“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 01 March 2018 00:00

La poeticità dell'amore viene dall'Est

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Corpo e anima, candidato all’Oscar 2018 come migliore film straniero, dell’ungherese Ildikó Enyedi, è un film dal substrato psicanalitico, ma dallo svolgimento realista (e minimalista). La regista, il cui film è stato premiato a Berlino con l’Orso d’Oro, riesce con delicatezza ed eleganza ad unire i due territori, chiari fin dal titolo: l’esteriorità e l’interiorità, l’aspetto e il comportamento da un lato, l’inconscio e l’emotività dall’altro.

E così l’opera si muove in un formalismo d’altri tempi, classico, quasi austro-ungarico, ma pure radicale e imperscrutabile. Come nei romanzi di Agota Kristof, aleggia un’atmosfera di dolore sopito che guida le esistenze dei due protagonisti, dando loro il colore originario dell’incomunicabilità e della lontananza dal mondo. Sarà il sogno, riadattato da Jung a una realtà onirica molto concreta, fatta di natura ed animali, a fare incontrare i silenzi e le solitudini di Mária ed Endre. Mária è una giovane responsabile della qualità assunta in un mattatoio, luogo tutt’altro che simbolico e psichico, di cui Endre è direttore finanziario. La donna è molto intelligente, dedita al lavoro in maniera precisissima, maniacale, possiede una memoria prodigiosa, si isola da qualunque rapporto e contatto umano. Sembra un personaggio (vagamente) autistico. Non si comprende se e quali drammi possa avere vissuto, ma non riesce a toccare − né ad essere toccata da − alcun essere umano. Si rivolge a un neuropsichiatra infantile il quale cerca di condurla verso una strada adulta e le consiglia un terapeuta per adulti, ma lei è come prigioniera dell’infanzia. Riesce ad inscenare interazioni dialogiche e sociali soltanto quando, tornata a casa dopo la giornata lavorativa, gioca con i Playmobil. Endre è un uomo maturo, con un braccio completamente paralizzato e nessuna compagnia fuori dal lavoro. Ha una figlia che non compare mai e ha avuto molte donne, senza provare sentimento, negli ultimi decenni. A quanto pare, la sua sofferenza per una donna che ha in qualche modo perduto lo ha spinto verso il sesso fine a se stesso, da cui infine si è quasi distaccato, eccezion fatta per una donna con cui ogni tanto s’intrattiene sessualmente ma con spirito amicale, più che altro.
L’incontro tra i due avviene dunque in un contesto per niente asettico, così intriso di odori forti, animali, di rumori di macchinari, di muggiti, di sangue che scorre dovunque, elementi contrastati dalla dolcezza che lentamente e silenziosamente viene a crearsi. All’inizio Endre guarda la ragazza con sospetto, perché la vede distaccata da tutto e tutti, ripiegata sul lavoro ed eccessivamente severa nel valutare il livello dei bovini macellati dall’azienda, tanto da declassarne molti. Mária pranza sempre da sola; incuriosito e in qualche modo attratto, un giorno Endre si siede a pranzo con lei. È fin da questo primo dialogo che si vede un possibile collegamento tra i due: entrambi hanno un’invalidità, Endre nel “corpo”, Mária nell’”anima”. Ecco spiegato, semplicemente, senza utilizzare la psicanalisi o il simbolismo in maniera intellettualistica, il titolo del film e i mondi che esso racchiude e fa vivere ai protagonisti.
Il casus belli, ciò che provoca il loro vero avvicinamento e il dipanarsi degli eventi sul piano di una passione che resta sempre molto eterea e garbata – ma non per questo banale o noiosa − è un’indagine della polizia su un furto di materiale all’interno del mattatoio. Una psicologa fa colloqui a tutti i dipendenti per provare a capire chi possa essere il colpevole: il furto è inequivocabilmente opera di una persona interna all’azienda. Dai dialoghi con Mária ed Endre emerge che i due, in maniera inconsapevole l’uno dell’altra, fanno ogni notte lo stesso identico sogno: in un bosco innevato due cervi, una femmina e un maschio, si muovono insieme, camminano insieme, bevono da un lago, si cercano, senza toccarsi, si (in)seguono. Da principio, la psicologa pensa che i due la stiano gabbando, ma poi, mettendoli a confronto, emerge che essi sono ignari del sogno altrui e che si tratta di una, per quanto assurda, coincidenza. Un incontro intra-psichico, una suggestione onirica, chissà... Per due persone tanto distanti dai meccanismi canonici della vita e dalle sue materiche dinamiche non poteva esserci probabilmente altro modo di andarsi incontro se non indiretto, intermediato. E così, la loro storia inizia con la proposta di Endre di scrivere ciascuno ogni giorno il resoconto del proprio sogno. Ed ogni giorno, ciò che succede ai due cervi è identico. Questo fa rilassare e ben disporre Mária e le fa acquistare gradualmente fiducia in un altro essere umano. Da qui, e dalle delicate sensibilità dei due che gli attori rappresentano in modo perfetto, nascerà l’amore. Un amore semplice, prima casto, poi anche carnale, eppure intimo e brillante come lo sono certi amori da cartolina, intenso come è un amore ultra-passionale o raggiante come un amore della fascinazione intellettuale. Questo è invece un amore normale, puro e bellissimo, anche se non è l’avvenenza ad essere in primo piano, è un amore che fa riacquistare ad Endre fiducia nella vita e sorrisi pieni e che fa conoscere a Mária la naturalità della condivisione e del calore (del corpo) umano.
La Enyedi riesce, rinunciando a tutti gli ingredienti classici che costituiscono le trame erotiche e/o sentimentali, a regalarci una storia di amore e di umanità, condita da momenti quasi tragici (il tentativo di suicidio di Mária, accompagnato in sottofondo dalla soave canzone di Laura Marling What He Wrote), ma anche da sprazzi di ironia, oltre che dal contrasto misterioso dell’intangibile materiale spirituale che infonde la fisicità delle esistenze.
Il contrasto tra sogno e realtà, crudezza del contesto e fragilità dei due protagonisti è il leit motiv del film, così come consustanziali ad esso sono le antinomie giorno/notte, uomo/donna, parole/silenzio, diffidenza/intimità. Unire gli opposti è stato il paziente lavoro della Enyedi, e le è riuscito davvero molto bene.

 




Corpo e anima
regia Ildikó Enyedi
con Géza Morcsányi, Alexandra Borbély, Zoltán Schneider, Ervin Nagy, Tamás Jordán, Zsuzsa Járó, Éva Bata, Pál Mácsai, Júlia Nyakó
fotografia Máté Herbai
montaggio Károly Szalai
musiche Ádám Balázs
produzione Inforg-M&M Film Kft.
distribuzione Movies Inspired
paese Ungheria
lingua originale ungherese
colore a colori
anno 2017
durata 116 min.

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