“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 01 November 2017 00:00

“Womb Tomb”: kolossal, ermetismo e confusione

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Forte di una preziosa estetica contemporanea lo scenografo Simone Mannino con Womb Tomb si sperimenta regista: ha debuttato l’11 ottobre in prima nazionale al Teatro Biondo, ospite di Teatro Bastardo, il festival palermitano della scena contemporanea.

L’ispirazione da La macchina infernale di Jean Cocteau lo porta a ragionare sull’Edipo e rimette in scena la tragedia greca in un adattamento che, pare, concentri l’attenzione sul meccanismo di hybris e ricaduta generazionale della colpa. Subito lampante è la distanza del linguaggio che Mannino adotta rispetto alla tragedia, un linguaggio che si basa soprattutto sulla portata dell’immagine scenica, che possiamo apprezzare non appena il sipario si apre; immagine compartecipata dagli attori il cui volto è coperto, quasi sempre, da maschera e i cui gesti estetizzanti rasentano il tableau vivant.
Il limite, tuttavia, di una messinscena visivamente così ben fatta, sta nella difficoltà di superare l’immagine stessa così che si trasformi in un medium d’idee nuove. Non c’è in Womb Tomb uno sguardo completamente nuovo sull’Edipo, né si pretendeva di trovarsi di fronte un nuovo punto di riferimento per il teatro contemporaneo. Tuttavia volersi spingere troppo in là con uno spettacolo dall’aria di kolossal, dall’atmosfera postmoderna e una durata di due lunghi atti, è stato un po’ come fare il passo più lungo della gamba.
La generosità degli interpreti − Lusian Libidov, Simona Malato, Yuri Radomisli, Yigit Saner, Erdal Uzunoglu − è di certo stata un vantaggio per la riuscita dello spettacolo che comunque presenta al suo interno contraddizioni ingiustificate: Giocasta, Edipo, Creonte, Antigone, Tiresia sono specie di cadaveri incollati, nella prima scena, a una parete metallica o lavagna magnetica (che ricorda molto quella di Troilo Vs Cressida di Ricci/Forte visto al Biondo a chiusura della stagione scorsa, le cui scene erano firmate proprio da Simone Mannino). Illuminati da ferma luce fredda iniziano un dialogo stando per lo più immobili restituendo il senso angoscioso della morte paralizzante. Attratti dalla forza di questa visione restiamo a fissare questi “morti” che tra loro conversano di cose solenni in un tono dolente e languido. Inquietudine e fascino fanno parte di una gamma variegata di emozioni che ogni spettatore potrebbe senza dubbio provare a questa vista. Ma perché sono morti questi eroi? Perché tra loro solo Giocasta può abbandonarsi tra le braccia del suo servo, come defunta, e i suoi compagni invece, morti come lei, scendono con le loro gambe dalla tomba che finora hanno condiviso per camminare su piedi saldi per la scena vuota?
Anche l’espediente della maschere, come l’utilizzo delle musiche e dei costumi dettagliatissimi, costituiscono un problema: non si sente mai la necessità reale di usare gli oggetti in maniera funzionale; non credo che questo sia dovuto a una mancanza negli intenti del regista, quanto, invece, all’incapacità di comunicarla questa necessità. L’hic et nunc del teatro contemporaneo qui si smarrisce in un bellissimo ma confuso vagare tra una scena e l’altra.
Oltre ad amplificare la voce, e quindi a rimandare all’atmosfera del “primo teatro”, le maschere (di raffinata fattura) restano nell’ambito della suggestione: sono indossate o abbandonate apparentemente senza un reale perché. Sono simbolo della regalità? Sono presenza originale? Restano domande senza risposta. Ma non tutto quello che è ermetico incuriosisce: spesso non ci interessa la domanda, né la risposta. L’arte che ci serve è quella che fa domande nuove, ma soprattutto, chiare e che si aspetta dal pubblico una reazione onesta e catartica (nei casi migliori).
Oggi molto teatro contemporaneo soffre di una perdita di contatto con la realtà, esattamente quanto altrettanto teatro fa domande che restano aperte e scavano nel profondo della realtà. Womb Tomb non fa eccezione al primo caso, collocandosi tuttavia in una linea estetica molto personale che tanto potrebbe sperimentare per arrivare a “dire”.







Festival Teatro Bastardo
Womb Tomb
liberamente ispirato a La macchina infernale
di Jean Cocteau
adattamento e regia Simone Mannino
con Lusian Libidov, Simona Malato, Yuri Radomisli, Yigit Saner, Erdal Uzunoglu
drammaturgia Simone Mannino e Clement Roussier
traduzione Deborah Halliday e Luis Miguel Selvelli
musica e suoni Gaetano Dragotta
scenografie Jesse Gagliardi
luci Petra Trombini
costumi Philippe Berson
assistente scene e costumi Giuliana De Gregorio
assistente regia Luis Miguel Selvelli
realizzazione maschere Daniele Franzella, Paolo Roberto D’Alia
produzione Atelier Nostra Signora, Garajistanbul Theater, A.C Bogotà, Comune Di Erice, Francesco Sarcone
Palermo, Teatro Biondo, 11 ottobre 2017
in scena 11 ottobre 2017 (data unica)

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