“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 29 October 2015 00:00

La catarsi nella morte

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A Galleria Toledo è andato in scena Saul, la tragedia religiosa di Vittorio Alfieri, diretta da Stefano Sabelli insieme alla Compagnia del Teatro del Loto, dopo trentacinque anni che non si vedeva più (l’ultima rappresentazione fu fatta nel 1980). La tragedia è stata ripresa in maniera diretta e chiara dal regista, senza riadattamenti, rimaneggiamenti, o ammodernamenti. La scelta direzionale di Sabelli ha puntato all’evidenza, al pàthos ed a ciò che significa tragedia nel senso classico del termine, rivolgendosi al cuore ed al senso del testo di Alfieri.

In questa tragedia, infatti, sono le passioni contraddittorie dell’essere umano a farsi protagoniste, i pensieri che albergano nella testa di un uomo dalle mille responsabilità (familiari, sociali, religiose, civili), le azioni spesso non conformi, non accettate, non condivise, segno di insicurezza, indecisione, insofferenza totale ed incapacità di agire fino alla resa dei conti, in cui solo la morte può “resettare” una vita sfortunata.
Saul è un testo letterario complicato ed è l’esempio più importante di tragedia all’italiana, tragedia che attinge dalla sua matrice greca. Ciò si evince, subito, dalla presentazione, già in veste teatrale, fatta da un personaggio in tenuta elegante, che come “nunzio”, annuncia l’inizio dello spettacolo e la sua articolazione in atti e pause. La scenografia che ripropone l’accampamento di guerra e la casa della famiglia israelita è un’impalcatura lignea, la scelta dei costumi è tipica di un Israele antico in lotta religiosa, l’uso del linguaggio d’epoca è quello classico del teatro moderno, con piena enfasi e sacralità di ciò che ci si attende per un classico della letteratura e del Teatro.
È probabilmente la tragedia italiana settecentesca più importante e contiene l’essenza stessa della tragedia classica, dalla catena di “errori” e colpe che è costretto a compiere il re Saul durante il parallelo e coincidente percorso di espiazione di tali colpe e di effetti causati dalle sue azioni che si concluderà solo sul finale, momento catartico della morte.
Il re Saul è costretto a subire l’usurpazione del regno, il ritratto della giovinezza perduta nella figura di David, l’amore non accettato di sua figlia Micol per il giovane ed, alla base, uno scenario di guerra incombente in cui i doveri di un soldato sembrano non rispecchiare più quelli di un uomo. La tragedia è un dramma storico-religioso, fatto di intermezzi musicali, proprio come le pàrodoi greche, ma è anche e soprattutto un dramma interiore che vive il protagonista, un dramma che comincia con la consapevolezza e finisce con l’inevitabile e tanto attesa morte.
L’interpretazione del re Saul è fatta dallo stesso regista, Sabelli, che sembra davvero entrare in uno stato di trance da cui neanche i ripetuti applausi del pubblico, sul finale, lo distolgono, un pubblico poco numeroso ma molto caloroso.
Il vissuto interiore di Sabelli come di tutti gli altri attori, all’interno dell’interpretazione, diventa un vissuto personale che sconfina dai canoni dell’immedesimazione in un personaggio fittizio e sembra, invece, prendere il posto del proprio sé e del proprio corpo.
La tematica biblica, che sta alla base della scelta del soggetto da parte dell’autore e che è ben messa a fuoco da Sabelli, risulta calata in una percezione più pagana che ebraica, in quanto vi è un senso più greco e più politico-sociale che religioso. Gli attori sono “smembrati” e “ricostituiti” in un sé diverso, che ha vissuto qualcosa di grande e sconvolgente, e per questo, la resa recitativa appare enfatica ma senza disturbo ed eccessi, nient’affatto declamatoria ma viscerale. La scena è strutturata con un’impalcatura di legno che sancisce l’alto ed il basso, ovvero in alto il luogo di osservazione di ciò che accade nella realtà, bollettini di guerra e movimenti vari, ed in basso il luogo in cui si “consumano” i sentimenti umani, spesso non graditi all’unanimità.
