“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Roberto Cirillo

Queste fantasme

Ovvero: del teatro Pop-olare non populistico, civile, attraverso il romanzo delle popolane e non del popolino.
Esistono cose che sono inenarrabili. Lo sono per i più svariati motivi. Perché estremamente complesse. Perché troppo dense per essere compiutamente scandagliate. Perché ci coinvolgono troppo. Perché la materia di cui trattano è talmente stratificata che è impossibile qualsivoglia riduzione.

Ne basta uno...

Si potrebbe cominciare in tanti modi diversi.
Uno potrebbe essere quello di partire dai numeri. Rilanciare i numeri. Si farebbero scoperte niente affatto scontate, come quella stante la quale, in realtà, da quando c’è lui (innominato ma in minuscolo, perché tale è la sua statura umana) il numero di irregolari è aumentato anziché diminuito. Notizia del solito beninformato sinistroide o, come li definisce lui, radical chic? No, sono i numeri che dà il Viminale, in forza dei quali, a smentirlo, non è uno di quei giornali faziosi e di partito, ben foraggiati dalle controparti politiche. No, è Il Foglio.

Madre Courage... fatti ammazzare!

Lo spettacolo comincia con gli attori schierati di spalle al pubblico. Tanti. Come soldati. Tutti tranne lei. La protagonista. Al centro. La vediamo e attraverso l’eccezionale scenografia di Luigi Ferrigno vediamo loro che guardano lei. Loro che, in un gioco di prospettiva, sono schierati insieme a noi. Perché è lei, indubbiamente, la protagonista indiscussa dello spettacolo. Sulle sue spalle si regge l’intero gioco.

Mémoire di Vespasiano

Cessi pubblici (Cesuo, in originale) dura un’ora e quaranta, ma non basta. Non basta al pubblico, che ne vorrebbe di più, non basta ai fini della storia, che tanto altro avrebbe da raccontarci di sé, e certamente non basta al prorompente Sergio Basso, che di cose da dire ne ha. A pacchi. E lo sa. Ce lo fa intendere e ce lo fa desiderare.

Labile è il genere più di ogni altra cosa

Il palco è scarno. Apparentemente. Su una tavola di ponte appaiono gli strumenti di un (una?) grafico. Un (una?) dj. Un (una?) videoperformer. Un pc. Un mixer. Delle lampade. Per terra qualcosa di confuso. In alto, spicca, come un sole nero egiziano, un telo rotondo.
MDLSX è un'esperienza per chi vi assiste e la testimonianza di un’esperienza per chi la mette in scena. Un’esperienza artistica originale che narra un’esperienza meno unica di quanto ci si possa figurare. Estrema ma dal contenuto elasticamente permeante a copertura di noi tutt*.

L’Orlando seduto

Lo spettacolo scritto e portato in scena da Lucia Calamaro (vincitrice di tre premi Ubu nel 2011 fra cui il miglior nuovo testo italiano o ricerca drammaturgica, per L’origine del mondo, ritratto di un interno), Si nota all’imbrunire (Solitudine da paese spopolato) fa della mancanza di silenzi la sua cifra stilistica. Mancanza di silenzi che (se da una parte vengono invocati da una canzone spagnola) sono soppiantati dal chiacchiericcio convulso dei personaggi, vittime (e noi a nostra volta) d’una glossolalia incontenibile quanto ridondante, a tratti virulenta.

Incoscienti di classe

Quante sfide in un’unica occasione.
Sfidante era portare la classe operaia al cinema.
Sfidante è riportarla a teatro.
Sfidante è trattare della resa in teatro di un film, senza soffermarsi sul film.
Perché La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, anno del Signore 1971, è un film che, se all'uscita nelle sale venne accolto da opinioni discordanti (vedi infra), oggi si è conquistato sul campo i galloni di cult indiscusso, la cui aura di fervido amore di cui è inghirlandato è più longeva che mai. Lo stesso amore che avrà animato Paolo Di Paolo (trentacinquenne autore di Mandami tanta vita, Una storia quasi solo d’amore, Dove eravate tutti) quando avrà carezzato l'idea pazzesca di riproporlo in teatro, per conferirgli una seconda vita, insufflato indubbiamente anche da un’istanza civile urgente. La stessa che, come corrente elettrica alternata, attraversa con un flusso vibratile e febbricitante, le performance degli attori.

Ha ancora senso portare Pasolini a teatro?

Per Massimo Popolizio, evidentemente sì. Al grande pubblico più conosciuto come attore che regista (fra le sue interpretazioni al cinema spiccano il Terribile di Romanzo criminale, Vittorio ‘Lo squalo’ Sbardella de Il divo e il guru del botulino ne La grande bellezza), Popolizio non è nuovo nel percorrere solchi pasoliniani, essendosi di recente cimentato nella lettura radiofonica proprio di Ragazzi di vita e di Una vita violenta.

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il Pickwick

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