“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 22 June 2013 02:00

La bugia del Pinocchio "aumentato"

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Augmented Pinocchio motiva il suo valore teatrale con la novità della coesistenza, sul palco, di un attore in carne e ossa tra immagini dalla definizione fittizia. Cominciamo, dunque, cercando di comprendere se tale scelta richiami, o meno, il Pinocchio di Collodi.

“La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: un seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo che pareva fumo davvero. Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino”. Abbiamo scelto l’inizio del terzo capitolo del Pinocchio di Collodi perché è qui che davvero comincia la favola. Due elementi: Geppetto e la casa. Andiamo con ordine.
Geppetto.
Geppetto ha consistenza reale, tangibile, carezzabile: le sua mani sono rugose, le vene potrebbero apparirvi se vi apparissero i polsi, la gamba sinistra è assai arzilla, quella destra un po’ meno, in testa – questo Geppetto così vero – porta una zazzera gialla che non sembra una capigliatura ma una parrucca tagliata male: “Polendina” lo chiamano i ragazzi del vicinato, quand’egli si urta perché una pietra o un pallone gli urta la porta. “Polendina” – soprannome in vernacolo – consente a Collodi di dare ancora più spessore alla carne dell’uomo. Egli, dunque, esiste.
La casa.
La casa è una stanzina soltanto, in cui tutto dentro si tiene: una seggiola cattiva (una sola? Una sola! Egli evidentemente non attende assai visite); un letto poco buono, che scricchiola ad ogni sbadiglio; un tavolino tutto rovinato, tanto che il fondo del bicchiere da cui beve s’incastra perfetto in un buco. Si direbbe che anche la casa esista davvero, in Pinocchio, ed allora vi chiediamo: ne siete proprio sicuri?
La casa, forse.
La casa forse esiste, anzi è parere di chi scrive che la casa non esista per niente. Da cosa lo si deduce? Primo: Collodi ci dice che la stanza prende luce “da un sottoscala”, il che presuppone vi sia una scala che porti ad altre stanze ma, queste stanze, non appaiono mai: occorrerebbe dunque pensare ad una dimora con una scala – d’accordo – che dia però sul vuoto o sul buio o su un buco o voragine di vuoto e di buio. Secondo: la seggiola è cattiva, passi; passi anche per il letto poco buono e si taccia, inoltre, sul “tavolino tutto rovinato” (pur riflettendo che siamo in casa d’un falegname…) ma come si spiega – dopo lo sfoggio di quest’arneseria così misera, malridotta e tarlata – la ricchezza della parete di fondo: un caminetto col fuoco, una pentola che bolle allegramente ed una nuvola di fumo che sale. Si spiega scrivendo che il caminetto è un disegno quanto sono un disegno il fuoco, la pentola, la nuvola di fumo che “pareva fumo davvero”. Che pareva, scrive Collodi.
Doveste darci ragione converrete che:

 

– La favola è una favola e, in quanto favola, favoleggia come fanno le favole: inventa, fantastica, ricama ed esagera, sfida ogni legge scientificamente a noi nota optando per leggi scientificamente marziane del tipo: un pezzo di legno può parlare, esiste un uomo chiamato davvero Mangiafuoco, un bambino può diventare un asinello, un burattino può diventare un bambino. Ogni mondo possibile è un mondo reale, ci insegna la favola.

 

– In questa specifica favola abbiamo un uomo reale – dotato di bastone e di piedi, di cappello e di spalle, di giacca e di denti, di scarpe e capelli – al contatto con un mondo fantastico, illusorio ed esistente quanto esistenti lo sono le illusioni dei mondi fantastici.

