“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 29 September 2019 00:00

C'è sempre una forza vitale

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Si tratta solo di cercarla. La passiva accettazione di ciò che ti ha accompagnato nel bene e nel male nei tuoi giorni è una sorta di rinuncia alla dinamica della tua esistenza.
Sì, oggi voglio parlare del mio percorso umano. Devo dire tutto, senza tralasciare quanto può apparire ininfluente al fine della comprensione del mio percorso di vita? Magari farmi trasportare dal pensiero nella convinzione che la vita è solo un alternarsi di casualità?

Sarà semplicemente − ma non troppo − un viaggio nel mio sentire interiore. Poco importa, anzi mi sarà d’aiuto, se non mi lascerò guidare da una sequenza temporale di quella che posso chiamare la mia storia.
Di me ho già scritto su questo web-magazine con il racconto Sopravvivere alla solitudine. Queste ulteriori note saranno d’aiuto a rendere il tutto più comprensibile.

Ecco che mi trovo con mia moglie e i nostri due figli, ormai maggiorenni, affermati operatori nel giornalismo sia scritto che televisivo, nel nostro mountain cottage a Trichiana Comune di Borgo Val Belluna. Sto osservando appeso al muro un attestato di Medaglia di Bronzo rilasciato dall’ANPI a mio padre dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ai tempi del fascismo lavorava come cameriere, ed era partigiano con il compito di distribuire volantini del Comitato di Liberazione Nazionale. Il che gli è costato tre settimane nel carcere milanese di San Vittore per colpa di un delatore del suo Gruppo. Io non ero ancora nato.
Sin da quando ero poco più che un bambino mi capitava di captare quanto dicevano i miei genitori a proposito dell’esperienza partigiana di mio padre.
Fu il primo segno, ma anche il formarsi del terreno di coltura, che ho sempre frequentato, e tuttora frequento, per non abbandonare − lasciatemelo dire − la mia vocazione nel cercare senza sosta come e perché gli umani per essere riconoscibili in quanto tali non possano che considerarsi un’entità unica, quello che viene chiamato “il consorzio umano”. Ma la storia fin qui ci insegna che a tale proposito ci lasciamo andare in ciò che rischia di essere una pura illusione.
Nel rapporto con gli altri, nel lavoro, nello studio di progetti culturali sui valori che dovrebbero essere umanisti, non mi sono mai arreso né mai mi arrenderò di fronte al precipitare progressivo del mondo nel fondo di una realtà disumanizzante.

Viviamo in una società puramente competitiva, non solo nel nostro Paese ma ormai ovunque. Impossibile, allora, armonizzare lo stare pacificamente insieme? Perché passivamente accettare una progressiva rinuncia a dare un contenuto solido e stabile per rendere costruttivo, consciamente o inconsciamente, il sogno che dovrebbe albergare nell’animo di tutti? Occorre trovare la via per portarci all’altezza del nostro compito umanistico. Un’impresa titanica alla quale tuttavia mi sembra d’obbligo non rinunciare.
La mia attività manageriale nella rappresentanza italiana del più grande gruppo assicurativo del mondo con headquarter americano a New York City mi pone quotidianamente alla prova per poter mettere a profitto le positività culturali che in non pochi casi pur esistono verso un intreccio di concezioni negative postindustriali che competono tra loro a puri fini di profitto in certi ambienti economici.

E che dire poi del modesto livello culturale della Gente Comune che si ritrova pressoché ovunque? Provate a chiedere ai professori universitari qual è il grado di eloquio dei nuovi studenti che provengono dalle scuole medie superiori. La risposta è per lo più negativa.
Allo stato attuale le ragioni sono diverse. Uno studio approfondito sull’effetto dell’Era Digitale, per esempio, è tutt’altro che da trascurare, se non altro per taluni suoi aspetti che con la cultura non hanno nulla a che vedere.

E la politica, in quanto ethos polis, sta svolgendo il compito che le dovrebbe competere? Qui siamo in presenza di una crisi sia pratica che retorica difficilmente risolvibile sul piano sociologico, e non solo. È un fatto incontrovertibile che la politica stia vivendo uno sconvolgimento epocale della sua funzione umanisticamente primaria: favorire l’affermazione di un mondo vivibile. Siamo in presenza di un ribaltamento dei valori di riferimento. Nessun punto fermo è filosoficamente nonché ontologicamente riconducibile a un’etica certa e chiara. Si dà il fatto che un incessante alternarsi di linee operative in competizione tra loro nel volgere di un lampo segna una sorta di retromarcia (termine con ogni probabilità improprio). Al punto di tornare a interrogarci sullo spirito competitivo che agisce sul fondo dell’agire umano. Che fare, allora?
Ancora una volta la funzione della cultura che apre la visione senza limiti né forzature interessate può e deve essere oggetto di studio e di pratico agire.

Anche, e forse soprattutto, l’arte, in tutte le sue espressioni, può e deve dare un onesto contributo per evitare il caos con tutte le negative conseguenze che ne deriverebbero. Ma sta di fatto che su questo piano non manca un pericoloso inquinamento.
Nondimeno una speranza di ravvedimento non può essere del tutto assente. Si parli, si analizzi se ne studino le basi talvolta forzatamente su polarità opposte. Un arte anti-dialettica, dunque?
Siamo a tavola, mia moglie ha invitato i nostri due figli a cena con le loro mogli. Ci scambiamo opinioni su tutto ciò, e quanto ne deriva senza eccezioni. Per noi v’è la convinzione che la letteratura è la vita stessa.
Al termine della cena ci trasferiamo in salotto, dove ci aspetta una dovizia di drink. Ora la discussione è più rilassata. Potrebbero essere le coinvolgenti note musicali di Brothers in Arms con le quali Mark Knopfler ci sta catturando, come segno di speranza.

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