“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 21 October 2017 00:00

Il "Cantico" di Latini. Un maledetto che canta amore

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Con un giglio tra le mani e la bocca impastata di rossetto Roberto Latini è un maledetto che canta amore. Uno senza tetto e senza destino che sta su una panchina e diventa protagonista d’un surreale quadro radiofonico. A testa bassa, sudicio, canta amore per strada, nel parco, in un sogno, ma nessuno gli crederà. Perché lui è l’anonimo interprete di un canto inconscio; è nessuno che parla: non è un re né la sua concubina, non è mirra, vino, latte, non è un giardino né un monte, non è un gregge né un cervo, una gazzella, non è Gerusalemme. Lui non è altro che un barbone, androgino, sconosciuto, con un giglio tra le mani che canta amore.

Nel leggere il Cantico dei cantici, il più enigmatico testo delle Sacre Scritture, Latini si è posto una clausola: non far caso a chi è che parla, quindi non cercare una interpretazione. Il testo, infatti, è anonimo, controverso, ricco di immagini erotiche tradotte dalle religioni, cristiana e ebraica, in allegorie dell’amore divino. Nella trasversalità del suo studio sul testo − mescolato a citazioni cinematografiche e letterarie che vanno da Sergio Leone e Modugno, fino a Cocteau − Latini ha partorito una drammaturgia quasi fedele all’originale, e fedelissima nel descriverne gli odori e i sapori. Ne è nata una stratificazione di significati che fa di questa performance una visione: in tutta la sua struttura − nella scrittura scenica, nel disegno luci, nella partitura sonora − è evocata la confusione di un sogno, che però è concretamente simile alla realtà. Quello che vediamo, d’altronde, è il prodotto personalissimo del contatto di Latini con il testo: la traduzione scenica del suo sentire, di un mondo “altro” che lui ha immaginato, dove un uomo che dorme per strada accompagna i suoi giorni senza destino cantando, quasi senza diritto, l’amore. Tutto è onirico in senso stretto: la visione deriva da un sogno, ancora una volta personale, lontano da noi. Questa distanza concettuale di Latini che, nell’invitarci a non “far caso a chi parla” impone la sua esperienza, unica e profonda con un’estetica curata fino al risultato estremo di rendere materia le emozioni, costituisce una contraddizione interna: e da questo nasce l’intesa che supera la distanza.
L’arte è codificazione dell’incostanza emotiva che ci accomuna tutti. Il “codice” latiniano è fatto di gesti, è una coreografia del corpo che, nella dimensione ideale in cui qui è collocato, si muove insieme alle parole e ai sogni. Il corpo in scena è un corpo schizofrenico che si lancia, si inceppa, poi si snoda per accartocciarsi di nuovo; fragile colonna di una mente sconvolta, se dall’amore o dalla vita non ci è dato sapere. Un corpo che grida, ripetendosi, il dolore dell’amore; come una supplice, si piega, prega con parole pregne di mistero, che non sono rivolte a nessuno, solo dette. Dicendo “il mio amato è mio e io sono sua” rivela l’appartenenza come inevitabile sorte di chi ama. Dicendo “la mia vigna, la mia, non l’ho custodita” lascia intuire il trasporto dell’amante, pronto ad abbandonare la terra fruttuosa per il collo dell’amato che è “una fortezza”. Dicendo “Vieni...” brama l’assoluto; urlando “Fuggi!” sa che l’assoluto è impossibile raggiungerlo. E trema, in un crescendo ieratico immobilizza le estremità di quel corpo che ha mosso, finora, in danza: al culmine del canto, si spoglia del travestimento, si ferma e si sporge in avanti affidando al solo viso scoperto la danza delle parole. “Che peccato” insiste una voce fuori campo e sembra voler dire: che peccato non averlo trovato, il mio amore. Che peccato non poterlo amare, il mio amore. E, per questo, “Vi prego, non svegliate il mio amore che dorme”. 

 




Festival Teatro Bastardo
Cantico dei cantici
adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e tecnica Max Mugnai
produzione Fortebraccio Teatro
con il sostegno di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il contributo di MiBACT, Regione Emilia Romagna
lingua italiano
durata 50'
Palermo, Teatro Biondo, 15 ottobre 2017
in scena 15 ottobre 2017 (data unica)

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