“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 13 June 2019 00:00

Estratti dall’officina di Pina Bausch

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“L’avevo fatta ridere, non ricordo perché, e lei mi disse: Cristiana, io ho scelto la danza perché non riuscivo a esprimermi con le parole, invece tu parli così tanto!”. E infatti Cristiana Morganti è un fiume in piena di aneddoti e racconti, ironici e autoironici, di quell’universo ben poco verbale rappresentato dalla creazione artistica, dal processo di ricerca, scavo, selezione e composizione all’origine dei lavori di Pina Bausch.

La danzatrice solista per oltre vent’anni della compagnia Tanztheater di Wuppertal o, meglio (come si diceva qualche anno fa a proposito dei danzatori del ‘teatro-danza’), la “danzattrice” Morganti, in quella che lei stessa definisce una “conferenza danzata”, tra continue pause comiche dovute al rumore degli aerei che invadono il cortile del Madre, ripercorre il lungo sodalizio umano e soprattutto artistico con la grande coreografa e ballerina tedesca. Racconti e spiegazioni sono intervallati e completati da movimenti e danze che aprono al pubblico uno spiraglio da cui poter conoscere e osservare ‘in presenza’ quel lavoro nascosto, ma profondissimo e prezioso, che si tiene lontano, prima del palcoscenico. Una testimonianza importante che dal 2010 gira le scene internazionali, prima e insieme con il film documentario di Wenders, Pina (2011), per approfondire una personalità e un’esperienza artistica che già in vita aveva riscosso una fama persino pop. E proprio contro il rischio di una ‘popolarizzazione’ iconografica andrebbe intesa questa testimonianza, volta piuttosto ad approfondire la complessità dell’oscuro, minuzioso e estenuante lavoro di creazione che invece rappresenta l’officina e il pane quotidiano, non solo del lavoro della Bausch, ma della grande tradizione delle arti performative, in particolare di alcune tendenze e scuole del ‘900, così lontana dai fari estetizzanti dello spettacolarismo attuale.
E così la Morganti, che inaugura un rapporto con Napoli che prosegue in questi giorni con progetti artistici, una residenza creativa e uno spettacolo in autunno, attraversando momenti personali delle prove con la Bausch durante grandi spettacoli come Kontakthof o La sagra di Primavera, porta in scena una lezione non solo di danza, ma più ampiamente teatrale e estetica. Alternando teoria e pratica, aneddoto e movimenti di danza, decostruisce e ricostruisce gli “stuck”, le pièces o “blocchi” espressivi che venivano costruiti, montati e rimontati fino alla realizzazione finale degli spettacoli. Ad esempio, come si costruisce un “a solo”? La Bausch, che parlava poco e ancor meno spiegava, all’inizio suggeriva immagini o tracce ai danzatori che dovevano servire da suggestioni per il loro scavo interiore e l’ideazione di una forma da presentare poi alla coreografa: “Cosa fare con il respiro?”, “cosa può nascondersi dietro un sorriso?”, “uccidere le fiabe”, “cercare un movimento lungo come un sospiro”. Ma lungi dall’affidarsi all’improvvisazione, come spesso erroneamente si è detto, la Bausch chiedeva di mostrare quelle proposte lentamente e senza musica, tagliando i fronzoli, a volte concentrandosi su dettagli involontari, cercando di cavare “la forza propria dell’azione”, fino alla costruzione di una forma finale precisa. Ne conseguiva un lavoro di finitura maniacale, attento a ogni variazione di movimento, a ogni differenza di accento, capace persino di notare e correggere la posizione dei piedi della danzatrice, invisibili sotto una gonna larga, oppure il vento provocato da una danza che arrivava fino a una certa fila del teatro, di sospendere all’inizio una prova generale davanti al pubblico parigino solo per il rumore non sicuro dei passi dei ballerini che entravano al buio sul palcoscenico. E la Morganti mostra poi danzando quanto ha appena raccontato, permettendo di osservare e comprendere in fieri quelle variazioni, come scoperchiando il pentolone dello stregone che prepara l’unguento magico.
Come ad esempio nel racconto della costruzione della sua partitura, durante la preparazione dello spettacolo Agua (2002), in cui la scrittura del nome, la scelta di uno strumento e di un animale diventano i mattoni, gli elementi primi che, selezionati e rifiniti, danno vita al composto chimico in grado di restituire una bellezza “vera”, non meramente decorativa, una forma ricercata e lavorata con attenzione e pazienza capace essa stessa, in sé, di generare emozioni, sensazioni precise attraverso la precisione dei movimenti, permettendo agli stessi danzatori di ritrovare le vere intenzioni profonde durante la loro performance. O ancora la difficoltà, il principio di opposizione, vero perno di ogni azione scenica, rappresentata dalla danza su terra, in un gioco tra pesantezza e stanchezza, la difficoltà della mancanza di fondamento stabile, di un appoggio sicuro per ogni passo dei danzatori che tuttavia diventa infine, durante la danza stessa, addirittura l’àncora, la forza stessa e la verità di quell’azione.
Il linguaggio, che riprende una lunga tradizione di teatro (cui la stessa Morganti appartiene, al di là del lavoro con la Bausch, come ad esempio l’Odin di Eugenio Barba), parla di “verità” in scena, una verità dunque che non può che venire dall’attore o ballerino stesso − dal suo scavo interiore − che ‘presta’ il suo corpo alla scena. Così, persino il disagio del nostro stesso corpo, ad esempio il disagio verso il proprio seno cadente da parte di una ballerina, può diventare il materiale magmatico su cui martellare e cesellare una forma artistica. Verso il finale la Morganti pone una domanda: “Ogni gesto è danza?”; “sì”, risponde ingenuamente qualcuno dal pubblico. Che differenza c’è, in sostanza, tra un gesto e un’azione artistica? Qual è il confine tra la vita quotidiana e l’arte? Pina, spiega la Morganti, raccoglieva i gesti e li trattava come danza, attraverso il tempo, l’accento, il ritmo, cercando di trovare la forma capace di fondere il respiro, che è vero e vitale, in un’espressione altrettanto autentica del corpo, un movimento danzato capace di generare bellezza. Una lezione interessante, per una complessa e importante eredità.

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Moving with Pina
Una conferenza danzata sulla poetica, la tecnica, la creatività di Pina Bausch
di e con
Cristiana Morganti
foto di scena Sabrina Cirillo
produzione Il Funaro − Pistoia
con l'accordo e il sostegno di Pina Bausch Foundation/Wuppertal
con il sostegno di Goethe Institut di Napoli, Ministero Federale degli Affari Esteri di Berlino
in condivisione con Fondazione Donnaregina
paese Italia
lingua italiano
durata 1h 20’
Napoli, MADRE − Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina, 8 giugno 2019
in scena 8 giugno 2019 (data unica)

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