna vertebrale presenta diverse ferite: tagli più o meno lunghi ed escoriazioni più o meno larghe si vedono anche al costato, sui fianchi, tra le scapole, all’altezza del collo, sugli avambracci. Devono bruciare questi graffi, queste ferite: di giorno la pelle è arsa dal sole, mentre di notte è il vento a toccare le carni, generando continue fitte dolorose. È scritto infatti: “Tu odierai il sole, eppure per tutta la notte pregherai perché il suo sorgere offuschi il freddo brulicare delle stelle e sciolga i geli del mattino”.

I pensieri (teatrali) già pensati

“Mangiami e scopami nell’ordine che preferisci” è la battuta che sconvolge il protagonista del Diario di un killer sentimentale di Sepùlveda: “Tre anni con lei. Si fece donna in fretta, le fiorirono i fianchi a forza di usarli, il suo sguardo divenne astuto, capì che il piacere sta nell’essere esigenti, s’innamorò della seta sulla pelle, dei profumi esclusivi, dei locali con i camerieri eleganti come ambasciatori e dei gioielli. Fece un bel passo da bambina a gran figa. E nel frattempo io violai varie regole sulla sicurezza”.

“È da domani che ti voglio”

“L’amore si sceglie o ci sceglie?”


“Allora: centosettantasette buste, gli invitati sono

duecentottantasette, poi ci sono diciannove
menù baby, sei sedie e cinquantotto seggioloni”

 

Il “nuovo teatro grottesco italiano” è una definizione che troveremo sempre più spesso nelle recensioni della critica. Fa riferimento a una pluralità di esperienze, diversissime tra loro sul piano contenutistico e spettacolare, che tuttavia hanno come tratto in comune la capacità di rendere scorci realistici in maniera digrossata, esaltandone – di volta in volta – l’aspetto assurdo o feroce, risibile o squallido. Per dirla con Ferdinando Taviani (Uomini di scena, uomini di libro) offrono, insomma, “una prospettiva aberrante e deformante sia spingendo all’eccesso i paradossi della vita, sia inventando intrecci fantastici capaci di tradurre il paradosso in favola”

La versione di Tubal

Ma adesso basta con gli indugi. È giunto il
momento che tutti stavate aspettando: la
mia scena.

 

Il personaggio
Tubal appare a pagina sessanta del mio volume che contiene le commedie romantiche di Shakespeare; la sua presenza termina a pagina sessantuno. Prende parola dopo Solanio che lo annuncia in questo modo: “Eccone un altro della tribù. Un terzo come loro non si trova, a meno che il diavolo stesso non si faccia ebreo”. Jessica è già scappata con Lorenzo; Antonio e Bassanio hanno ottenuto il prestito; il contratto che ha per penale la libbra di carne è stato firmato ed è nel cassetto di un notaio; Lancillotto ha dato prova della propria furbizia, ingannando il padrone e mentendo a suo padre; Porzia e Nerissa, dall’altra parte del mondo (che poi è l’altra parte del palco) hanno già commentato l’ardore del principe napoletano, del signore francese, del giovane inglese e del nobile scozzese mentre Shylock ha avuto modo di dire “Tremila ducati”, di compiere l’a-parte sull’odio nei confronti del cristiano, di accettare l’invito a cena dei suoi creditori e nemici.
“Allora, Tubal: che notizie da Genova? Hai trovato mia figlia?”.

Apulia Fringe: considerazioni su un Festival

Andria ha vie bianche e squadrate nella sua parte moderna mentre ha un retro storico formato da stradine strettissime, brevi cunicoli, saliscendi simili a tunnel costruiti all’aperto: a considerarla complessivamente un teatro mi viene da scrivere che mostra la sua facciata scenografica esponendo chiarezza cromatica, semplicità architettonica, celando un oltre-quinta fitto, più rumoroso, vitale e disordinato.

