“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 14 April 2015 00:00

Quando la crisi diventa drammaturgia corporea

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Al Teatro Stabile di Innovazione Galleria Toledo di Napoli è approdato il lavoro di Marco Chenevier, danzatore e coreografo del TIDA (Teatro Instabile d’Aosta). Marco è un giovane artista, simpatico, ironico, che vuole portare innovazione contenutistica, stilistica e qualitativa sulla scena della danza contemporanea attuale, mischiando drammaturgia al movimento ed alla performance, sperimentando che arte significa mettere in scena la realtà della vita, delle emozioni che si vivono tutti i giorni in un mondo dinamico ed a volte pesante.

Purtroppo il pubblico napoletano non riesce ancora ad essere curioso delle nuove proposte e finisce per affollare solo i soliti spettacoli dei “grandi nomi” e quindi, a vedere Quintetto di Chenevier eravamo in pochi ma l’artista è riuscito a creare una situazione di profonda intimità, di voglia di conoscenza e di relazione, seppur molti spettatori si conoscessero già.
Marco, vestito con una tuta, umilmente, si presenta sul palco e comincia a parlare ringraziando il teatro per averlo ospitato. Tornato dietro le quinte per prepararsi all’inizio dello spettacolo, riappare subito sul palco, sempre in tuta, con una borsa gialla che poggia a terra. Racconta, allora, che il resto dei danzatori non sono potuti venire a causa del taglio dell’80% sulle retribuzioni tersicoree e che dunque lo spettacolo necessita di tecnico del suono, delle luci e degli altri interpreti, mentre lui eseguirà le sue parti con il suo costume di scena che ha nella borsa.
Lo spettacolo, rivela Marco, è una sperimentazione sulla ricerca scientifica ed il teatro, esplorando la figura di Rita Levi Montalcini, interpretata dallo stesso Marco.
Marco parla con ironia, un po’ di amarezza, ma forte concentrazione e presenza: è già in performance, già danza.
Una volta stabilito il cast, spiega la scaletta dello spettacolo, mentre intanto si trasforma nella Montalcini. Esce dalla quinta a passo lento, simulando l’andamento di una vecchia signora e qui non parla ma è come se parlasse.
Sembra subito crearsi un’atmosfera di magia: tutti eseguono i loro compiti in maniera impeccabile e la danza di Marco è fluida, morbida, ricercata, sperimenta delicatamente il supporto del pavimento e diventa autentica e sentita, emotiva e spirituale. Egli sperimenta il forte legame tra drammaturgia e performing art, dove il gesto e la danza non sono affatto penalizzati, ma anzi rivivono di autenticità, chiarezza e spontaneità.
La danza di Marco attraversa i livelli e gli stati fisici ed il movimento univoco del corpo si genera a partire da un singolo impulso, il respiro è continuo e morbido. Il corpo è dunque “disponibile”, come lui stesso ha definito nella descrizione del workshop che sta tenendo in questi giorni presso il centro Körper, disponibile ad accogliere e l’anima danza anch’essa nelle ossa e nelle articolazioni. Ecco che un accadimento che simboleggia la forte crisi attuale nel mondo dello spettacolo diventa spunto drammaturgico per costruire uno spettacolo insieme al pubblico che si scopre performer.
Questo và al di là del teatro, è un motore innovativo che crea arte a partire dalle mozioni intime, dai sentimenti ed è la riscoperta originaria dell’esigenza del danzartore e del coreografo.
Marco lavora, così, sulla rottura delle classiche drammaturgie della danza contemporanea e vuole andare su un canale completamente altro rispetto a quelli che sono i due filoni attuali della scena coreografica, quello troppo “intellettualista”, dove la danza viene penalizzata e quello neo-classico in cui i movimenti sembrano essere solo sfoggio di virtuosismo, senza connessione emozionale e spirituale.
La vera danza contemporanea è quella che racconta, non nel senso che segua un forte filone narrativo, ma nel senso che racconta i sentimenti reali degli uomini trasportati nell’astrattezza del gesto e del movimento. I movimenti allora sono performativi, reali ed autentici perché esistono in quel momento e si verificano in maniera vera, fisica e sperimentale, perché le possibilità di azione e re-azione del corpo sono infinite.
Nel lavoro di Chenevier, tutto ciò appare molto chiaro ed anche la parola ed il suono diventano movimento proprio come pensava il grande teorico del movimento, Rudolf Laban, che individuò la relazione tra suono, parola e danza e definì che il corpo, muovendosi, disegna le sue traiettorie spaziali in una varietà data di possibilità.
Il teatro di Marco Chenevier è dunque una forma di teatro aperta in cui l’arte vive di emozioni vissute. Quando racconta dell’accaduto, o interpreta la Montalcini, o danza, rende tutto vitale, tutto diventa movimento, dinamica ed espressione e la voce e la danza rivelano il loro significato originario.
Credo che la danza contemporanea debba uscire da una forte sterilizzazione creatasi negli ultimi anni e debba nutrirsi sempre del nuovo, attingendo a quello che succede nella vita e rendendolo drammaturgia e movimento.
Al termine dell’esibizione, il coreografo ha donato al pubblico un assaggio dello spettacolo dei giorni successivi, dal titolo molto complesso, come lui stesso ha definito, La scelta – Beati pauperes in spiritu – Eckhart Project, danzando sulle note di Bach e regalando ancora emozioni divine.

 

 

 

 

 

Quintetto
regia e messinscena
Marco Chenevier, Smeralda Capizzi
coreografia ed interprete Marco Chenevier
produzione Teatro Instabile D’Aosta
con il sostegno di MIBAC, Assessorato Istruzione e Cultura Regione Valle d’Aosta
in collaborazione con Körper
durata 1h 20’
Napoli, Galleria Toledo, 10 aprile 2015
in scena 9 e 10 aprile 2015

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