Valentina Mariani
Minimal tribal: la musica queer di Anna Calvi
Anna Calvi sale sul palco della Corte degli Agostiniani di Rimini puntualissima, insieme ai due musicisti che la accompagnano nel nuovo tour Hunter − che prende il nome dall’album in uscita il prossimo 31 agosto −, il batterista Daniel-Maiden Wood e la polistrumentista Molly Harpaz. Pantalone nero a vita alta, scarpe beige, top rosso, la talentuosa cantautrice e, prima ancora, musicista londinese entra in scena con grazia, e con regale lentezza si sistema sulla scena, al centro del palco. Poi inizia ad accarezzare la chitarra, in un rapporto a due che pare subito esclusivo e che presto si trasforma in un amplesso stratosferico che coinvolge anche il pubblico, osservatore rapito ma, al contempo, attento partecipe dell’estasi in corso.
Il viaggio di periferia con Agnès Varda
Visages, villages è un documentario di Agnès Varda, regista e sceneggiatrice belga presto trasferitasi con la famiglia in Francia, e di JR, fotografo e artista visuale dell’Île de France di origine maghrebina. La Varda fa parte dei miti cinematografici del Novecento, avendo stretto rapporti professionali e amicali con diversi esponenti della Nouvelle Vague ed essendo pioniera del genere forse più noto, e certo più mitizzato, dagli intellettuali, del Novecento.
Un cielo senza stanze, una stanza senza cielo
Mi interrogo spesso sulla (possibile) funzione del teatro, oggi in particolare. Su una sua funzione di senso, su un ruolo civile che riesca a costruire un’impalcatura etica, in un vuoto generale e politico che pare assoluto. Il cielo in una stanza dà risposta ad alcune delle domande sulle origini del “disastro amorale italiano” contemporaneo, così come iniziò nel secondo dopoguerra; dà un indirizzo possibile alla ricerca incessante di verità e giustizia che sempre meno permea la vita pubblica, così come le speculazioni intellettuali, e anche, purtroppo, gli studi e le creazioni culturali.
“La forma dell’acqua”, un fondale di messaggi
La forma dell’acqua di Guillermo del Toro è prima di tutto un film romantico ed un omaggio. È un film romantico perché narra di amore e amori, perché i protagonisti sono persone considerate fuori dalla norma (una donna muta, un uomo-anfibio semi-divino, un anziano disegnatore talentuoso ma escluso dal mondo del lavoro, e dal mondo di tutti i giorni, perché omosessuale). I tre personaggi potrebbero costituire tre cliché, invece del Toro unisce ad arte i fili di questa fiaba a metà tra la spy-story, il racconto fantastico, la commedia anni ’30-’40.
Una gioia confusa e noiosa
La mia prima volta a uno spettacolo di Pippo Delbono. Senza aspettative particolari se non il sentimento positivo dell’attesa dinanzi a un regista noto da decenni, pluripremiato e con collaborazioni eccellenti (Odin Teatret, Pina Bausch, per fare due nomi su tutti) e il titolo dello spettacolo, La Gioia, che ha evocato in me spazi e movimenti, ritmiche e armoniche possibilità. Nessuna conoscenza pregressa diretta: solo articoli letti su di lui. Con interesse, dunque, sono andata a vederlo.
La poeticità dell'amore viene dall'Est
Corpo e anima, candidato all’Oscar 2018 come migliore film straniero, dell’ungherese Ildikó Enyedi, è un film dal substrato psicanalitico, ma dallo svolgimento realista (e minimalista). La regista, il cui film è stato premiato a Berlino con l’Orso d’Oro, riesce con delicatezza ed eleganza ad unire i due territori, chiari fin dal titolo: l’esteriorità e l’interiorità, l’aspetto e il comportamento da un lato, l’inconscio e l’emotività dall’altro.
Caino (del Reato)
(Liberamente ispirato allo spettacolo Caino del Teatro Valdoca − Arena del Sole, Bologna, marzo 2012)
Nello spazio l’eco lontana
Di un’offerta rifiutata.
Resta una fronda spezzata
Una vita innocente violata
Nel vento da mano intenta
A smuovere membra
Agitare battaglie
Bagnare il tempo
Del suo stesso sangue.
I territori reconditi di Ebbing
Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film strano, difficile. Può sembrare un tentativo imitativo del pulp grottesco dei fratelli Cohen, ma non è così. Questo film, frutto del lavoro dell’inglese (di origine irlandese) Martin McDonagh, è un film drammatico, ma anche una dark comedy. Una certa influenza europea, e più precisamente britannica, si vede, nello humour potente che resta sempre sospeso tra possibilità di redenzione, normale accadimento e tragedia.
Half Italie agli Oscar
In questo fiorente inverno cinematografico, avendo la fortuna di vivere nella “città italiana del cinema” (Bologna), mi sono recata a vedere anche il film di Guadagnino, Call Me by Your Name, con cast, sceneggiatura e produzione internazionali. Il regista è italiano (palermitano con madre algerina), così come italiana è l’ambientazione del film: la provincia cremasca, dove egli vive. Per completezza aggiungo che la storia non è originale, bensì tratta dall’omonimo romanzo di un ebreo sefardita nato ad Alessandria d’Egitto, e di adozione statunitense, André Aciman. Costui ambienta il suo romanzo in Liguria e ciò spiega l’altrimenti più misteriosa usanza di parlare francese della famiglia, ovviamente ebrea (ebrea-americana).
“Loveless”: il mondo è senza scampo
Il film Loveless − Premio (meritatissimo) della Giuria a Cannes nel 2017 − è ambientato nella Russia di oggi e racconta una storia in apparenza comune. Non solo in apparenza, in realtà, perché davvero la storia di due persone sposate che non si amano, con un figlio (solo uno) e che condizionano la sua serenità a causa del loro non-amore è molto diffusa. Ma è anche una storia non tipicamente russa, bensì molto occidentale, perché la famiglia in questione è benestante, per quanto, nonostante l’agiatezza, lo stabile in cui vive è un palazzone che riporta immediatamente l’immaginario dello spettatore al recente passato sovietico.