“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 03 March 2021 00:00

Follia

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Dopo un ricovero alquanto lungo nel reparto “Oftalmologia” dell’ospedale, l’artista fallito, affetto da un’esistenza d’insuccessi continui, si trova adesso in una clinica per i disagi mentali; infatti nello studio della psicologa assegnatagli, eccolo seduto a raccontare, per filo e per segno, le dinamiche della rovina.

È la prima visita e lui, in tono costernato, si lamenta così: “Quando, con una lettera che li definiva un’autentica schifezza, perfino il mensile ciclostilato della parrocchia rifiutò i miei scatti, immediatamente la verità mi apparve chiara. Chiara per intero. Per questo gridai al riflesso nello specchio del mio salotto: ‘Non capisci? Ho la memoria fotografica, io, e qualunque tipo di luce, solare o artificiale, che percorrendomi gli occhi mi arrivasse al cervello, cancellerebbe all’istante i miei ricordi. Ineluttabilmente. Insomma nel chiuso del mio cranio le cose andrebbero proprio come quando uno è nella camera oscura, intento a sviluppare con gli acidi, e la porta si spalanca d’improvviso, mandando in malora sia i negativi, sia le immagini appena nate’”.
“E magari il riflesso le rispose alcunché?”, domanda la dottoressa, che, non conoscendo ancora bene il caso, si permette un velo d’ironia nella voce.
“Ovviamente! Mi disse: ‘Sospettavo già che le vittime dell’Alzheimer fossero, in realtà, gente come me: poveretti il cui passato si dissolve per colpa della luce e non certo di un disturbo chimico o nervoso. Perciò l’unico modo per salvarmi è trascorrere il resto della vita nel buio più completo. Sì, ad esempio mi rintanerò nella mia stanza, dopo averne sbarrato ogni minima finestra e svitato, com’è giusto, tutte le lampadine. Tutte’”.
“Lei era d’accordo con questo piano?”, s’informa la psicologa, col sorriso mellifluo di chi asseconda lo scemo del villaggio.
“No. Ed anzi ne avevo colto subito il punto debole. Tanto che proruppi: ‘Stupido, nulla può essere sprangato ermeticamente! Per cui durante il giorno qualche spiffero di luce, prima o poi, si insinuerà inevitabilmente fra i listelli delle persiane. E sai che farà? Mi colpirà le iridi a tradimento, elidendomi le fotogr... i ricordi!’”.
“E lei, allora, trovò una soluzione migliore?”, sogghigna, beffarda, la psicologa, non aspettandosi quanto sta per accadere.
“Certo: un eccesso di acidi!”, esclama l’artista con fermezza. E si toglie, di scatto, gli occhiali neri da cieco.

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