“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 16 May 2022 00:00

I partigiani dell’utopia

Written by 

Tredici attori sul palco del Teatro Bellini, che inizialmente danno le spalle al pubblico e sono rivolti allo sfondo dove campeggia un fumetto dell’autore del testo da cui è tratta la pièce, il fumettista Zerocalcare, alias di Michele Rech, che le note di regia definiscono capolavoro, cioè Kobane Calling, libro da centoventimila copie che lo ha fatto conoscere al di fuori dei confini dell’Italia.

Per i numerosi seguaci di Zerocalcare il vero capolavoro è il primo testo che gli ha dato la notorietà cioè La profezia dell’armadillo, da cui è stato tratto un film non troppo riuscito, per altri ancora capolavoro è Dimentica il mio nome, finalista al Premio Strega del 2015, insomma l’autore “ha qualcosa da raccontare” parafrasando la battuta che Paolo Sorrentino fa dire al regista Antonio Capuano ne È stata la mano di Dio. Tornando a Kobane Calling on Stage, esso rientra nel progetto Graphic Novel Theatre di Lucca Comics & Games, e diventa un’operazione sicuramente difficile quella di trasformare un fumetto in linguaggio teatrale, infatti già l’adattamento dal romanzo non è un’opera semplice e spesso dà risultati infelici, figurarsi un fumetto che ha nel gesto grafico un’ulteriore chiave di lettura difficilmente decodificabile.
Il regista Nicola Zavagli ammette la difficoltà dell’operazione. Ma è un’operazione entusiasmante. I dieci attori sul palco con trolley tra sacchi di iuta sull’assito sono i personaggi che ruotano attorno ai tre principali: partendo dal centro curdo al Testaccio a Roma, Zerocalcare e i suoi due amici co-protagonisti sono approdati a Kobane, città del Kurdistan siriano, per portare aiuti e medicine e raccogliere testimonianze autentiche al di fuori della varia propaganda sul problema della minoranza curda assediata dai Turchi e dall’Isis: “Perché i media italiani tendono a spettacolizzare e a coprire solo il conflitto, noi potremmo fare un’informazione diversa”. Per il gruppo inizia un’avventura difficile emotivamente e straniante. Non sono propriamente ragazzi che vivono ancora in famiglia e bivaccano nei centri sociali come l’immaginario di destra li vuole dipingere, ma sono quasi trentenni, con un diploma in tasca (e qualcuno di loro anche una laurea), hanno seguito tutto il percorso evolutivo tracciato dalle generazioni precedenti, solo che hanno trovato sul loro cammino per l’emancipazione il G8 di Genova − che Zerocalcare cita sempre nei suoi libri come l’evento che gli ha aperto drammaticamente gli occhi − la precarizzazione del lavoro, l’assenza dei partiti e dei sindacati, gli stage, i progettini a termine, il salario (quando c’era) al minimo perciò la “migliore gioventù” ha ripiegato su altre forme di consociativismo come i centri sociali romani dove la musica punk, il linguaggio comune basato su forme di aiuto e di solidarietà si esprime a largo raggio, verso le minoranze, sia etniche che sociali. Gli intoppi alla dogana, la paura che attanaglia i protagonisti una volta arrivati in loco a pochi chilometri dal confine dove lampeggiano le bombe dell’Isis, dell’America e della Turchia, sono realtà che diventano rapidamente presenti per tutti loro che pure ostentano quella  sicurezza e spavalderia che, raccontata dall’autore, si trasforma in comicità. Il gruppo ritorna una seconda volta per andare sulle montagne dove si trova il PKK, il partito curdo che il presidente turco Erdoğan considera fuorilegge e terrorista. Nella narrazione di questo viaggio, come nel precedente, si incastonano le storie dei curdi che si relazionano con loro, con il carico di torture, sofferenze e fughe dalla propria terra. Soprattutto l’esperimento curdo di una forma di governo davvero democratica, musulmana, atea, paritaria dove uomini e donne si rispettano e governano, un’utopia esaltante davvero realizzata.
Sulla scena si rivive quanto fedelmente raccontato nel libro, e la regia e gli attori sono stati bravi nel mantenere una sinossi complessa, che si sviluppa su più piani temporali, ad esempio è tipico di Zerocalcare il frequente ricorso al flashback per chiarire gli snodi concettuali della narrazione presente, e come su di essa si innestino gli interventi del suo io interiore, rappresentato dall’armadillo, o di altri personaggi che assumono le sembianze dei fumetti o dei personaggi dei cartoni animati o delle serie tv che hanno nutrito l’autore fin dall’infanzia. Sulla scena c’è la madre, Lady Cocca, visualizzata sullo schermo, o il fratello petulante di Peppa Pig, George. La rappresentazione scenica del Mammuth, di George e dell’armadillo è la cifra più originale della messinscena perché sono stati rappresentati come dei grossi mascheroni tridimensionali bianchi che gli attori, che spesso agivano in più ruoli, reggevano sulla loro testa chiamati in causa da Zerocalcare con i quali si creavano divertenti siparietti; sicuramente il più esilarante è stato quello con George, il fratello di Peppa Pig. Come nel testo, si chiude ricordando che dietro i disegnetti, come li chiama l’autore, ci sono le persone ed uno dei personaggi soprannominata Cappuccio rosso è Ayse Deniz Karacagil di cui gli attori mostrano al pubblico la foto, uccisa nel 2017 combattendo al fronte e si dedica l’opera ad un italiano partito volontario per realizzare quell’utopia, Lorenzo Orsetti, partigiano di Rifredi caduto nel 2019, che si era sentito chiamato a stare dalla parte giusta.
Il protagonista, assai somigliante a Michele Rech è stato quasi sempre nella parte, difficilissima, di Zerocalcare, mentre i due amici, nella loro acerba recitazione, hanno interpretato con troppa esagitazione il loro ruolo anche nella fisicità. L’entusiasmo dichiarato dal regista nelle note è palese ed evidente e merita sicuramente attenzione per l’intenzione di portare sulla scena il teatro di impegno con linguaggi diversi e complessi, ma l’operazione non è stata convincente per tutta la durata dei novanta minuti. Interrotto dalla pandemia, lo spettacolo è stato completato in questi mesi e, per curiose coincidenze, nel mondo è scoppiata la guerra in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Per questo motivo questa messa in scena, sia pure con molte imperfezioni, diventa meritevole nella sua rappresentazione perché bisogna sempre parlare delle atrocità di ogni guerra, anche in romanesco. Daje!





