“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 24 October 2014 00:00

11° comandamento: non dimenticare

Written by 

Vento. Il sipario si apre e prima di tutto, prima di vedere, sentiremo il soffio del vento. Deve essere la Bora. Poi viene l'immagine. Accompagnata dal fischio del vento. Rosee facciate di pietra, sarà il calcare di Aurisina? Pietra che sa di freddo. Colore che sa di freddo, di lontano, di antico. Sembrano quei colori un po' smorti dei filmi degli anni '70, delle fotografie di qualche decennio fa. Compare una scritta: "MAGAZZINO 18". Sempre solo silenzio. O meglio, l'immagine del silenzio, dell'abbandono, è il vento.

Poi compare in scena la voce, forte accento romanesco, qualcuno che parla a voce alta al telefono, inviato dal Ministero (quale? Lo sapremo solo alla fine...) per inventariare quello che si trova in quel magazzino. "C'è pure il comitato di benvenuto... li sorci!". Il tono alto della voce così in contrasto col silenzio che trasuda dalle immagini. E poi la voce si materializza, assume il corpo e la zazzera di Simone Cristicchi, nei panni dell'archivista di stato Persichetti, che archivia tutto, "pure li sorci!".
Parola, immagine e oggetti si fondono in un continuum molto convincente. L'uomo parla, materializzando cose, persone, fatti. Le luci scoprono e coprono di volta in volta gli oggetti materiali che costituiscono la scenografia, sedie, tavoli, attaccapanni, una scrivania, carte. "Armadi, letti, cassapanche, sedie, attrezzi da lavoro, pare un trasloco... stia tranquillo dottò, Persichetti archivia tutto, pure i pidocchi!". Il fondale è una tela su cui proiettare immagini statiche e dinamiche, oppure niente, vuoto spazio da riempire di colore o di buio assoluto. Tela sonora su cui si stagliano le note.
Ci sono pagine della storia, della nostra storia non più tanto recente, che non conosciamo. Ci sono pagine della storia che abbiamo paura di conoscere. Pagine che parlano dei padri. Pagine che parlano dei figli. Pagine che parlano di omissioni, revisioni, amnesie, silenzi. pagine che sono carte ingiallite, fotografie in bianco e nero, filmati dal commento metallico.
Ci sono italiani che non conosciamo. Ci sono italiani che forse abbiamo paura di conoscere. Di riconoscere. italiani che sono stati nostri padri, o nonni. italiani uccisi, o fatti uccidere dai nostri padri, dai nostri nonni. Italiani che abbiamo preferito dimenticare. Perché la realtà è sempre complessa, più complessa delle semplificazioni storiche, di alcune semplificazioni storiche.
Ci sono nomi di città che conosciamo e altri che non conosciamo, anche se si tratta degli stessi luoghi, prima e dopo l'esodo degli Italiani. Fiume, Pola, Cittanova d'Istria. Rijeka, Pula, Novgorod.
E c'è il magazzino 18, nel porto vecchio di Trieste. Albergo pietoso di povere masserizie. Oggetti che raccontano storie, come i reperti di uno scavo archeologico. Povere, umili cose della vita quotidiana, recano un nome, quello del proprietario, un numero di spedizione. Non sono mai stati reclamati. Dimenticati anche loro. Come coloro cui erano appartenuti.
Brandelli di vita. La vita degli esuli italiani dall'Istria e dalla Dalmazia dopo il 10 febbraio 1947, data della cessione di quelle regioni alla Jugoslavia del Maresciallo Tito. "Vi sentite estranei nella vostra terra, perché altri se ne stavano appropriando". Scorrono i nomi degli esuli, una intera regione svuotata della sua essenza, dei suoi abitanti, della sua lingua, suoni, profumi, sapori, tutta quella sostanza umana che costruisce una comunità. Restano solo i chiodi, bene prezioso, per chiudere le casse di masserizie da far pervenire in Italia.
Abbiamo capito poco dei Balcani dopo Tito. Di quella guerra fuori la porta di casa. Avevamo capito poco anche prima di quella regione. Crocevia di popoli. Porta di confine tra l'Europa e il Levante. Abbiamo capito poco di quegli Italiani di confine, della italianizzazione forzata sotto il fascismo, delle foibe, degli esuli, di coloro che invece erano tornati indietro, per costruire il mondo nuovo sotto il sole dell'avvenire, e di coloro che erano rimasti, invisi agli uni e agli altri.
C'è tanto dolore in queste pagine, nelle note che accompagnano il testo, nelle voci del coro dei bambini. Ci sono lacrime. C'è un groppo che stringe la gola e il petto. La vergogna di non conoscere. La vergogna che tutto ciò sia avvenuto. Che qualcuno lo abbia permesso. Che qualcuno abbia permesso, o imposto, il silenzio, l'oblio.
Quanti sono questi Italiani dimenticati? Non si sa. Più facile pensare che siano poche centinaia, prodotto di regolamenti di conti, delazioni di quartiere, vendette sacrosante contro le angherie perpetrate dai fascisti. Più facile pensare gli Italiani di Istria e Dalmazia come fascisti. Questo li porrebbe nella schiera dei non umani e pulirebbe la coscienza. Di tutti.
Fa riflettere Simone Cristicchi. Alternando sapientemente tragedia ecommedia, stemperando la tensione con le note comiche di Persichetti o il tono elegiaco delle melodie, che accarezzano con dolce malinconia il cuore. Canto come straziante lenimento. Il risultato è una forte coralità, un silenzio assoluto, un respiro sospeso collettivo che scroscia negli applausi liberatori alla fine di ogni pezzo musicale. E nell'applauso finale alle sedie schierate sul proscenio, simbolo di uomini, donne, bambini scomparsi, che abbiamo il dovere di ricordare.

 

 

 

Magazzino 18
di e con
Simone Cristicchi
scritto con Jan Bernas
regia Antonio Calenda
musiche e canzoni inedite Simone Cristicchi
musiche di scena e arrangiamenti Valter Sivilotti registrate dalla FVG Mitteleuropa Orchestra
produzione Il Rossetti
coproduzione Promo Music e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
lingua italiano
durata 1h 55'
Napoli, Teatro Bellini, 21 ottobre 2014
in scena dal 21 al 26 ottobre 2014

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook