“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 29 August 2015 00:00

Il tramonto di un uomo

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“Animula vagula, blandula, Hospes comesque corporis, Quae nunc abibis in loca Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis iocos”.
(trad.: "Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti").
Adriano

Questa poesia scritta da Adriano nei suoi ultimi giorni di vita fa da fil rouge allo spettacolo a cui assistiamo ai piedi della fortificazione bassomedievale di Gualdo Tadino, la Rocca Flea.
A portarlo in scena un lento novantaduenne canuto, volto greve, che copre i suoi abiti con una tunica ecrù, che cerca e ottiene sostegno per salire le scale di accesso al palco e che si muove sullo stesso con a supporto un bastone. La sequenza potrebbe suscitare tenerezza se subito non si mostrasse il vigore e l'autorevolezza che quest'uomo, ancora possente, esercita sul pubblico. Lui è Giorgio Albertazzi e con un saluto al pubblico chiama l'applauso; lui è Giorgio Albertazzi e può persino permettersi di “cominciare daccapo” dopo aver pronunciato le sue prime battute senza amplificazione o ripetere frasi già enunciate quando risultassero non scandite.

Lui è Giorgio Albertazzi e nei sessantasei anni di carriera ha collezionato premi e riconoscimenti: attore di cinema e di teatro, interprete televisivo e radiofonico, regista, architetto e scrittore.
In scena porta Memorie di Adriano e sembra declamare il suo testamento morale, nel testo Marguerite Yourcenar ricostruisce l'intera vita dell'Imperatore Romano, a partire dalla sua vecchiaia. Quando sessantaduenne sente avvicinarsi l'ora della morte, Adriano scrive a Marco Aurelio, suo pupillo diciassettenne che sarebbe diventato Imperatore alla morte di Antonino Pio, successore di Adriano. La lettera è un poema d'amore alla vita, tra il racconto dei suoi viaggi, delle sue conquiste, dell'amore per il giovane Antinoo, poi morto suicida, ed il senso del dovere e dello Stato che lo portano a sentirsi “responsabile della bellezza del mondo”. È il testamento ideologico di un uomo di immensa cultura, amante del bello, dell'arte, della filosofia, che giunto alla fine dei suoi giorni sembra fare un resoconto della sua vita, e non possiamo fare a meno di pensare negli stessi termini Albertazzi.
Il tramonto di un uomo per Adriano, il tramonto di un attore per Albertazzi; rispetto al tramonto, la narrazione di conquiste passate.
Giunto alla veneranda età di novantadue anni, l'attore è lì, sulle tavole, a rendicontare i suoi successi di artista; è lì che, nonostante le numerose sbavature, ci dice di un estenuante lavoro sul corpo, sulla voce, sulla sua impostazione, sulla dizione, sull'intensità dello sguardo, sulla presenza scenica, si legge di un lavoro volto ad ottenere grandi prove vocologiche, grande tecnica attoriale e oratoria.
Eppure dalla platea vorremmo gridare: Basta! Fermati! Devi saperti fermare!
È questa la riflessione che portiamo a casa dopo aver assistito ad una non brillante performance. Bisogna aver sufficiente lucidità per focalizzare che tutto ciò che s'è costruito negli anni con fatica, con rigore, rischia di sfilacciarsi per far spazio al ricordo delle ultime prove imperfette; eppure quella lucidità gli appartiene per carriera... e allora cos'è che spinge un attore che s'è coperto di glorie, condivisibili o meno, a sporcare la sua immagine? Cos'è che spinge a mostrarsi debole e ferito ad un pubblico che l'ha sempre visto forte e vigoroso? È la paura della vecchiaia? È la paura dell'oblio? È un incomprensibile voto di verità? O forse è la droga della fama? L'astinenza dal cartellone? L'orgasmo dell'applauso? Memorie di Adriano, dopo il debutto del 1989 a Villa Adriana, è stato portato in scena più di settecentocinquanta volte, vogliamo arrivare a mille? Nel frattempo accompagnare l'attore sul palco in sedia a rotelle? No, perchè non sarebbero le rotelle il problema ma la prova attoriale, la fruizione del pubblico, la dignità dell'attore; siamo certi che Albertazzi non sia stato contento della sua performance, nonostante i saluti e baci finali, siamo certi che abbia redarguito innanzitutto se stesso, una volta nei camerini; crediamo che Albertazzi abbia ancora tanto da dare, come regista ad esempio, magari come autore, come formatore per nuovi talenti che non hanno ancora avuto spazio per mostrarsi e dimostrare, crediamo che il suo tempo di attore, però, sia finito e che sia immeritevole, nei suoi stessi confronti, continuare e rischiare di fare peggio che alla Rocca Flea. Crediamo che il ruolo del regista sia anche assumersi la responsabilità, per il bene dell'opera e del teatro tout court, di interrompere una tournée, di togliere la sua firma ad un lavoro scadente, ed invece Maurizio Scaparro non l'ha fatto e forse è riuscito a fare peggio. Troppa roba sul palco, troppe persone, fortuna che la scenografia era scarna! Ad un tratto canti, balli e percussioni... forse il regista avrebbe dovuto riadattare lo spettacolo agli spazi? Eliminati i giochi col fuoco, ad esempio, (presenti nelle messinscene precedenti) avrebbe potuto evitare i veli svolazzanti o le figure-statue? Avrebbe potuto dire alla cantante Evelina Meghnagi che non era proprio il caso di appoggiarsi alla ringhiera del palco come al balcone di casa? O avrebbe potuto utilizzare il prato ad espansione del palco per dare maggiore spazio, e quindi risalto, a Stefania Masala e Giovanna Capuccio? Secondo noi avrebbe potuto. C'è da dire che nonostante tante presenze, Albertazzi sembrava solo sul palco, c'è da dire che il suo carisma ed il suo magnetismo non hanno ricevuto battuta d'arresto, ed anche quando sembra recitare a memoria l'attenzione non cala, ma il suo corpo non lo sostiene più come prima, è stanco, affaticato, quasi sempre seduto e poco reattivo agli stimoli musicali. Stimoli che invece noi abbiamo molto apprezzato. Ci è piaciuto il piano degli interventi musicali affidato ad Armando Sciommeri, sempre opportuni. Ma non solo. Interessati i parallelepipedi di polistirolo che componevano la giustamente scarna scenografia; belle, infine, le stoffe ed i colori utilizzati dal corstumista Daniele Gelsi.
Albertazzi resta un affabulatore ma la sua lingua non batte più sempre sui denti, rischia di farsi sdrucciolevole prima di emettere il suono, frasi spezzate o biascicate sostituiranno il suo fare declamatorio che già per stile non aprezzavamo. Adriano-Albertazzi declama un'ultima frase in chiusura, la riproponiamo qui, convinti valga per la vita come per l'arte: “Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...“.

 

 

 

 

Memorie di Adriano
di
Marguerite Yourcenar
regia Maurizio Scaparro
con Giorgio Albertazzi
e con Stefania Masala, Giovanna Capuccio
musica e canti Evelina Meghnagi
percussioni Armando Sciommeri
costumi Daniele Gelsi
produzione Cooperativa Teatro Ghione
lingua
italiano
durata 1h
Gualdo Tadino (PG), Rocca Flea, 25 agosto 2015
in scena 25 agosto 2015 (data unica)

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