“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 11 February 2016 00:00

Non solo cenere

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Una struttura occupa il centro della scena. Sembra un grande armadio a quattro ante, massiccio, di foggia antiquata, con pannelli tripartiti sulle ante e una stretta cornice modanata. Un lato, il destro, è rosso, come di sangue, come di fuoco, l'altro è nero, come bruciato, annerito di fumo. È la porta degli Inferi, è il muro della morte, è la porta dell'armadio. Dallo stesso lato i rami di un albero secco si abbarbicano sull’armadio, dal lato morto, dal lato bruciato, illuminato da una luce fredda e livida.

Euridice era un’Amadriade, una ninfa degli alberi, ma ormai Euridice non è più, è morta, come sottolinea a lettere cubitali il testo, anagrammando in molteplici combinazioni la parola MORTE, che si prestano ad essere scandite fuori campo, come voci del coro di una tragedia antica. Morto l’albero, morte le foglie del talamo che si stende davanti le valve della porta, dal quale verrà sollevato il cadavere di Euridice, cereo manichino accudito dalle sapienti mani di Eleonora Montagnana, muto coro, che sa renderlo, paradossalmente vivo, o comunque animato.
Attori e musicisti sono già in scena mentre si prende posto. Camminano avanti e indietro, si scaldano, siedono. Il tamburellare delle dita su uno strumento a corde dà il via all'azione scenica, sembra il rumore della pioggia, o forse il rotolare dell'acqua di un ruscello sulle pietre. Un uomo (Davide Compagnone), anzi Hermes, fa da voce narrante, cui è affidata la recitazione di questa versione moderna della storia di Orfeo ed Euridice, anzi, Euridice e Orfeo, con una inversione dei soggetti da cui ci saremmo aspettati qualcosa in più, nel cambiamento del punto di vista, nel rovesciamento della storia dal punto di vista di lei, la donna che se ne va.
I miti del mondo classico parlano di noi, uomini e donne dell'Occidente. I miti raccontano, sotto forma di favole, le nostre paure, le nostre ansie, le nostre angosce, i nostri sensi di colpa, il nostro atteggiamento e le nostre soluzioni rispetto alle situazione liminari. La morte non è che l'estremo limen e la elaborazione del lutto, l'accettazione della perdita, dell'assenza della persona amata, è l'estrema prova cui è sottoposto chi resta. La prima reazione di Orfeo è l’incredulità, l’incapacità di guardare in faccia la realtà, l’impulso di andare a riprendersi la sua sposa. Beffardo il tono di Hermes: “Finché ci riesci” (a non guardare in faccia la realtà) “è tua”. Orfeo (Michele Riondino), il cantore tracio, è colui che resta, ma qui non è più un cantore, non è più tracio, o comunque non lo sappiamo, il testo non dice nulla. È solo un ragazzo goffo, che recita parole patetiche e stucchevoli e non attende che di essere liberato dal fardello dell'assenza. Euridice (Federica Fracassi) è colei che è andata, morsa dalla vipera che le era destinata dall'eternità. Per sempre ninfa e al tempo stesso per sempre sposa.
Davide Iodice ha saputo infondere vita ad un mucchietto di parole che tremavano sulla carta come la cenere evocata, leitmotiv dell'umano pulverulento trascorrere del tempo. Ha saputo creare un'atmosfera evocativa, complice la musica, che sottolinea i momenti salienti del dramma con note incalzanti, a volte stridule, che rendono pàthos a parole forse troppo usate, ma che mescolate possono ancora ammaliare lo spettatore, come le note di Orfeo ammansivano le fiere e fecero piangere le Erinni. Il regista ha saputo consegnare agli occhi degli spettatori immagini forti, icastiche, come l'abito bianco nell'armadio, simulacro/simbolo della sposa che non c'è più, che non è più, inquietante come le illustrazioni di Giosetta Fioroni per una vecchia favola di Arbasino. La struttura scenica è di forte impatto visivo, sobria, raffinata, efficace, atta a contribuire a diffondere un'aura di tragedia o di èpos alla rappresentazione di un pugnetto di parole incenerite, metafora di ciò che siamo.

 

 

 

 

Euridice e Orfeo
di
Valeria Parrella
regia Davide Iodice
aiuto regia e direttore di scena Michele Vitolini
con Michele Riondino, Federica Fracassi, Davide Compagnone, Eleonora Montagnana
musiche in scena Guido Sodo, Eleonora Montagnana
spazio scenico, maschere, costumi Tiziano Fario
fonico Luigi Di Martino
datore luci Salvatore Palladino
macchinista Rocco Nigro
sarta di scena Anna Marino
assistente di produzione Noemi Ranaulo
scenotecnica Retroscena S.R.L.
foto di scena Francesco Squeglia
produzione Fondazione Teatro di Napoli
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Teatro Bellini, 9 febbraio 2016
in scena dal 9 al 14 febbario 2016

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