“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 09 November 2018 00:00

50 e più videogiochi per i figli di Calenda

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Alcuni giorni fa l'ex Ministro Carlo Calenda ha dichiarato che a casa sua i “giochi elettronici” non entrano, poiché pericolosi in quanto possono creare dipendenza, e che ritiene che bisogni tornare alla lettura, alla cultura, allo sport e ad attività che promuovono capacità come la logica, la capacità di informarsi e la socialità. L’affermazione ha suscitato una reazione vivace da parte di molti che, attraverso quella che lui ha interpretato come una aggressione per una posizione diversa, hanno voluto in realtà salvare quei poveri figli dall’ignoranza (specifica riguardo l’argomento dei giochi digitali) e dai pregiudizi evidenti del padre.
In questo “evento” ci sono almeno due aspetti tragicomici che vale la pena sottolineare.

Il primo è Calenda che si lamenta di essere fatto passare per retrogrado e che però usa il termine “giochi elettronici” (termine che include anche il Sapientino), un po’ come se qualcuno preoccupato da Spotify si dicesse allarmato dagli effetti nocivi dei grammofoni. E la cosa è ancora di più divertente (o allarmante) notando che poi l'ex Ministro parte dai videogiochi per parlare dei rischi delle “innovazioni”, quando per l’appunto Pac-Man (che non è nemmeno il primo videogioco) è già del 1980.
Il secondo è che da questa affermazione si suppone che Calenda, non essendo un videogiocatore, sia un uomo di cultura che ha letto molto e che ha grande capacità di informarsi. Eppure con una affermazione così generale e poco informata (giochi come Baldur's Gate del 1998 comprendono anche un milione di parole, quasi il doppio di Guerra e Pace, alla faccia della lettura) dimostra esattamente il contrario. Le “persone di cultura” (posto che questa affermazione significhi qualcosa) infatti non ragionano secondo stereotipi, si informano prima di affermare qualcosa pubblicamente (guidati sia da quella vecchia paura di fare una brutta figura che da quella vecchia responsabilità morale di influenzare altre persone), evitano sempre critiche generiche a intere classi di cose (perché sanno bene che sono tutte estremamente fallaci) e soprattutto sono persone disposte a cambiare idea. Invece quando qualcuno suggerisce all'ex Ministro di provare alcuni titoli di videogiochi, egli risponde “ognuno ha i suoi limiti” (ricredersi è dunque il suo?) e ribatte dicendo che preferisce una bella serata con pizza e Monopoly... Ah, il Monopoly! Fare di tutto per diventare i più ricchi facendo fallire tutti gli altri giocatori portandoli alla miseria, questo sì che è un bel gioco educativo per i figli di Calenda. Ma poi alla versione digitale del Monopoly quei bambini ci possono giocare o no?
Battute a parte, da un punto di vista politico la cosa è poco interessante, dopotutto nell’era del ritorno al valvassino cosa c'è di più normale che la paura delle diavolerie di luce e suoni chiamate “videogiochi”? Inoltre siamo ormai anche tristemente abituati a politici che fanno affermazioni senza essere informati (se non volutamente mendaci). Da un punto di vista culturale, tuttavia, l’affermazione è grave e serve dunque un altro mezzo culturale per rimediare al torto fatto e informare le molte persone (lecitamente) disinformate. Infatti, non soltanto ci sono evidenze scientifiche riguardo a molti benefici legati ai videogiochi (da capacità cognitive come dimostrato da Daphne Bavelier, a benefici legati all’apprendimento come dimostrato da James P. Gee) ma soprattutto alcuni videogiochi sono a tutti gli effetti dei prodotti di un grandissimo valore culturale. Cosa che stiamo per mostrare.
Prima di stilare la nostra lista, tuttavia, vanno fatte tre importanti precisazioni. La prima è che questa lista poteva essere ovviamente molto più estesa, la seconda è che nessuno di questi titoli rientra nell’edutainment (giochi appositamente educativi e non commerciali), e infine che questa lista NON è una difesa assoluta di TUTTI i videogiochi (che sarebbe commettere lo stesso errore dell'ex Ministro). Non si nega cioè qui che ci siano dei possibili “rischi”, essi esistono nei videogiochi come altrove (molti si suicidarono dopo aver letto I dolori del giovane Werther), e né si vuole affermare che i videogiochi siano “meglio di” altro.
Senza perdere altro tempo, ecco dunque alcuni videogiochi che ogni buon genitore dovrebbe suggerire ai propri figli.

