“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 26 October 2015 00:00

Barbonaggio, viaggio

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“… per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”
(Khorakhanè, Fabrizio De André)

 

Un paio di scarpe per andare, un palcoscenico (di legno) già calcato, un altro (d’asfalto, cemento o di qualunque altra materia sia fatta la strada) ancora da calcare; un paio di scarpe che calcano le tavole di un palco sono la prima immagine di Ogni volta che parlo con me, il film che narra del viaggio “barbone” di Ippolito Chiarello; un paio di scarpe sono l’immagine in primo piano che chiuderà idealmente il viaggio alla ricerca – del sé, di un pubblico, di un sé attraverso un pubblico – che l’attore, riestraendo dalla propria indole quell’anima girovaga endemica, ha compiuto in giro per l’Europa, vendendo sulla pubblica piazza, dall’alto d’un trespolo a mo’ d’imbonitore, brandelli della propria arte, tranci di spettacolo diversi, menu à la carte di un fast food itinerante.

Il Barbonaggio Teatrale non è né vuole essere un espediente furbo per portare il teatro fuori dal teatro – secondo una prassi altrimenti invalsa che cerca di coniugare in luoghi altri il fatto teatrale – piuttosto è, il Barbonaggio Teatrale, un modo di mettere in gioco il destino di una professione, quella attoriale, sottoponendosi in prima persona alla sfida di andarsi a cercare il proprio pubblico fuori dai teatri, offrirgli la propria arte in cambio di un obolo e, attraverso quella semplice transazione creare un legame tra artista e fruitore, far sì che lo spettatore occasionale di un frammento recitato possa diventare pubblico effettivo seduto in una platea teatrale. L’obbiettivo non è portare il teatro al pubblico, ma portare il pubblico al teatro, farlo senza mediazioni, uscendo in strada con un impermeabile, un megafono e qualche pezzo da recitare.
Assistiamo alla performance di ippolito Chiarello all’esterno del NEST – Napoli Est Teatro e la nostra prima reazione non può che essere di empatia: chi non ha mai desiderato partire e cambiare la propria vita? C’è questa istanza e c’è questa urgenza nella drammaturgia “barboneggiata” – offerta per frammenti indipendenti e autonomi, che messi insieme andrebbero a comporre la drammaturgia compiuta di Fanculopensiero – Stanza 510 firmata da Michele Santeramo – di cui Ippolito Chiarello fa recita; c’è empatia immediata e c’è poi il lavoro d’attore che balza agli occhi: senza i riferimenti scenici di una quinta, di una platea statica e stanziale, all’addiaccio dell’imprevisto, l’attore barbone, fasciato nel suo impermeabilaccio marrone, un megafono al collo e una seggiola a far da palco di fortuna, imbastisce la propria sfida; il pubblico gli è d’intorno, egli recita brani scenici a richiesta; alcuni di questi prevedono che estragga un registratore, sul quale imprimere (finti) appunti di regia, un Krapp da strada che incide l’ultimo nastro per una scena futuribile.
I monologhi che recita, messi in fila, costituirebbero la drammaturgia compiuta, ma non importa: li puoi comperare in ordine sparso, ciascuno ha la propria compiutezza autonoma: a volte è un monologo bruciante, ironico e immediato, altre è più denso, contenendo le fondamenta etiche dell’introspezione dialogica tra l’attore ed il sé. Alla lunga li ascolti tutti, i monologhi, il menu si completa, e comprendi che quello spettacolo offerto in una sua disomogenea articolazione parcellizzata, possiede un’indole interiore in cui s’addensa il senso, non solo drammaturgico, ma dell’intera “ideologia barbona”, se così possiamo definirla: prendere una vita a caso e viverla, partire senza una destinazione per reinventarsela, fare i conti con la verità attraverso la finzione, scartare un involucro per cercare di arrivare “nel fondo del fondo”, laddove si conserva la più pura onestà a cui improntare la propria opera. Assistiamo, sorridiamo, proviamo empatia, perché in fondo, “nel fondo del fondo”, ci rendiamo conto che il Barbonaggio Teatrale altro non è se non uno sfrondamento del superfluo, una ricerca dell’essenza più pura che anima (dovrebbe animare) questo mestiere: e se ci credi, ci scommetti su, ti metti in gioco, indossi un impermeabile che non ti protegge davvero dal freddo quando fa freddo e ti soffoca dal caldo quando fa caldo, vai in giro reclamando un’attenzione che non è elemosina, ma ingiunzione all’ascolto, invito a specchiarsi, perché non puoi non rivederti in quel dato punto in cui hai pensato di voler cambiare quella tua data vita e ti sei scontrato con le prime e più banali contraddizioni bofonchiando un incerto “ma come si fa?”.
Pratica teatrale sui generis, il Barbonaggio di Ippolito Chiarello conquista afferenza piena alla sfera teatrale (e metateatrale) tout court, attraverso un’esperienza proficua, che vede l’attore diventare protagonista di un viaggio che ne legittimi l’arte – e a quanto pare, la cosa funziona anche bene – portando in giro se stesso e le proprie istanze, il proprio vissuto e la propria ricerca.
Dallo spettacolo performativo a richiesta alla visione del film che ne consegue: Ogni volta che parlo con me, proiettato subito dopo la performance all’interno del NEST, è qualcosa di diverso da un vero e proprio documentario testimoniale di un viaggio, è più che altro una silloge dinamica di uno stato interiore, una corsa per immagini i cui ritmi sono scanditi da musica e montaggio, seguendo ippolito Chiarello e la gestazione del suo progetto “barbone” e nel suo girovagare per l’Europa: non c’è volontà di seguire una sequenza narrativa cronologica: le immagini delle diverse città attraversate per barboneggiare sfumano e si confondono, si mescolano e si sovrappongono; un cameo del critico teatrale Mario Bianchi sembra giustapposto lì a condensare il valore testimoniale del critico rispetto al teatro che passa e allo spettacolo commerciale che tutto trangugia, sputando via l’arte come non necessaria, come non necessarie sembrerebbero essere diventate tutte le professioni all’intorno, per un pubblico che ormai vuole altro perché è ad altro che è stato assuefatto.
Ma il viaggio prosegue, la ricerca dell’attore non s’arresta, la musica accelera, il montaggio diventa frenetico, seguendo Ippolito Chiarello a giro per il mondo tirandosi dietro la valigia, il bagaglio di una vita, dall’alba al tramonto, da un giorno a un altro giorno, incontrando l’altro, cercando sé, viaggiando, per la sola ragione del viaggio.

