“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 24 July 2019 00:00

Edipo, mendicante in cerca di umanità

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Per la prima volta a Pompei, a Rimas Tuminas, regista lituano direttore del teatro Vakhtangov di Mosca, va l’onore e l’onere di accogliere e proseguire l’eredità ‘napoletana’ del compianto Nekrosius, cui questo Edipo a Colono è dedicato. Appare già significativa in tal senso la scelta del dramma, che mette in scena il commiato di Edipo dal mondo. Ma più ampiamente, il viaggio finale di Edipo offre echi e suggestioni contemporanee molto forti, che sia la regia che la sceneggiatura/riscrittura di Cappuccio (che fa ampio uso del dialetto: siciliano, soprattutto, ma anche napoletano) raccolgono ed evidenziano.

Edipo è il mendicante maledetto in cerca di ospitalità, che necessita della protezione contro la forza e la violenza di una città e di una parte di mondo, verso cui è indifeso. La troverà nella periferia di Atene, in una comunità popolare, curiosa e canzonatoria verso i forestieri che arrivano − proprio come le popolazioni del sud evocate nei modi e nei dialetti – che, pur tra sberleffi e sfottò, gli accorderà difesa e ascolterà i suoi terribili racconti, con gli echi di guerre fratricide che si avvicinano minacciosamente. Colono è un borgo alle porte di Atene. E così le pietre del bosco sacro alle Eumenidi, le dee vendicatrici, con le mura della città a vista, che ospitano l’arrivo del cieco mendicante Edipo dopo un lungo peregrinaggio, diventano sul palco del Teatro di Pompei una struttura di legno di una torre molto alta, che ricorda certi edifici abbandonati delle periferie ai margini delle grandi città. Qui arriva e si ferma, esausto, il mendìco accompagnato dalla figlia Antigone, la memoria carica di orrore e di dolore, alla ricerca della terra che ospiti la propria tomba e con la promessa – divina - di ricompensare l’accoglienza che riceverà.
La memoria di Edipo, attraverso il racconto, dipana le trame di un destino tragico che ormai si sta compiendo fino in fondo e che il dramma mette in scena, in quell’unico luogo marginale, all’ombra di quella torre dove gira tutto l’intreccio, dove sembra si sia definitivamente fermato il Fato, richiamando a sé tutti gli attori per impartire gli ordini per la scena finale, a ciascuno secondo il responso degli dei.
Di tutta la sua storia tragica, la tappa finale di Colono rappresenta, almeno in parte, la rivalsa di Edipo: per tutta la vita ha lottato contro il verdetto degli dei, ha cercato invano di sottrarsi al male che poi ha commesso e che continua ad appestare chi gli sta intorno. Stavolta invece Edipo riesce a trovare pace, protezione e finalmente la sua sepoltura: la degna fine del suo aspro e combattuto cammino. Gli dei ora lo proteggono e difendono, ripagano il suo destino tremendo, consegnandogli la pace eterna.
Edipo, non più re, è adesso il mendicante che cerca ospitalità; ha una scarpa tolta, il “piedo gonfio”, gli abiti laceri, indifeso ed è esposto alla mercè di tutti; insomma: è lo sciagurato viandante in cammino che tuttavia custodisce in sé un tesoro e che verrà sepolto alla fine − con una scena fortemente simbolica, coperto appunto di scarpe − evocativo emblema del viaggiare.
Il coro, la comunità locale, gli offrirà rifugio concedendogli la sepoltura (con la torre abbandonata che, in una scena molto scenicamente interessante, sarà insieme un riparo, ma anche un luogo da cui poter guardare dall’alto, oltre, lontano). Mentre − come un deus ex machina − il benevolo quanto vanesio re lo salverà dai pretendenti che con la forza vorrebbero accaparrarsi i beni derivanti dalla sua sepoltura, quei figli e parenti schierati in guerra a capo di opposti eserciti, seme malato e cieco che continua a propagare male. È la morte l’unico rimedio, ci ricorda Sofocle: a Edipo, che da cieco ormai vede tutto con chiarezza, non può toccare niente di meglio che un asilo per le sue spoglie. Ma per chi continua a vivere, come Antigone? “Ce ne andremo per i campi, per le terre... sempre a mendicare... a implorare un’elemosina” afferma rivolgendosi alla sorella, in un messaggio di umiltà e speranza che contiene anche un monito: “Che non scorra il sangue dei fratelli! Andiamo a passi nuovi, al mare del silenzio.. del silenzio che brillò, brilla, brillò”.
Il testo non sempre risulta comprensibile (anche a causa delle voci a volte non adeguatamente forti e dunque udibili fino all'ultima fila del grande teatro): del resto puntando spesso alla sonorità della parola o dell’accento, diventando più volte nel corso dello spettacolo un coro di voci accompagnato da musiche; i diversi registri stilistici utilizzati si affiancano, qualche volta con artificialità, non sempre con efficacia, generando in alcuni quadri in particolare una lingua composita di dialetti e linguaggio lirico, con un effetto insieme di sospensione e di sensualità. Anche le scene talvolta scorrono un po’ stancamente, senza troppa forza, ma durante i momenti più significativi del dramma l’intensità dei monologhi e dei dialoghi risulta efficace, vera ed emoziona. Complessivamente la rappresentazione rimane ‘fedele’ all’opera originale, con la capacità di inserti attuali che connotano al presente la chiave di lettura della esemplare vicenda di Edipo, mostrandone l’eterna attualità.

 



 

Pompeii Theatrum Mundi
Edipo a Colono
di
Ruggero Cappuccio
testo Ruggero Cappuccio (liberamente ispirato a Sofocle)
regia Rimas Tuminas
aiuto regia Gabriele Tuminaite
con Claudio Di Palma, Marina Sorrenti, Fulvio Cauteruccio, Franca Abategiovanni, Giulio Cancelli, Davide Paciolla, Rossella Pugliese
e con Nicolò Battista, Martina Carpino, Cinzia Cordella, Simona Fredella, Gianluca Merolli, Enzo Mirone, Francesca Morgante, Erika Pagan, Alessandra Roca, Piera Russo, Lorenzo Scalzo
musiche Faustas Latenas
coreografie Andzelica Cholina
luci Eugenius Sabaliauskas
costumi Adomas Jacovskis
produzione Teatro Stabile Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival -  Napoli Teatro Festival Italia
lingua italiano, siciliano, napoletano
durata 2h
Pompei, Teatro Grande, 27 giugno 2019
in scena dal 27 al 29 giugno 2019

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