1) The Talos Principle (2014)
Poiché i videogiochi sono innanzitutto capolavori matematici, essi sono per eccellenza un fantastico modo di far funzionare la logica. In particolare, esiste un genere chiamato “puzzle” che si concentra quasi unicamente sul proporre sfide logiche ai giocatori. Talos Principle fa però ancora di più e inserisce questi puzzle logici all’interno di un gioco altamente filosofico che riflette sulla natura umana stessa, sulla differenza fra logica umana e logica informatica, chiama in causa concetti da svariate aree culturali (dalla mitologia alla fisica), e propone al giocatore un mondo “post-umano” in cui immergersi e in cui la conoscenza accumulata diventa la chiave per far rinascere il mondo da un futuro agghiacciante.
P.S.: un altro puzzle game in una direzione simile è The Turing Test (2016), ma l’esperienza puzzle forse più intelligente e divertente di sempre rimane Portal 2 (2011)

2) Wheels of Aurelia (2016)
Un orgoglio tutto italiano in cui attraverso quello che sembra  un semplice “giochino” di guida, il giocatore assiste a numerosi dialoghi riguardo molti temi conflittuali, politici e sociali, dell’Italia fra gli anni '70 e '80. Temi che ancora oggi sono in realtà di attualità e rendono questo gioco semplicemente prezioso! Un gioco che dunque pone enfasi sulla lettura e sulla riflessione, che permette uno sguardo storico sul nostro passato italiano vicino, e che propone al giocatore anche molte scelte attraverso le quali può lentamente scoprire sempre meglio tutti i vari personaggi e la storia (o meglio Storia).
P.S.: a proposito di giochi sulla Storia italiana, bisogna anche qui citare il recente gioco Ustica (2018) che unisce la funzione del gioco a quella del documentario per non dimenticare questo terribile evento che ha segnato il nostro Paese.

3) Papers, Please (2013)
In uno Stato fittizio governato da un regime totalitario, il giocatore incarna il ruolo di un ispettore di frontiera che deve decidere chi far passare nel Paese e deve farlo il più in fretta possibile in quanto la sopravvivenza della sua stessa famiglia dipende da questo. Ma questa decisione non è solo difficile per il numero sempre più complesso di regole da applicare, quanto soprattutto per il fatto di trovarsi “faccia a faccia” con tante persone che gli chiedono aiuto e lo mettono dinanzi a scelte morali. Persino la meccanica del gioco, che consiste nel compiere freneticamente tutta una serie di operazioni amministrative per decidere della vita di altre persone, problematizza il tema dell’immigrazione e le sue logiche. Di grande valore narrativo, storico ed emotivo, un altro gioco da non perdere.
P.S.: a proposito di meccaniche di gioco capaci di influenzare il significato di un gioco, un altro titolo imperdibile è la fiaba Brothers: A Tale of Two Sons (2013). Oltre al fantastico lavoro artistico e alla narrazione, qui il gioco propone al giocatore delle difficoltà cognitive che tematizzano tutte l’idea della fratellanza grazie a un sistema per cui bisogna far collaborare i due fratelli in modo che le loro differenze si completino a vicenda. Un gioco intelligentissimo, privo di qualunque forma di violenza e commovente.

4) The Last of Us (2013)
Apparentemente uno dei tanti “ammazza-zombie”, The Last of Us è un gioco che ha toccato milioni di persone per la sua profondità. Il giocatore si trova infatti nei panni di un padre che ha perso la figlia e che si ritrova in un mondo post-apocalittico a doversi prendere cura di una ragazza adolescente. Inizialmente cinico e sofferente per quanto accaduto, il giocatore-protagonista farà di tutto per proteggere quella ragazza, al punto da dover effettuare una scelta terribile alla fine della storia. Questo gioco prende tutto il meglio dei prodotti culturali a tema zombie (riflessioni sulla natura umana, sulla fragilità dei valori, sul mondo contemporaneo e sul futuro che ci potrebbe attendere) e tanto attraverso la grafica eccezionale che attraverso la sua narrazione aggiunge il grande tema dell’amore dei genitori per i figli. Si aggiunge a questo un gameplay basato molto più sull’intelligenza e sulla sopravvivenza che non sull’uccisione.
P.S.: e a proposito di scelte morali difficili in mondo apocalittici, con tanto di riflessione storica sulle ideologie politiche del passato, vale la pena qui citare anche Fallout 3 (2008). Mentre a proposito di storie toccanti sull’amore per i figli non si può non citare qui il thriller-dramma Heavy Rain (2010).

