“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 03 March 2014 00:00

Oltre la barriera ros(s)a, no pasaran!

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Tutto parte dalla vita, attraversandola, per arrivarvi. E non c’è viltà, sottomissione, paura, per raccontarsi che difenderla è un fatto singolare, pericoloso, per chi rincorre sogni deboli quanto le forti utopie. Specialmente se a rischiarla c’è un’intera comunità di persone schiacciate dalla sciagura di vivere in una terra alla quale appartengono ma che non appartiene più loro, terra che chiede di amarla con l’amaro impeto di una passione impossibile.

Impossibile se ad ostacolarne il senso morale e civico sono, spesso, le stesse istituzioni. Amara se a rimetterci sono i figli del tempo, di questo e di gran parte di quello che verrà. “I figli nun se pavan'”: nelle indignate parole dell’eduardiana Filumena Marturano, qui un metaforico ed emblematico passaggio di consegne. Stavolta indignate sono le madri della comunità di Terzigno, inespugnabile roccaforte della coraggiosa difesa dei propri figli e di quelli del futuro: nessun compromesso le costringerà a cedere. Madri dal coraggio ribelle, esplosivo, vulcanico come il Vesuvio che ne tempra le vite: Mamme Vulcaniche, appunto. Ad un gremito gruppo di queste si deve la rivolta (iniziata a partire dal 2010) contro l’apertura di un’ulteriore cava nell’area terzignese, dopo il profondo disastro ambientale procurato da quella Sari.
Qui, nella storia di Semenzella (nell’appassionata interpretazione di Tina Femiano) e di altre tre donne, il musi-racconto scritto e diretto da Sandro Dionisio per omaggiare il dovere di una femminilità da difendere ad ogni costo, quella di cui si fa portavoce la fiumana ro(s)sa. Una fiumana che scende in campo per impedire ogni ulteriore scempio, naturale e morale: basterebbe poter ‘differenziare’, come dovrebbe spettare alle altre province campane, italiane; basterebbe, se non fosse che Terzigno e molte delle terre un tempo felices non fossero state prescelte come grembi sempre gravidi di creature destinate a morire. Grembo di vita e di morte, questa terra percossa ed umiliata. A questa terra appartiene Semenzella, musa ispiratrice della rivolta qui raccontata, metà donna metà Sirena della terra vesuviana. Insiste, ammalia e non stordisce il suo ironico canto: in esso i racconti di una vita, fatta di genuinità e sacrifici, nella forza delle idee come in quella dei gesti. Piccola come un seme “da succhiare e da sputare”, sostanza di vita e rifiuto come il destino della sua terra ormai contaminata, Semenzella rende teneramente onore al ricordo di suo padre (la chiamava proprio così) e a quel monito che non ha mai più dimenticato: “fa’ l’omm' pur' si si’ femmena”! Semenzella, dalle cosce piccole e forti, armata di coscienza e disperazione, si fa eroina tra le eroine arrampicandosi in cima ad un olivo per dar fuoco al vessillo del tricolore così vilipeso: da lassù sarà più facile stanare il pericolo. Da quel ramo (in posizione centrale, in scena, un albero denso di rami intrecciati, quasi fossero gambe arrampicatesi, pronte a resistere) ogni immagine prende forma chiara, sostanziandosi, e riportando alla memoria il tempo perduto. Tempo di una vita spesa nel sacrificio del lavoro, con suo padre prima con suo marito poi, di un lavoro meticoloso per arare una terra che adesso ha il sapore del veleno.
Semenzella, cosce piccole e forti, è baluardo di speranza per le donne che con lei combattono e che, senza paura, si stringono in una barriera di determinazione, lanciando il cuore oltre ogni ostacolo, per amore della terra di cui sono figlie e madri. Mostrando il petto robusto, temerarie, marciano battendo forte i piedi sulla stessa terra che amano. Intanto, come fari accecanti nel buio della notte, dal fondo dei ripetuti cartelloni, saltano alla vista  flash di moniti per questo spazio e per questo tempo: “I nostri bimbi stanno morendo!”, “Noi abbiamo il diritto di respirare!”.
La barriera ros(s)a giganteggia, una sola voce si leva: “No pasaran!”.
I racconti si mescolano ai ricordi, lungo un percorso che non ha né un inizio né una fine. Il teatro, nelle idee così rivelate, dunque, è paradigma di una realtà drammatica ancora alla ribalta nelle dinamiche di questi mesi, di questi giorni: la terra continua a bruciare, le vite altrettanto a spegnersi.
Nel canto, ora suadente ora stridente (avvolge e conturba l’interpretazione di Carmen Femiano), l’eco di un dolore che sa di amore e di rabbia, che si accuccia per difendersi e si dimena per non arrendersi: espediente suggestivo ma che, talvolta, lega poco con la costruzione drammaturgica.
Semenzella, in cima all’olivo, ora brilla di un colore turchino: un po’ sirena un po’ ninfa, veglia sulla sua terra così masticata e sputata perchè abbia nuovi fili, fino a che questo giorno non si compia del tutto.
Questo giorno attende ancora il tramonto, perché inizi a sentirsi “l’odore della gloria e non il puzzo del pericolo”.
Masticando e sputando. Verso una nuova alba, per una nuova terra.

 

 

 

Semenzella
drammaturgia e regia
Sandro Dionisio
con Tina Femiano, Carmen Femiano, Monica Cipriano, Francesca Fedeli
scene Flaviano Barbarisi, Anna Seno
costumi Daniela Salernitano
luci Ciro Di Matteo
foto Attilio Cozzolino
grafica Luca Longobardi
musiche Pan, Nando Misuraca, Gaemaria Palumbo
produzione C.e. T.R.a. e Altamarea
Napoli, Nuovo Teatro Sanità, 28 febbraio 2014
in scena dal 28 febbraio al 2 marzo 2014

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