E i destini di Pasqualina, Vincenzo, Carmelina sono già segnati dalle loro famiglie e dal contesto in cui sono inseriti, quello di un proletariato urbano senza prospettive di mobilità, senza possibilità di riscatto, condannato per sopravvivere al contrabbando e ai traffici illeciti, destinato a subire e a perpetuare violenza e soprusi. Un teatro di violenza psicologica e fisica, di disprezzo e di odio, inesorabilmente concentrato in nuclei discorsivo-gestuali carichi di tensione e negatività. Cosa c’è dietro tutto questo? Qual è la “croce” di Pasqualina di Gesù coniugata Colantuono, quale la tragedia che la inchioda, letteralmente, ad assi di legno gettate a mo’ di croce sul palco a inizio scena, mentre il marito e la figlia si scuotono le vesti per scacciare la polvere?
La scenografia vede sul fondo una cabina di legno grezzo a significare la casa, più avanti pedane e assi di legno tra cui saltellare per segnare gli andirivieni temporali in cui si snodano le vicende narrate dai tre protagonisti.
Questo contesto d’arte povera (in tal caso la denominazione della compagnia appare quanto mai calzante) è lo spazio concentrazionario che supporta le loro interazioni, i loro ricordi degli eventi. La lingua è un napoletano pieno di improperi volgari, di insulti e offese urlate con sarcasmo e disprezzo, di frasi che cercano e ottengono l’effetto di affermazioni stentoree. È un teatro dove i vivi convivono con i morti grazie ad un uso sapiente degli incastri temporali e all’espediente della narrazione dei fatti passati che si fa rievocazione simbolica e reale. A volte però i ricordi e i piani si confondono, gli elementi del plot si accumulano per dipanarsi solo nei momenti finali, risolvendo le incongruenze che possono apparire in un primo momento agli spettatori. Ma più che per la gravità della vicenda trattata, il valore della pièce sta tutto nell’adeguatezza della gestualità nel rendere il clima da tragedia annunciata (o meglio, rivissuta), nel comporre elementi drammatici come in una sacra rappresentazione isterica e blasfema, dove i protagonisti assumono le maschere del carnefice, della vittima e della vendetta, impossibilitati a derogare dai ruoli loro assegnati. Un percorso sacrificale che si conclude con una liberazione, con un ristabilimento dell’ordine che si svolge inevitabilmente all’interno di un perimetro di morte: Pasqualina sopravvive vendendo la droga e corre ai capezzali dei defunti del quartiere offrendo loro l’estremo saluto, un’ultima manifestazione di solidarietà che invece è stato negato alla figlia.
Opera densa e compatta, priva di ridondanti sviluppi narrativi naturalistici, trova nella giusta compenetrazione delle dimensioni verbali e gestuali la cifra adatta per valorizzare al meglio la sua valenza drammatica.
Non merita lamenti
drammaturgia e regia Luigi Imperato, Silvana Pirone
con Fedele Canonico, Ilaria Cecere, Annamaria Palomba
scene Monica Costigliola
disegno luci Paco Summonte
produzione Teatro di Legno
durata 42'
Mercogliano (AV), Teatro 99 Posti, 15 marzo 2014
in scena 15 e 16 marzo 2014