“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 24 September 2013 02:00

Lievito madre

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Sono nata in ospedale, il 24/10 di un anno le cui cifre, avessero avuto un altro ordine, sarebbero state una serie interessante. Altri numeri e altre storie sono state raccontate nella casa che un pastore luterano, a Torre Annunziata, complice DT (Diffusione Teatro), ha prestato ad una donna, Alessandra Asuni, per raccontare una storia e farla mescolare, lievito fecondo, alle nostre storie.
Casa. Alessandra Asuni sembra riuscire a creare ovunque attorno a sé lo spazio circolare della casa, a trasformare, con il calore della sua presenza e l’enigma magico del suo sorriso, la luce elettrica in una candela, o magari una lampada ad olio.
Siamo a casa sua, seduti attorno ad un tavolo. Sul tavolo ci sono piccole bottiglie di vetro trasparente, dotate di tappi di sughero. Acqua. L’elemento umido.

La donna è vestita di bianco, ci accoglie seduta, con il ventre gonfio. È un sacchetto di semola, la dispone a fontana sul tavolo, qualcuno aggiunge l’acqua, una bottiglia alla volta, e intanto racconta la sua storia, ciò che sa della propria nascita.
L’acqua e la semola si mescolano in bianchi fiocchi. La donna racconta e impasta. Suda e racconta. E in quell’impastare, in quei gesti eterni, c’è tutta la fatica della gravidanza e tutta la fatica del parto, lo spingere. In quei gesti c’è tutta l’attesa della magica trasformazione di due sostanze in una nuova creatura.
I fiocchi si trasformano velocemente in una pasta liscia ed elastica, cui qualcuno aggiunge il sale, che non deve mai mancare nella casa, perché è amaro come la vita. E lei aggiunge il lievito, quello vero, su madrighe,la matrice, la madre. Perché è la madre, la donna, l’elemento umido che crea la vita.
C’è stato un tempo, in fondo non ancora troppo lontano, se misurato sulla lunga scala del tempo che fluisce, in cui il momento della nascita era affidato esclusivamente alle donne. La partoriente da un lato, le altre donne, parenti, amiche, vicine, dall’altro. Donna era l’ostetrica, la levatrice. Donne si affaccendavano per casa a cucinare, rassettare, scaldare l’acqua, portare asciugamani. Il parto è un rito di passaggio. La figlia diventa a sua volta madre. Per questo è sempre stato circondato di un alone numinoso, per questo ogni civiltà ha ritenuto di doverlo porre sotto la protezione di una divinità donna.
Alessandra impasta e racconta, impasta e modella, con le mani e le parole, le grandi dee della fertilità. Le figure eterne della donna in cui l’essere umano ha espresso il miracolo e il timore della vita. Dee senza nome, come la cosiddetta Venere di Willendorf, e dee di epoche in cui gli esseri umani ne hanno tramandato il nome, come l’Artemide di Efeso, la signora degli animali, la terribile potenza generatrice della vita, o la Madonna di Tindari, bruna come la Madonna del Carmine, icona eterna della madre che genera e protegge nel suo abbraccio il bambino.
Cambiano le forme, cambiano i nomi, eterno è il miracolo che si fa e disfa davanti ai nostri occhi, sotto le mani di Alessandra Asuni, che modella e rimodella quei fianchi larghi, quelle vulve, quei seni turgidi, quei ventri pregni, quelle braccia protettive, quelle donne eterne. Una eterna storia che giunge fino a lei stessa, al suo parto senza dolore e senza colore. Poche parole. Nessuna retorica. Basta un cambio di luce, dalla lampadina al neon, per uscire dalla casa e trasferirsi nell’ambiente asettico dell’ospedale. Guanti in lattice, un taglio, una mano che rovista nella pasta/ventre e ne estrae un neonato/pasta. Il taglio del cordone ombelicale, la ricucitura del ventre e finalmente, al termine dell’operazione chirurgica, il neonato trova il suo posto sul ventre della madre, sul suo seno.
La donna riprende ad impastare. Ci ha donato la sua storia e un pezzo della pasta lievitata. Potremo farne ciò che vogliamo, ciò che sapremo. Potremo mescolare la nostra storia alla sua.

 

 

 

 

Matrici
di
Alessandra Asuni e Marina Rippa
con Alessandra Asuni
elementi scenici Massimo Staich
produzione f. pl. femminile plurale
in collaborazione con le pecore nere
lingua italiano e sardo
durata 40’
Torre Annunziata (NA), Diffusione Teatro, 21 settembre 2013
in scena 21 settembre 2013 (data unica)

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