5) Orwell (2017)
Ispirato al famoso romanzo 1984, questo gioco affronta il tema della sorveglianza nell’era digitale, del profiling, e del controllo politico dell’informazione. Ancora una volta qui ragionamento e sfida morale (sarà il giocatore a dover dedurre, fornire e anche manipolare queste informazioni) si uniscono per costruire una esperienza di gioco ricca di spunti di riflessione su temi attualissimi e che certamente sono positivi per quanto riguarda la formazione di un pensiero critico sull’informazione.
P.S.: un altro gioco che porta a riflettere criticamente sulla nostra società e sul nostro futuro è senza alcun dubbio Inside (2016).Un gioco dall’incredibile qualità artistica e dove le immagini valgono davvero più di mille parole.

6) The Stanley Parable (2013)
Un videogioco che riflette... sui videogiochi! Un gioco che attraverso un meta-racconto problematizza temi quale il ruolo dell’autore e del lettore, la libertà di scelta, la costruzione del significato e molto altro ancora. Qui il giocatore nei panni di Stanley, un impiegato che passa le sue giornate a premere dei tasti senza riflettere, si troverà di fronte a diverse possibilità di non ubbidire al narratore e di mandare all’aria l’intera storia. Ironico, profondo e semplice da giocare, un gioco che mette in crisi il proprio medium e si allaccia ai più grandi temi studiati già nella teoria della letteratura.
P.S.: ancora più provocante di Stanley, No More Heroes (2007) è un gioco del famoso Goichi Suda che anche qui propone un meta-discorso sull’insensatezza delle storie di alcuni videogiochi violenti. E ce lo propone esattamente ricreando un tipico (e divertentissimo) videogioco del genere, un mondo in cui noi non siamo affatto eroi (andando avanti e ammazzando senza alcun vero motivo o scopo) e in cui di fatto non ci sono più eroi possibili.

7) Elegy for a Dead World (2014)
Immerso in alcuni bellissimi paesaggi artistici a tema spaziale, qui il giocatore deve scrivere  la sua personale interpretazione di ciò che vede, immaginando egli stesso la storia di questi luoghi virtuali. Un gioco poetico sia visivamente che nella sua meccanica stessa, qui non soltanto si legge moltissimo (leggendo tutte le altre interpretazioni degli altri giocatori), ma si scrive persino.
P.S.: un altro gioco che mette al centro la scrittura è Scribblenauts (2009) dove il giocatore può scrivere delle parole su un taccuino magico per far comparire visivamente i loro referenti nel mondo e aiutare così tutti i cittadini con i loro problemi.

8) Metal Gear (1998-2015)
Uno dei più grandi capolavori non soltanto dei videogiochi ma di tutto il pensiero pacifista. Se il giocatore incarna infatti un tipico agente segreto, durante tutta la serie il gioco lo spinge in realtà alla non violenza (l’arma iconica del protagonista è una pistola narcotizzante) e a capire l’orrore della guerra: una guerra che in ogni capitolo si fa di tutto per fermare. Basato sullo stealth e sulla capacità strategica di previsione, il gioco è anche famoso per i suoi lunghi dialoghi, le sue storie toccanti, la sua rielaborazione di veri fatti storici e moltissimi filmati che lo avvicinano di fatto al cinema.
P.S.: altro gioco con una meccanica “pacifista” simile è Dishonored (2012) in cui si incarna un killer che vuole vendetta ma che permette al giocatore di scegliere di non uccidere nessuno e che offre un happy ending solamente se il giocatore ha ottenuto il suo scopo rifiutando la violenza. Anche se il grande capolavoro in questo senso rimane forse Undertale (2015) dove l’intero gioco presenta delle interazioni originali per poter giocare in modo completamente pacifico e affronta molti temi importanti attraverso una estetica al tempo stesso infantile e affascinante. Infine, a proposito di cinema non si può non citare il famoso e splendido Grim Fandango (1998) che è una divertente e intelligente avventura ricchissima di citazioni cinematografiche.

