“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 09 May 2016 00:00

Se amore vuol dir gelosia

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Il palco è trasformato in un interno di una casa altoborghese che ha conosciuto giorni migliori, infatti le pareti dai colori nelle tonalità pompeiane ormai sbiadite portano le tracce dell’intonaco liberatosi del colore qua e là. Sullo sfondo si aprono due porte che comunicano con l’esterno e vi sono tre portabiti messi sulle tre pareti pieni di vestiti dalle sfumature bianche che completano la scena. Anche alcune sedie messe sul palco svelano un passato diverso nella tappezzeria che manca negli schienali. Tre lampadari portacandele pendono dal soffitto a connotare un’epoca.

È la casa di Fabrizio a Milano in cui vivono anche le sue due giovani nipoti: la sanguigna Eugenia e la sorella Flamminia. Eugenia è innamorata, ricambiata con lo stesso ardore, di Fulgenzio e su questa passione si regge tutta la commedia scritta da Goldoni nel 1759, che la regia di Andrée Ruth Shammah ha reso moderna nei dialoghi e nella trattazione dei sentimenti, senza alterare i caratteri dei due giovani attorno alla cui baruffe amorose ruota un mondo fatto di piccole cose e di situazioni quotidiane.
Goldoni si riconosce nei frequenti a parte dei personaggi, nel loro fraseggio incalzante, nei due personaggi dei servitori che ricordano la Commedia dell’Arte: uno troppo chiacchierone e l’altro dalla comica indolenza che ricorda Carlo Croccolo nel ruolo del maggiordomo del barone Zazà interpretato da Totò nel film Signori si nasce. Della regista è la scelta di trasformare questo gioco d’amore in una pièce metateatrale, con la presenza di un regista che assiste alla messa in scena al limitare del proscenio sulla sedia tipica del mestiere, che interviene rivolgendosi agli attori, svolgendo anche la breve funzione di Prologo classico.
I due giovani innamorati potrebbero vivere tranquillamente il loro amore, ma i loro caratteri lo rendono assai litigarello perché Eugenia è gelosa della cognata di Fulgenzio, momentaneamente ospite a casa del giovane perché il fratello è partito affidandogli la consorte. Dietro questo gesto gentile e decoroso, Eugenia vi legge un legame diverso perché Fulgenzio rivolge attenzioni alla cognata che non è solito dedicare a lei. Lui aspetta il ritorno del fratello per poterla sposare, ma anche questo è motivo di gelosia e di ripicche. Giura di non volere vederla più, poi non riesce a mantenere i suoi propositi e la cerca. In questo modo si tormentano, perché sono giovani, perché lei è insicura e vuole continue conferme, lui è intimorito e impulsivo. “Amore, timore, vanità, sospetto, tutto viene dall’amore” si dice sulla scena per spiegare un amore giovanile. Infatti la caratterizzazione data ad Eugenia che l’attrice Marina Rocco realizza compiutamente, è della giovane adolescente ancora troppo fanciulla, che muove i pugni per aria, risponde stizzita, si muove felinamente oppure guerrescamente sull’assito a rimarcare la giustezza della sua posizione. La parola che ricorre frequentemente è sdegno, sono tutti sdegnati dal comportamento altrui, ma “l’amore non si nutre di sdegno, ma di dolcezza”. Altro personaggio sopra le righe è lo zio Fabrizio, anche lui biancovestito con degli assurdi infradito giapponesi, che parla per metafore ardite e complimenti esagerati, cercando di nascondere la sua ristrettezza economica dietro un pranzo luculliano che si rivelerà un disastro. La sua filosofia è che il mentire serve a vivere perché “se mi attenessi alla realtà... che noia!”. Ovviamente ogni cosa nel finale andrà al suo posto: “Non c’è niente come il matrimonio per spegnere ogni passione!”.
Meritevoli di menzione la già citata Marina Rocco e Matteo De Blasio in Fulgenzio, ma uno dei pregi di questa pièce, a parte la leggerezza e la misura, è l’incredibile dizione degli attori: chiara e pulita pur con inflessioni milanesi, le voci forti e limpide che riempivano la scena. Forse la vera novità è proprio qui.

 

 

 

Gli Innamorati
di Carlo Goldoni
drammaturgia Vitaliano Trevisan
regia Andrée Ruth Shammah
con Marina Rocco, Matteo De Blasio, Roberto Laureri, Elena Lietti, Alberto Mancioppi, Valentina Bartolo, Marco Balbi, Andrea Soffiantini
scene e costumi Gian Maurizio Fercioni
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini
foto di scena Fabio Artese
produzione Teatro Franco Parenti Milano
lingua italiano
durata 2h 
Napoli, Teatro Mercadante, 3 maggio 2016
in scena dal 3 all’8 maggio 2016 

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