“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 31 October 2015 00:00

La scatola dei sogni

Written by 

Spoglie di vita in scena sulle tavole del Teatro Area Nord, (TAN). Scarpe, abiti, un mucchio di coperte colorate accuratamente ripiegate, bambole, oggetti vari. Un disordine ordinato, una casualità consapevole.
"Marò, ma pecchè è tutt' scur'?", dice una voce, "Forse nunn' hann' pavat' a bullett'". "Quando vengo al laboratorio di teatro sto bene con me stessa e 'mparo quaccosa!".

Ci voltiamo ad ascoltare queste voci, ci voltiamo per dare loro un volto. Due gruppi di donne scendono le gradinate della cavea del Teatro Area Nord. Giovani, meno giovani, signore, ragazze. Sono vestite di nero, leggins, maglietta, pedalini, una torcia in mano, con la quale si illuminano il viso, dal basso verso l'alto. La sala è buia, a parte le torce. "Fa' attenzione". Le donne scendono compatte, in gruppo, aiutandosi l'un l'altra. Passi lenti, incerti, tenendosi l'una al braccio dell'altra, appoggiate l'un l'altra, come una falange, come un'onda d'urto. Pensano di aver perso la decana − Toti, otanta anni − allieva del laboratorio dall'inizio ma Toti è già lì, in scena, "V'agg' purtat' 'e cuperte, e panin' napulitan', e' curnett'": per passare la notte lì, occupare il teatro.
"'O teatro m'a araputa sana sana", dice una donna timida, alta, capelli lunghi grigi, sguardo smarrito. Un'altra sostiene che quando va al laboratorio "Esist' sul' i', libera", e ancora "Cca finalmente facc' quell' ca me piace".
La vita può essere complessa, le difficoltà reali, ma l'umorismo salva tutto, anche l'ansia notturna: "I' facc' 'a cutaletta tutt'a nuttata, m'aggir', m'avot'", ma poi va al laboratorio e vive il proprio spazio di libertà interiore, di libera espressione. "I' cca sogno, facitem' sunnà". Ognuna ha un motivo diverso per seguire il laboratorio, ognuna offre risposte diverse ai familiari che le accusano o le prendono in giro, ma tutte sono accomunate da un desiderio, da una consapevolezza, da una forza: essere donne, diventare donne, sentirsi donne. Molti mariti non le vorrebbero teatranti, ma loro vengono, imperterrite, "ma pecché n'aggia venì?", dice l'una, o l'altra replica che non viene meno al suo dovere di madre e moglie, "il piatto lo trovi? La camicia la trovi? Saluti e baci!". Donne concrete, donne vere, ampi sorrisi, occhi scintillanti. Donne alle prese con problemi reali, anche economici. Non sono donne annoiate della borghesia, alla ricerca dell'evasione, di uno spazio di espressione, sono donne del popolo, nel senso più forte e nobile del termine.
Il laboratorio sta di casa a Forcella, il quartiere popolare storico di Napoli, il cuore nero, il cuore malato, secondo la vulgata e l'oleografia. Molte di loro sono di Forcella e vivono a Forcella, altre sono nate in diversi quartieri popolari della città, oppure sono andate via da Forcella, scappate. Il laboratorio è nato nel 2007 e ad oggi, dopo otto anni, è vivo ancora e non è poco, soprattutto a Napoli. Un laboratorio è un collettivo, un luogo di elaborazione, di tensione ideale, è un piccolo miracolo se ci si pensa, un coacervo di entità singole che si associano per produrre qualcosa che sia più della somma di singole volontà egoistiche.
Napoli è città di spontaneismi, di singole, puntiformi, lodevoli iniziative che spesso naufragano per mancanza di coordinazione, per il venir meno della tensione ideale, o dei fondi, che ne hanno accompagnato la nascita. Per questo il progetto di Marina Rippa e Alessandra Asuni scalda il cuore e fa fremere nell'intimo, per la costanza, per la serietà, per il lavoro che traspare nell'apparente semplicità della rappresentazione, del frammento scenico che il laboratorio ha offerto come aperitivo (considerato anche l'orario...) ad uno scelto pubblico, che si sarebbe voluto più numeroso per una serata a libera sottoscrizione.
Il sogno nel cassetto è il titolo dello spettacolo che sarà, lo spettacolo in cui le donne raccontano quel che avrebbero voluto essere, il mestiere o la professione che avrebbero voluto fare. Molte avrebbero voluto studiare, ma la risposta era "Nun simm' gent' 'e chest'".
La contingenza ha portato ciascuna di loro altrove, perché la donna − in alcuni contesti − non deve lavorare ma stare a casa, badare al marito, ai figli. La contingenza ha portato ciascuna di loro, ciascuno di noi, ad assumere delle maschere ma uno spazio di libertà, loro, lo trovano proprio nel laboratorio teatrale, nel gioco dell'espressione libera, della messa a nudo: "Noi qua ci apriamo, siamo noi" ovvero il teatro come mezzo per togliere la maschera che si indossa nella quotidiantà. L'affermazione, nell'apparente semplicità, è paradossale ma rivoluzionaria: il teatro nasce con la maschera, un teatro che vuole spogliarsi della maschera fa riflettere, diventa un'operazione di conoscenza interiore, di messa a nudo, di emancipazione.
Non raccontiamo i loro sogni − li vedrete a dicembre, quando lo spettacolo sarà pronto − ma possiamo cercare di trasmettere l'emozione, l'energia, la forza che scaturiscono dalla visione di questo frammento. Le donne sono spontanee, sembrano parlare a ruota libera, improvvisare, ma si vede il lavoro fatto sulla voce, sul gesto, sul corpo, affinché la veracità della parlata, la spontaneità dell'espressione non siano congelate nell'immobilismo della recitazione, della voce impostata da fiction o telegiornale di seconda scelta. Quei movimenti liberi sono armonizzati dall'occhio esterno, della regia, che li compone in immagini, quadri scenici.
Tanti sono gli spunti di riflessione, in diverse direzioni, esistenziali, sociologiche, politiche, e questo è forse il raggiungimento più alto cui un lavoro può aspirare: raccontare una storia e lasciare lo spettatore con una serie di domande e la voglia di ascoltare altre storie.

 

 

 

TAN Off
La scena delle donne
a cura di Marina Rippa e Alessandra Asuni
con Amelia Patierno, Anna Liguori, Anna Manzo, Anna Marigliano, Anna Patierno, Antonella Esposito, Flora Faliti, Flora Quarto, Gianna Mosca, Ida Pollice, Melina De Luca, Nunzia Patierno, Patrizia Ricco, Rosa Tarantino, Rosalba Fiorentino, Rosetta Lima, Susy Cerasuolo, Tina Esposito, Tina Marrocoli, Toti Carcatella
produzione f.pl. femminile plurale
in collaborazione con Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, Direzione delle Pari Opportunità del Comune di Napoli
foto di scena Maria Arcucci
Napoli, Teatro Area Nord, 29 ottobre 2015
in scena 29 ottobre (data unica)

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook