“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Il Pickwick

Giuseppe Patroni Griffi

“È stupefacente che non ci ritroviamo la mattina, tutti, tutti noi napoletani, in un meraviglioso Eden di cartapesta, come ce l'hanno rappresentato”. 

Roberto Latini

“immagino il teatro come un non finito, / non finibile. / nella sua natura credo sia l'imperfezione / l'imperfezione come aspirazione / l'imperfezione esatta, netta, giusta, precisa / l'imperfezione simile al difetto / il teatro come difetto. / assolutamente imperfetto”.

Thomas Bernhard

“Si domandava che cosa fossero i ricordi, questi brandelli di fatti notevoli che non si capiscono più. Il ricordo rimane indietro e non la smette mai di ripetere quello stesso identico spettacolo che metteva in scena al momento in cui lo avevamo lasciato, quando non era ancora un ricordo”.

Francesco De Gregori

“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure / E cancello il tuo nome dalla mia facciata / E confondo i miei alibi e le tue ragioni, i miei alibi e le tue ragioni”

È tempo di mettersi in ascolto

È tempo di mettersi in ascolto.
È tempo di fare silenzio dentro di sé.
È tempo di essere mobili e leggeri,
di alleggerirsi per mettersi in cammino.
È tempo di convivere con le macerie e
l'orrore, per trovare un senso.
Tra non molto anche i mediocri lo diranno.
Ma io parlo di strade più impervie,
di impegi più rischiosi,
di atti meditati in solitudine.
L'unica morale possibile
è quella che puoi trovare,
giorno per giorno,
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se solo tu ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti,
mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo,
una condizione,
un'avventura,
un processo di liberazione,
una fatica,
un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda
della propria arte.
Luoghi visibili,
e luoghi invisibili,
luoghi reali
e luoghi immaginari
popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è merce
e la sua legge sarà
sempre pronta a cancellare
il lavoro di
chi ha trovato radici e
guarda lontano.
Il passato e il futuro
non esistono nell'eterno presente
del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora
dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dall'oppressione
e riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto,
da solo diventa sordo.
Un'arte clandestina
per mantenersi aperti,
essere in viaggio ma
lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno, di fare la mappa
di questo itinerario;
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo
per trovare un nuovo inizio.
È tempo che l'arte
trovi altre forme
per comunicare in un universo
in cui tutto è comunicazione.
È tempo che esca dal tempo astratto
del mercato,
per ricostruire
il tempo umano dell'espressione necessaria.
Bisogna inventare.
Una stalla può diventare
un tempio e
restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un'idea,
potranno salvarci
ma solo una relazione vitale.
Ci vuole un altro sguardo
per dare senso a ciò
che barbaramente muore goni giorno
omologandosi.
E come dice un maestro:
"tutto ricordare e tutto dimenticare".

(Antonio Neiwiller, L'altro sguardo: per un teatro clandestino. Dedicato a T. Kantor; 1993)






L'immagine di copertina è di ©CesareAccetta (part.)


Antonio Grieco
L'altro sguardo di Neiwiller
Napoli, L'Ancora del Mediterraneo, 2002
pp 224; pp. 172-175;



Fernando Pessoa

“Se dopo che io sarò morto vorranno scrivere la mia biografia, non c'è nulla di più semplice. Ho solo due date − quella della mia nascita e quella della mia morte. Tra l'una e l'altra tutti i giorni sono miei”.

da "Sporcarsi le mani", a cura di Maricla Boggio

Ruggero Jacobbi: “Figuriamoci se non sono sensibile a queste cose, le capisco benissimo, anche perché qui nessuno fa il critico e basta. Tutti siamo più o meno coinvolti in operazioni teatrali”. Roberto De Monticelli: “No, io faccio solo il critico, se dio vuole...”.

Vladimir Vladimirovič Nabokov

“Erano uomini che potevano sognare, non governare; rovinavano la propria vita e quella degli altri, erano dissennati, deboli, futili, isterici, buttavano via occasioni, evitavano di agire, passavano notti insonni a progettare mondi che non avrebbero mai costruito: ma − dice Čechov − felice il Paese che può produrre questo tipo di uomini”.

Angelo Maria Ripellino

“Teatro e ancora teatro, è la mia sorte. Che altro mi resta se non incantarmi dei bianchi ceroni, dei rossi tondini sulle guance e di questa irrisione di morte? Come scope di rusco sono irte le parrucche, sgocciano sangue i nasi di cartapesta, aspetto miracoli e trucchi: che altro mi resta? Vivere sotto una ribalta, rincantucciato, bevendo le aspre luci, i riflettori di fuoco, abbandonarmi abbindolato a ciò che può ancora salvarmi, a questi detriti di un grande giuoco”.

Milena su Franz Kafka

“Tutti noi riusciamo a vivere solo perché, a un certo punto, ci rifugiamo in una menzogna, una qualsiasi. Lui invece non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo: è assolutamente incapace di mentire, come è incapace di ubriacarsi. Franz è senza il minimo rifugio, senza un ricovero, perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. È un individuo nudo tra individui vestiti”.

il Pickwick

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