 

Dunque la scelta produttiva di Augmented Pinocchio sembra un’ispirazione ispirata dall’ispirazione ispirata del romanzo d’origine: ecco un uomo reale all’interno di un mondo fantastico, un mondo di cui si potrebbero ridisegnare le forme, di cui si potrebbero elencare i colori, di cui si potrebbero indicare gli oggetti che vediamo scorrere sul fondo senza che forme e colori di questi oggetti siano davvero esistenti: non esiste il caminetto quanto non esiste la stanza, non esiste la stanza e non esistono le onde del mare, il teatrino dei pupi, le fauci scure di un pescecane ed il cielo azzurrissimo, il grosso bidone di lische e cartacce, la pioggia di stelle che si dispensa ad ogni magia inesistente. Insieme di ciò che è pesabile con ciò che non ha alcun peso, Augemtend Pinocchio è performance cine-teatrale (più che vero e proprio teatro) che si regola con la logica illogica delle fiabe.
È in questa sperimentale formula di richiamo al gran libro che i trucchi più riusciti ci paiono essere:

 

– Le sparizioni dell’uomo che tramuta se stesso in ombra di se stesso, in ombra dell’ombra di se stesso, in se stesso tra ombre di se stesso. “Ma come ha fatto a sparire?” chiede una bellissima bambina dagli occhi scuri con il suo sguardo scuro e prezioso, a fine spettacolo, volgendo il capo alla madre.

 

– La giocoleria da piccolo palco o da cabaret di provincia: la fiamma che arde nel palmo della mano, la mutazione in fatina con contrasto grottesco tra i capelli azzurri e la barba rossiccia (“Guarda che brutta, mamma!” sussurra il bambino che mi è accanto, non smettendo di sghignazzare se non dopo una decina di minuti) ed il bastone che compare e scompare, il piede messo per errore in un secchio, la lampadina che s’illumina per illuminare un’idea.

 

– L’uso (romantico e passato nel tempo e per questo più caro) degli attrezzi più poveri: i fogli di giornale per tagliuzzare gli omini, gli aerei fatti volare con la punta delle dita ed un burattino di legno (i cui arti non stanno mai fermi) in onore del quale sentiamo un “Ooohhhhh” profondissimo accorgendoci poi che – questo “Ooohhhhh” profondissimo – è il nostro.

 

Ciò scritto possiamo affermare che Augmented Pinocchio è uno spettacolo riuscito o riuscito davvero fino in fondo? No, non possiamo. Troppo evidenti, infatti, sono certe imperfezioni o certe sfortune tecnico-strutturali. Ne elenchiamo alcune: la (talora) scarsa corrispondenza tra i movimenti del performer e gli ologrammi proiettati su scena (si pensi soltanto ai centimetri di distanza – quand’egli è burattino – tra i fili che lo dovrebbero muovere e le mani e le gambe ch’egli agita nel vuoto o al grillo che, invece di posarsi sulla tavola, si posa… a mezz’aria); certa eccessiva reiterazione di effetti (che tendono troppo alla replica) per una drammaturgia tutto sommato troppo scorciata (il libro, infatti, è reso solo per accenni fugaci e leggermente confusi); la mancata sorpresa finale di coriandoli che non sono volati lasciando a secco l’intera platea (il tubo giù in basso arranca, stantuffa, sfiata un po’, emette una decina di pezzetti di carta poi rinuncia del tutto: può capitare ma non deve capitare). Questo ed altro fa comprendere che il progetto – per funzionare sul serio (ovvero per essere seriosamente felice) – necessita di tempo, di lavoro, di prove ed un po’ di fantasia in più.
Dunque. 
L’Augmented del titolo sta per “Augmented Reality” ovvero “Realtà Aumentata” e rimanda alla produzione d’immagini che accresca la percezione sensoriale attraverso la virtualità ma – da Augmented Pinocchio – il capolavoro di Collodi non viene “aumentato” in termini d’immaginazione quanto ridotto a scorci di pantomima posti all’interno di una bella cornice ricolorata, tridimensionale e capace di produrre, coi sorrisi, anche qualche imbarazzo di troppo.
Tra ciò che abbiamo visto e ciò che leggemmo preferiamo ancora ciò che leggemmo. Ad esso torniamo nel finale, per chiudere.
“La stanza di Geppetto era una stanzina terrena…”.

 

 

Fringe E45
Augmented Pinocchio
regia e interpretazione Michele Cremaschi
scenografie e modellazione 3D Studenti al terzo anno di corso alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia
produzione Associazione Retroscena
durata 45'
Napoli, Galleria Toledo, 19 giugno 2013
in scena 19 e 20 giugno 2013

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