“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 10 May 2016 00:00

Buffoni, buffonanti e tanto fumo

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Fumiga d’incenso la sala dell’Elicantropo, calandosi in un’atmosfera mistica e grottesca che strappa la logica al tempo per farsi costruzione scenica avulsa, collocata in un altrove indefinito. In questo luogo senza tempo si succede una miscellanea di azioni teatrali che dipanano un ordito drammaturgico vario e convulso.

Se l’incipit è suggestivo, mostrando la strada di un viaggio iniziatico che mescola sacro e profano in una pantomima buffonesca, nel suo procedere drammaturgico l’opera – liberamente ispirata a Michel de Ghelderode – mostra la corda di un filo flebile che prima s’attorciglia su se stesso, per poi spezzarsi in una frantumazione dispersiva che ne rende astruso lo sviluppo, dilatandosi in una miriade di rivoli scenici che ne confondono l’intelligibilità in un arruffo di quadri slegati.
Mascherata buffonesca che si fonda su una pluralità di riferimenti teatrali e non, che vanno dalla Commedia dell’Arte al teatro rinascimentale spagnolo, al senso del macabro di certa arte fiamminga, Dell’Amore e dei Segreti si appoggia su registri linguistici variati che, partendo da un napoletano stretto e terragno, svicolano poi verso una polifonia linguistica cui non mancano distonie evidenti, con un personaggio, Galnut, che s’esprime con un accento pseudo-russo che a tratti sfora il senso del ridicolo, senza che se ne avvertano il senso e la logica scenica.
L’ostentazione buffonesca su cui si regge Dell’Amore e dei Segreti è la sua parte più funzionante, grazie soprattutto ad una prova molto intensa degli attori, componente dello spettacolo cui va riconosciuto il merito di un gran lavoro preparatorio e recitativo; purtroppo non suffragato da scelte drammaturgiche e registiche che si rivelino in grado di scrollare dall’opera la farragine di un impianto pletorico, ridondante, eccessivo, che la rende confusa e cervellotica, non senza un minimo di compiaciuta consapevolezza nel rivolgersi al pubblico: “Non ci avete capito niente, eh?”, dirà ad un tratto uno dei buffoni, sancendo di fatto l'effettiva percezione di chi in platea s'arrovellava nella ricerca di un bandolo da afferrare.
Nel tentare di stare dietro a questo filo che si contorce, scappa e si sfilaccia, si riesce ad estrapolare una traccia generale, ancorché labile, che parla di “buffoni buffonanti” e di vicende cortigiane (segnatamente della corte di Filippo II di Spagna), gli amori sono quelli che sottendono ad una storia che ha per protagonisti per l’appunto i buffoni, storpi e deformi, il sovrano che creò nobile uno di loro e l’amore di questi per Veneranda, donna di nobile lignaggio; i segreti sono invece quelli di un universo magico e alchemico, custoditi dal Maestro dei buffoni Folial, personaggio cardine attorno a cui si fanno ruotare i misteri fondamentali e profondi dell’esistenza (e della pièce).
Nella sua parabola misterica però Dell’Amore e dei Segreti si disperde nel fumo che l’aveva avvolto, in una composizione pencolante nel suo incedere, che aggiunge confusione a confusione con le scelte dei costumi che compendiano la mascherata buffonesca d’un tempo remoto e le vesti da ballerina contemporanea. È vero che, come si ascolta ad un certo punto, “attori e buffoni sfuggono agli oltraggi del tempo come le vere cortigiane”, ma è pur vero che al tempo è pericoloso fare oltraggio con l'ingiuria dell’anacronismo.
Il senso profondo della rappresentazione resta distante, confinato oltre la quarta parete, avvolto da un mistero che è nebbia che non dirada, appesantito da una lungaggine eccessiva e nient’affatto funzionale, aggravio ulteriore di uno spettacolo che arranca fin quasi dal suo inizio, mai dando l’impressione di riuscire a decollare e ad affrancarsi da un senso complessivo di faticosità.
Dal fumo dell’inizio al buio della fine, Dell’Amore e dei Segreti scompare com’era apparso, in un nebuloso affastello di pantomime confuse e dilatate e, sparendo, si lascia dietro la scia delle occasioni mancate, dei segreti lasciati a giacere in fondo ad un baule.

 

 

 

 

 

Dell’Amore e dei Segreti
liberamente ispirato a La Scuola dei Buffoni
e alla drammaturgia di
Michel De Ghelderode
libero adattamento e regia Antonio Iavazzo
con Carmine Losanno, Danilo Del Prete, Giovanni Arciprete, Raffaele Iavazzo, Federica Tornincasa, Marcella Martusciello
movimenti coreografici Francesca Gammella
direttore della fotografia Vittorio Errico
consulenza ai costumi Maria Pennacchio
assistente alla regia Cecilia Arzano
assistenti di scena Rosita De Cristofaro, Benedetta Marra
assistente di produzione Maddalena Carapella
service make-up Francesca Pisano
responsabile promozione Mario Panelli
produzione Associazione Culturale Il Colibrì
in collaborazione con Itinerarte
lingua italiano, napoletano
durata 1h 45’
Napoli, Teatro Elicantropo, 6 maggio 2016
in scena dal 5 all’8 maggio 2016

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