Saul non accetta l’amore della bella figlia Micol per David, anch’essa, dunque, costretta alla tragedia perché legata indissolubilmente al karma paterno. Ma lo stesso Saul accetta David al comando dell’esercito per proseguire la guerra contro i Filistei, impedendo così al figlio Gionata di ottenere l’eredità al trono. Aleggia dunque sui personaggi, sulla stirpe, una sorta di volontà ancor più che divina, quella del Fato, della Fortuna, che annebbia la casata israelita e premia gli autentici valori eroici e sentimentali del giovane David. Saul vede in David la sua giovinezza ormai perduta, ma, per volere della figlia, decide di accoglierlo, decide, dunque di accogliere in casa il “nemico”, colui che gli ruberà il trono portandolo alla rovina. Il tragico sta proprio in questo, in una profonda empatia da parte del pubblico nei confronti della situazione che sta accadendo e contemporaneamente la catarsi del tragico avviene grazie all’espiazione della sofferenza, che, in questo caso, avviene con la morte, quella morte come atto universale di libertà che Alberto Savinio, nella sua parodia della tragedia, riscopre come unica possibile via catartica per l’epoca contemporanea. In Alfieri, invece, c'è un diverso sentimento del tragico, tenendo conto che l'opera fu scritta a fine ‘700.
In una ripresa così classica della tragedia che sceglie di fare la Compagnia del Teatro del Loto, credo che l’aspetto interpretativo stia proprio nella ricettività del pubblico e nel modo di riadattare questo materiale ereditato dalla modernità. Dalla modernità, dunque, al contemporaneo, ovvero alle nostre singole vite, alle nostre tragedie, superate o ancora no, ironiche oppure ancora drammatiche, che come Saul si consumano ogni giorno e giorno per giorno, rispettando l’unità di spazio, tempo ed azione aristotelica.
Le musiche, con partiture Klezmer, requiem di Mozart, sono eseguite dal vivo dal Trio dei fratelli Miele e sembrano fare da contrappunto agli endecasillabi di Alfieri, esaltandone la potenza epica e lirica, che rimanda a vecchie e nuove diaspore e intifade. Il tessuto musicale fa emergere, con grande efficacia, le molteplici verità di un personaggio straordinario e unico nel teatro italiano: per complessità, potenza e modernità, il folle re alfieriano, avverso al clero e che teme il guardarsi dentro, nulla ha da invidiare ai grandi, folli re shakespeariani ed agli uomini politici del nostro tempo, volendo fare un parallelo con la contemporaneità, che agiscono, senza prima lucidare la loro vita e continuano in una catena di azioni che non sempre porta al Bene, ma almeno ci provano.

 

 

 

Saul
scene e regia
Stefano Sabelli
con Stefano Sabelli, Gregorio De Paola, Bianca Mastromonaco, Giulio Rubinelli, Fabrizio Russo, Pasquale Arteritano
musiche a cura di Trio Miele (Angelo Miele bajan, Alessandro Miele violino, Maria Miele violoncello)
costumi Laura Riccardi, Chiara Ravizza
fondale di scena da un’opera di Giovanni Ferroni Tommasi
aiuto regista Gianmarco Galuppo
luci Daniele Passeri, Andrea Ziccardi
fonico Vittorio Ziccardi
macchinista Denni Mastroiacovo
service Music Service CB
sartoria e attrezzeria Polvere di Stelle Vasto
foto di scena Mamiphoto di Max Ferrante
produzione Compagnia del Teatro del Loto
distribuzione Elena Romeo
lingua italiano

durata 1h 30’
Napoli, Galleria Toledo, 21 ottobre 2015
in scena dal 21 al 25 ottobre 2015

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