 

 

 

 

Barbonaggio Teatrale
Fanculopenier’off
da Fanculopensiero – Stanza 510
di
Michele Santeramo
regia Simona Gonella
con Ippolito Chiarello
lingua italiano
durata 1h
Napoli, NEST – Napoli Est Teatro, 18 ottobre 2015
in scena 18 ottobre 2015 (data unica)

 

Ogni volta che parlo con me
regia
Matteo Greco
soggetto originale Ippolito Chiarello, Matteo Greco
sceneggiatura originale Ippolito Chiarello, Matteo Greco, Michele Santeramo
con Ippolito Chiarello
e l’amichevole partecipazione di Mario Bianchi
musiche Gianluca Longo, Michele D'Elia, Valerio Daniele, Raffaele Vasquez, Ennio Ivan Colaci, Brainolotester, Playontape
produzione Kama, Ippolito Chiarello, Matteo Greco
con il contributo di Puglia Film Commission, rete pugliese dei Teatri Abitati e del pubblico pagante
organizzazione generale Elena Riccardo
colore a colori
lingua italiano
durata 62 min.
anno 2014

 

N.B.: Sul Barbonaggio Teatrale si veda anche il diario di viaggio di Emilio Nigro:
Emilio Nigro, Barbonaggio, diario di un viaggio (prima tappa) – (Il Pickwick, 10 ottobre 2015)
Emilio Nigro, Barbonaggio, diario di un viaggio (seconda tappa) – (Il Pickwick, 14 ottobre 2015)
Emilio Nigro, Barbonaggio, diario di un viaggio (terza tappa) – (Il Pickwick, 17 ottobre 2015)

Emilio Nigro, Barbonaggio, diario di un viaggio (quarta tappa) – (Il Pickwick, 22 ottobre 2015)

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