9) Papo & Yo (2012)
Non tutti i padri amano i propri figli, e spesso questi bambini devono rifugiarsi in mondi alternativi per sfuggire alla violenza della loro quotidianità. Vittima di un padre violento e alcolista, il giocatore incarna un bambino che deve affrontare le sfide logiche di un mondo magico metaforico e a tratti spaventoso. Il suo lungo viaggio in questo mondo lo porterà ad accettare una terribile verità rimossa e non lascerà il giocatore indifferente.
P.S.: meno esplicito e tematico, ma in realtà altrettanto profondo, va anche citato The Binding of Isaac (2011) dove anche qui il gioco rappresenta la fuga mentale di un bambino che deve scappare dalla follia sua madre. Attingendo metaforicamente tanto alle figure della Bibbia quanto alle figure del nostro inconscio, il gioco colpisce molto per il suo immaginario e presenta diversi livelli di lettura e interpretazione. E sempre in tema di immaginari e giochi che richiedono importanti sforzi interpretativi non bisogna dimenticare il bellissimo Limbo (2010), in cui il gioco di luci e ombre costituisce di per sé uno spettacolo incredibile che dipinge un mondo al tempo stesso spaventoso e toccante.

10) This War of Mine (2014)
Contrariamente al preconcetto di videogiochi visti unicamente come “svago”,  ci sono giochi digitali che sono innanzitutto un pugno allo stomaco. This War of Mine fa provare al giocatore l’esperienza della guerra vista da parte delle vittime civili, portandolo ad avere paura di quello che potrebbe succedere ogni notte, a preoccuparsi di poter aver abbastanza acqua e cibo per far sopravvivere anche i suoi amici, ad ascoltare ogni giorno la radio nella speranza disperata della notizia della fine della guerra, e a dover costantemente affrontare dilemmi morali con le sue relazioni con gli altri.
P.S.: Frostpunk (2018) ricrea una esperienza simile richiedendo al giocatore di dover applicare certe leggi per far sopravvivere una intera comunità. Mentre un gioco come Valiant’s Heart (2014) fa rivivere al giocatore il dramma umano della Prima Guerra Mondiale ed è ricco di vere informazioni da raccogliere su quel periodo tanto drammatico.

11) Hellblade: Senua’s Sacrifice (2017)
Realizzato con la collaborazione di veri psicologi e psichiatri, questo meraviglioso gioco affronta in modo metaforico il difficile tema della psicosi vissuta dalla guerriera protagonista. L’impatto sui giocatori è stato così forte che moltissime persone hanno scritto ai produttori ringraziandoli per aver aiutato sia chi soffre di patologie simili a sentirsi meno soli che chi non è sofferente e grazie al gioco è riuscito capire meglio questa condizione. Basta leggere quelle lettere per avere già le lacrime agli occhi e aver voglia di provarlo.
P.S.: ci sono anche molti giochi che cercano di ricreare condizioni simili a quella della cecità come Dark Echo (2015) e Perception (2017) e spingono i giocatori ad avere una più grande comprensione di diversi modi in cui è possibile percepire e dare senso al mondo.

12) Ico (2001)
Rompicapo a suo tempo esteticamente stupendo, e pieno di sentimenti, questo gioco ha segnato una intera generazione di giocatori. Al tempo stesso riprendendo e reinventando la figura del principe che salva la principessa, il gioco mostra come la fragilità possa diventare forza e ci fa letteralmente giocare tenendo per mano la ragazza da salvare dandoci come scopo primo quello di “proteggere” l’altro.
P.S.: un altro rompicapo dall’impatto fortemente emotivo è sicuramente To the Moon (2011), con una storia di amore originale e molto matura sul ruolo e sulla natura della memoria nella mente e nel cuore. Infine non possiamo non citare il toccante Braid (2008) dove la meccanica della manipolazione del tempo per risolvere vari puzzle è essa stessa il tema narrativo del gioco incentrato sulla volontà di cambiare il passato.