Kobane Calling on Stage
tratto dall’opera omonima di
 Zerocalcare
adattamento e regia
Nicola Zavagli
con Massimiliano Aceti, Fabio Cavalieri, Marco Fanizzi, Michele Lisi, Carlotta Mangione, Alessandro Marmorini, Cristina Poccardi, Marcello Sbigoli, Pavel Zelinskij, Andrea Falli, Martina Gnesini, Gabriele Tiglio, Matilde Zavagli 
musiche originali Mirko Fabbreschi
video design Cosimo Lorenzo Pancini 
maschere Laura Bartelloni 
assistente alla regia Cristina Mugnaini 
luci Giovanni Monzitta 
fonica Alice Mollica 
costumi Cristian Garbo 
direzione artistica Teatri d'Imbarco, Beatrice Visibelli, Nicola Zavagli 
direzione organizzativa Teatri d'Imbarco Cristian Palmi 
direzione artistica Cristina Poccardi
distribuzione e progetti collaterali Antonella Moretti
organizzazione Patrizia Natale
progetto “Graphic Novel Theater”
Lucca Crea
a cura di Cristina Poccardi, Nicola Zavagli
foto di scena Livia Cannella
produzione Fondazione Teatro di Napoli − Teatro Bellini, Lucca Comics, Teatri d'Imbarco
in collaborazione con Bao Publishing
lingua italiano, dialetto romano
durata 1h 30’
Napoli, Teatro Bellini, 11 maggio 2022
in scena dal 10 al 22 maggio 2022

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook