“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 02 November 2015 00:00

L'insospettabile gradevolezza di un calcio in bocca

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Sull'assito pochi essenziali elementi circoscrivono l'interno della bottega di un falegname; un giovane apprendista, figlio dei tempi moderni, si muove all'interno di un'anomia di oggetti obsoleti che stabiliscono un tempo anacronistico che qualcuno si è rifiutato di lasciar passare. Indifferente al severo e silenzioso monito di quello stato di cose, l'apprendista viola la radio desueta affinché proceda a restituire, almeno nella sostanza, suoni e rumori di una contemporaneità bandita da quelle mura.

È in questa scena violata che fa il suo ingresso Giancarlo Cosentino, indossando le vesti e il ruolo del 'vecchiaccio' e manifestando il suo enfatico disappunto verso tutto ciò che, rammentandogli l'illecita consumazione del tempo, relega l'uomo e le sue carabattole in un passivo stato di inadeguatezza.
Intorno a questo tema si svolge la trama della rappresentazione che porta in scena la gustosa narrazione dell’omonimo romanzo di Marco Presta (autore del programma di  Radio2 Il ruggito del coniglio). La regia di Massimo Maraviglia riesce a salvaguardare il ritmo del testo giocando con l'alternanza tra ironia e solenni 'pause di riflessione'. La riuscita della messa in scena è rimessa alle sapienti capacità attoriali del protagonista, Giancarlo Cosentino, che dà voce e colori ad un 'vecchiaccio' proteiforme capace di fondere in sé il cinismo di uno Scrooge dickensiano, la saggezza dei suoi fantasmi, e le esalazioni di collera nei confronti del mondo di un moderno Pécuchet. Intollerante alla 'bêtise' umana, Vecchiaccio, cerca rifugio dal 'non pensiero dei luoghi comuni' barricandosi in un cinico solipsismo che si nutre di piccole celie ai danni dell'umanità (furti di penne in luoghi pubblici, perpetrati con quotidiana costanza), e di incontinenti dialoghi interiori non trattenuti dalle labbra e riversati sul prossimo con un monocorde berciare continuo.
Ma dalle brecce di quel sinistro baluardo filtrano inarrestabili folate di vita: le lenti di un binocolo che restituisce le prosperose forme di una portinaia, la cui fisica accessibilità comporterebbe la fatica di un logorante corteggiamento; la figlia Anna (Federica Aiello, brava e credibile nel suo duplice ruolo di figlia e portinaia), che si ostina a voler accostare al padre il calice dei suoi problemi; e la fastidiosa filantropica bontà di Armando.
Quest'ultimo in particolare si manifesta in continuazione attraverso le parole del 'Vecchiaccio', è l'assente deuteragonista, al tempo stesso amico e nemesi, attraverso il quale viene sempre fornita una seconda lettura agli accadimenti della vita. Vecchiaccio avverte la presenza della figlia, troppo simile a lui, come una spina nel fianco, e sembra non accorgersi che la vera spina è invece l'incorporea ma perenne presenza di Armando, che sta a lui come Jacob Marley sta a Ebenezer Scrooge. Se per il protagonista i 'calci in bocca' rappresentano l'unico salvifico antidoto in grado di agire sull'umana 'bêtise' con la delicatezza di una ruspa, per l'amico la faccenda non è così semplice e le modalità sono alquanto diverse: "lasciare un amore". Ecco la spina nel fianco, un lascito testamentario di un'opera incompiuta da portare a termine e un'ultima penna rubata per un amico che dovrà scriverne il finale. Una di quelle cose, anzi uno di quei calci in bocca, che "da un amico proprio non te l'aspetti"; il solo guardare oltre quella pagina incompiuta può far crollare un palazzo di certezze e portare un uomo sull'orlo di un abisso, in fondo al quale può trovarsi il senso di una vita e, forse, la salvezza.
In un'oscurità semiattenuata Cosentino, spogliandosi della scabra corazza da 'vecchiaccio', si lascia cadere in quell'abisso e dal silenzio glaciale una nuova voce prende il posto del borbottio quotidiano, con quella nuova voce un altro uomo sta lasciando il suo testamento: i bilanci non servono, abbiamo avuto quello che abbiamo meritato.
Massimo Meraviglia e suoi attori conducono gli spettatori su quella linea di confine tra il riso e la malinconia, spingendoli ad oltrepassare continuamente i confini di entrambi questi stati d'animo. Con una rappresentazione estremamente godibile si è riusciti a mostrare, con grazia e leggerezza, frammenti di vita e di anima.

 

 

 

 

 

Un calcio in bocca fa miracoli
dall’omonimo romanzo di Marco Presta
adattamento e regia Massimo Maraviglia
con Giancarlo Cosentino, Federica Aiello, Mario Migliaccio
elementi di scena Armando Alovisi
musiche Canio Fidanza, Massimo Maraviglia
costumi Patrizia Visone
grafica Luca Serafino
direzione tecnica Antonio Minichini
aiuto regia Sabrina Bonomo
produzione LaPrimAmericana
lingua italiano
durata 1h 20'
Napoli, Galleria Toledo, 30 ottobre 2015
in scena dal 27 ottobre al 1° novembre 2015

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