“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 25 October 2015 00:00

Ce ne sono volute otto di birre

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Ce ne sono volute otto di birre per condurre il faccia a faccia tra Andrea Renzi e Tony Laudadio. Sergio e Marco. Il birraio e il professore. Il padre e il mentore del figlio. Ci sono volute otto birre, sorso dopo sorso, per mettere a nudo due uomini e condurli, su strade diverse in un percorso di autoanalisi, conoscenza e consapevolezza.

La scena si offre obliqua ai nostri occhi, di scorcio, come se osservassimo, o spiassimo, la vicenda da una fessura della quarta parete che ci separa dai due attori e dal loro mondo, chiuso nella saletta di un locale. Sul fondo una doppia scaffalatura colma di bottiglie di birra, che proiettano la loro sagoma sul tappeto rosso che suggerisce idealmente il quadrato della stanza. Due tavolini neri, di legno, con le sedie a spalliera, completano l’ambiente. Sullo sfondo un alto sgabello, cui è appoggiata una chitarra. Brusio di sottofondo, poi parte la colonna sonora, Simon & Garfunkel.
Un uomo entra in scena (Tony Laudadio/Marco). Brizzolato, barba, occhiali di celluloide bordeaux, camicia bianca, giacca di pelle nera. Ha una pinta di birra in mano. Birra di abbazia, precisa una voce dalla sonora parlata umbra, per un attimo ancora fuori campo (Andrea Renzi/Sergio). Alto, snello, brizzolato, camicia a quadri, grembiule bordeaux, anche lui con la sua pinta in mano. Dopo una breve esitazione i due uomini si danno subito del tu. “In effetti volevo dirti qualcosa sai”. Marco, accento veneto, è il professore d’italiano di Francesco, l’unico figlio di Sergio. È la sera di Halloween ma la serata ormai è andata, “non cresce più” come dice il birraio, che non si priva tuttavia dello scherzo di rito, come entrare in scena gridando di dolore con una finta accetta conficcata in testa. Suo figlio non apprezza questo tipo di umorismo di bassa lega, e nemmeno Marco, che già teme di avere un principio di infarto: “Forse per questo trova pessimo il tuo umorismo”. È un ragazzone poco cresciuto Sergio, di eloquio, pensiero, desideri e bisogni elementari. È un intellettuale raffinato Marco, mai sposato, stanco anche di cercare (“la speranza è l’ultima a morire, la prima a morire è la voglia di cercare”), pago di avere come figli i suoi allievi. Due uomini lontani, avvicinati dal ragazzino che è tra di loro, Francesco, assente sulla scena, ma presente nei loro discorsi, motore anzi dei loro discorsi e, in ultima analisi dell’azione.
Ci voglio otto birre, una dopo l’altra, per capire e accettare che suo figlio non parla con lui, ma preferisce rivolgersi ad un estraneo, il professore: “È più facile cercare qualcuno che sia un estraneo per parlare dei propri problemi”. È così, ma al padre sembra inevitabilmente un tradimento. Avrebbe voluto essere un padre complice, un padre amico, “io non voglio essere come mi’ padre”, ma il conflitto generazionale è inevitabile, deve rassegnarsi, anche se “mi dà un certo fastidio ‘sta rivelazione”. Ce ne vogliono otto di birre per far comprendere al padre che suo figlio è cresciuto, sta crescendo, si sta trasformando: “Francesco per me è sempre piccolo”. Ce ne vogliono otto di birre per capire che suo figlio non gli assomiglia, non è come lui, non potranno condividere le battute e gli apprezzamenti sul culo delle ragazze. Ogni birra è una rivelazione, un frammento di storia, interiorizzato e accettato solo alla successiva. Solo un padre orgoglioso, che continua a credere nella generazione dei figli da parte di un uomo e una donna di sesso diverso, ha bisogno di otto birre per capire di cosa stiamo parlando, quali sono i turbamenti di Francesco, quale il modo per chiarirsi le idee. Storia come tante, nemmeno provocatoria, politicamente correttissima.
La prova attoriale di Tony Laudadio e Andrea Renzi è notevole, dalla costruita spontaneità alla creazione dei mille piccoli gesti, tic, inflessioni che costituiscono la sagoma di una persona. Il modo imbarazzato di muovere le dita di Marco, il tormentare i peli sul polso di Sergio, il passarsi la mano tra i capelli e lasciarla indugiare sul collo, come a cercare di sciogliere la tensione che le rivelazioni dell’altro generano, di birra in birra. Allo stesso modo è notevole lo sforzo drammaturgico di creare una lingua e una situazione comunicativa assolutamente plausibile, un frammento di realtà costruita che mima da presso la vita. Sergio e Marco sono due uomini reali e reale è la loro interazione, senza frasi ad effetto o discorsi impostati, da manuale. Prosa quotidiana, quasi banale, come se davvero stessimo ascoltando due persone che interagiscono nella realtà e non sulla scena in una storia a tesi. Ci sono i luoghi comuni, di una parte e dell’altra. C’è la violenza della rivalsa, il desiderio di far provare all’altro il senso di umiliazione, il dover sottostare. E c’è l’amore. Quello puro, incondizionato, di un padre. Quello che si erge come una barriera invisibile allo squallore, al sesso mercenario, ai corpi al posto delle persone, sessi al posto degli uomini. “Basta. Le notti squallide son finite. Basta. Adesso io cerco solo amore. Amore. Senza indietreggiare mai. Mai”.
Forse ne sarebbero bastate anche cinque di birre, per sviscerare la problematica, ma le birre di abbazia sono buone...

 

 

 

Birre e rivelazioni. Atto unico in otto birre
di
Tony Laudadio
con Andrea Renzi, Tony Laudadio
scritto e diretto da Tony Laudadio
direzione tecnica Lello Becchimanzi
suono Daghi Rondanini
scene e costumi Barbara Bessi
foto di scena Marco Ghidelli
si ringraziano Ortensia e Roberto De Francesco, Laila
lingua italiano
durata 1h 15’
Napoli, Sala Assoli, 21 ottobre 2015
in scena dal 21 al 25 ottobre 2015

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