Note sulla farsa di Punta Corsara

Il convegno ha debuttato a Castiglioncello nel luglio del 2011; è stata poi la volta (limitandomi a quelli da me visti) di PetitoBlok, con successiva aggiunta molièriana, e Hamlet Travestie mentre s’attende Io, mia moglie e il miracolo, la cui prima sarà a Lucca nel mese di giugno. Basta questo accenno teatrografico per comprendere che non ha senso recensire Il convegno, riapparso per una sera al Nest di San Giovanni a Teduccio, facendone un’analisi valutativa: come se si trattasse dell’ultimo spettacolo prodotto e destinato, da domani, a viaggiare in tournée. Piuttosto, osservando per la prima volta questo lavoro di Punta Corsara, provo a individuarne qualche caratteristica che ho poi ritrovato nelle messinscene successive, cercando così di ragionare su una poetica ancora in formazione ma che mi sembra già riconoscibile con nettezza.

Il (lento) Sogno di Stein

Davvero occorre dimenticare il Sogno di una notte di mezza estate nel recensire Der Park? Davvero basta mettere a verbale che i nomi sono cambiati, che il tutto s’ambienta nella Berlino panzer-punk degli anni Ottanta e che i vestiti hanno forma e stile moderno per dire che non c’è Shakespeare nello Strauss di Peter Stein? Davvero Ippolita e Teseo, Filostrato ed Egeo e Lisandro, Erminia, Demetrio, Elena, le fate e gli artigiani, gli spiriti e la corte sono spariti dalla scena e, al loro posto, altri personaggi di un’altra trama calpestano il palco dell’Argentina?

La vita che ti uccide

Se tu chiedi di rinunciare alla vita, la vita
non ti preserva, comunque ti uccide.
(Emma Dante)

 

Il buio è la premessa di ogni spettacolo, il luogo d’origine da cui parte ogni trama: dal buio sorgono gli arredi di scena, vengono i personaggi della storia, nasce la prima parola che viene detta. Per questo – che la platea sia piccola o grande, che appartenga a una stanza  di periferia o alla sala elegante di un’importante città – esiste il momento magico, lentissimo e benefico in cui le luci si spengono e tace ogni voce mentre, in assito, s’attarda l’inizio. Senza questo buio, spazio/tempo di passaggio dal mondo consueto all’inconsueto del teatro, nessuna opera potrebbe cominciare.

Sulla critica e i suoi codici

Per inizare, una citazione: “La critica non è morta, né è in via d’estinzione, se non nella forma che il recente passato ha conosciuto e codificato. La critica teatrale è semplicemente in fase di evoluzione e di adattamento alla contemporaneità. Il tempo presente, complice la pervasività, la velocità e la potenza della comunicazione digitale, ne sta elaborando forme nuove. Scritti ingenui di riflessione personale si affiancano su Internet a messaggi promozionali spacciati per recensioni, ma anche a serie prove di scrittura critica, appassionata, lucida e ben documentata. Non è più possibile ignorare il fatto che le recensioni latitino sulla carta stampata (e spesso non è possibile distinguerle da celate operazioni di marketing) mentre fioriscono sul web. E il pubblico, quello reale e quello potenziale, le legge. Il problema, del resto un problema generale dell’informazione sul web, è quello di riuscire a stabilire criteri di rilevanza, di pertinenza e di affidabilità, diversi dagli algoritmi semplici di ricerca di Google”.

Riflessioni su "Loro" di Patella

Per una volta parto dal dopo-spettacolo, contraddistinto da Momenti Critici, spazio-occasione voluto da Straligut Teatro, organizzatore della rassegna TeatrInScatola e a cui ho preso parte: si tratta di un incontro/confronto tra il critico e l’artista, con la partecipazione attiva del pubblico. Non comporta – sia chiaro – l’atto recensivo di ciò che è appena terminato (impossibile, almeno per me) ma di realizzare una messa in comune di punti di vista non coincidenti rispetto a un’apparizione vissuta e sparita, tra palco e platea.
Iniziativa lodevole, rientra nel novero degli sforzi che qui – come altrove – si stanno compiendo (nonostante il silenzio istituzionale e l'assenza di un sistema economico virtuoso che funga da incentivo o sostegno) per rigenerare le pratiche teatrali contemporanee, intendendo includere in queste anche l’accompagnamento esegetico, l’approfondimento critico.

il Pickwick

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