13) Fez (2012)
A volte la mancanza di lettura non è affatto qualcosa di negativo, come nel caso di questo gioco in cui la meccanica centrale è di per sé il grande tema. Per risolvere i vari puzzle di questo gioco, infatti, bisognerà costantemente cambiare prospettiva e guardare le cose da un punto di vista diverso.
P.S.: simile a Fez vi è anche Another Perspective (2014) che attraverso la sua meccanica è ancora più esplicito di fronte alla necessità di saper rivedere le nostre convinzioni e posizioni. Ma può valere anche la pena giocare a Sometimes Success Requires Sacrifice (2015) dove, ancora una volta senza grandi discorsi ma solo attraverso il funzionamento stesso del gioco, si riflette su fino a che punto “noi siamo come nani sulle spalle di giganti” e sul senso di vivere la propria vita pensando anche a quelli che vengono dopo di noi.

14, 15, 16... e molti altri ancora
Che si tratti della possibilità di imparare la chimica (Spachem, 2011), di riscoprire momenti storici della nostra e di altre civiltà (Civilization V, 2010;  Banished, 2014), di conoscere le mitologie del mondo intero (la serie dei Final Fantasy e Persona), di passeggiare fra le vie e la Storia della Firenze del quindicesimo secolo ricostruita con la collaborazione di veri accademici (Assassin’s Creed 2) o ancora di imparare le leggi dell’aerodinamica (Kerbal Space Program, 2015) i videogiochi possono essere di un impareggiabile valore didattico.
Ma sono anche di un grande valore educativo quando si tratta delle rivendicazioni di genere, come dimostrano con le tantissime intelligenti e capaci donne protagoniste di bellissimi giochi come Tomb Raider (2015), Heavenly Sword (2007), Life Is Strange (2015), Horizon (2017). E questo sin da Metroid nel 1986.
Inoltre, anche se molte comunità di videogiochi online possono essere “tossiche”, non di meno esse a volte sono vere e proprie isole di socialità e possono portare a incontri nella vita reale. Per non parlare poi di tutti quei giochi digitali che sono fatti per essere giocati insieme dal vivo (dai party game, ai couch co-op e fino al fantastico Keep Talking and Nobody Explodes del 2015).
Ma soprattutto, a prescindere dai temi sociali, dalle loro storie e dalle loro opportunità di apprendimento, è da più di trent'anni che associazioni internazionali come DiGRA  dimostrano, con lavori di accademici di ogni disciplina, il valore dei giochi digitali attraverso la ricchezza e bellezza di mondi tutti da esplorare (Journey, 2012), il notevole lavoro artistico (Okami, 2006; Abzu, 2016), la ricchezza e varietà delle interazioni possibili, la forza narrativa delle scelte affidate ai giocatori, il ruolo cruciale del ragionamento (nel gioco Her Story del 2015 la deduzione è l’unica azione da compiere) e molto altro ancora. Ricchezza che ovviamente è innanzitutto quella del gioco tout court.
Insomma così come non si può discriminare tutta la televisione per il Grande Fratello, tutto il cinema per i cinepanettoni, tutta la musica per la Trap, tutta la letteratura per la povertà di molti best-seller contemporanei, non vi è davvero alcuna buona ragione di pensare che i giochi digitali possano essere tutti accomunati e discriminati in quanto “pericolosi”. Al contrario, insieme a tante belle letture e momenti sociali, bisogna incentivare oggi più che mai una cultura del gioco digitale e rimediare alla nostra comune ignoranza. I giochi digitali, come abbiamo visto, non solo sono di un impareggiabile valore logico e possono raggiungere dei vertici estetici che li fanno rientrare a giusto titolo in una forma d’arte, ma sono anche capaci di farci riflettere sul passato sul futuro e persino sul presente con grande intelligenza e sensibilità (pensiamo alla possibilità nell’ultimo Zelda: Breath of the Wild (2017) di giocare seguendo l’etica del veganismo).
Infine, vale anche la pena riconsiderare l’isolamento creato da certi videogiochi che, forse, non deve essere visto come una causa dei videogiochi stessi, quanto una possibile risposta al mondo (e alla società) fuori dai videogiochi che, per alcuni di noi e già sin da piccoli, è ogni giorno sempre meno tollerabile, sempre più povero e violento, e finisce col non valere tanto la pena di essere vissuto. E questo forse anche perché noi siamo diventati, gli uni per gli altri, degli individui noiosi (meno interessanti di una partita a Candy Crush), egoisti (specie del nostro tempo), chiusi (in noi stessi e pieni di pregiudizi), e spesso nocivi (sempre pronti a dare colpe e assai meno ben disposti nel riconoscere i meriti altrui e i propri errori).

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