“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 14 April 2019 00:00

Dinamica famigliare

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La luce incerta del tardo pomeriggio le impediva di vedere con chiarezza, guardando dalla finestra della cucina, cosa stesse facendo suo marito nel giardino sottostante. Lui, Alberto Airaghi, le appariva ingobbito e concentrato in una anomala postura a rischio di caduta che faceva pensare a una ricerca in profondità delle radici del glicine la cui bellezza dominava l’insieme degli altri fiori che rendevano quel giardino l’orgoglio di Elvira. Ma il glicine svettava rigoglioso dall’altra parte del giardino, mentre l’angolo dove Alberto sembrava scavare il terreno con le mani apparentemente tremanti fioriva dove il cane di famiglia Bibu era solito svuotare l’intestino e altro a più riprese giorno dopo giorno.

Era dai tempi del loro matrimonio che Aberto Airaghi a Desio, nella dolce e laboriosa Brianza, aveva fondato una piccola-media azienda per la fabbricazione di mobili di ottima fattura, per lo più venduti a clienti benestanti che non badavano a spese. Con gli anni gli affari aumentavano, al punto da far pensare ad Alberto Airaghi di aprire una filiale per la vendita in un Paese europeo dove i prodotti italiani caratterizzati da una superiore estetica erano particolarmente apprezzati. Dato lo stile raffinato dei suoi mobili l’idea era il mercato inglese.
Fu quando i figli Rudy e Silvia ebbero terminato gli studi che l’equilibrio famigliare subì una forte scossa. Sin dalla loro nascita Alberto Airaghi li aveva idealmente incastonati come futuri continuatori della sua attività industriale. Orgoglio e ambizione paterna. Ma ben altri erano i percorsi lavorativi dei figli che, una volta liberi dagli studi, si rivelarono del tutto diversi da quelli immaginati dal padre. E anche dalla madre, che tuttavia nella vita della famiglia aveva sempre valutato le circostanze con una particolare prudenza. Sta di fatto che quando si trattò di stabilire tempi e modi dell’entrata dei figli nell’attività aziendale Rudy, laureato in filosofia, disse al padre con ostentata sicurezza di essere già in contatto con un’agenzia specializzata per darsi al giornalismo culturale e politico. Silvia, da parte sua, non ebbe la minima esitazione nel dichiarare di voler diventare stilista con l’obiettivo di fondare una casa di linea di abbigliamento femminile creando un proprio brand.

La decisione dei figli fu per Alberto Airaghi e per la moglie Elvira un colpo del tutto inaspettato che per alcuni giorni tolse loro la forza di discutere della faccenda. Finché Elvira ebbe un sussulto di dignità e, costringendo Alberto Airaghi a liberarsi dal torpore intellettivo che lo aveva costretto a consumare le sue giornate rigirandosi istericamente nel proprio letto in cerca di non si sa cosa, decise di prendere il toro per le corna chiedendogli se riguardo l’attività industriale della famiglia loro due non avessero mai pensato, o sospettato, che Rudy e Silvia avevano in mente un futuro che nulla aveva a che fare con quello che i genitori davano per sicuro: lo sviluppo del mobilificio.
Come primo passo, ma ritenuto provvisorio, per evitare una crisi dei risultati industriali, Alberto Airaghi assunse temporaneamente due giovani artigiani brianzoli del legno. Elvira, senza darlo a vedere, osservava con attenzione critica ogni mossa del marito, che in certi momenti, non solo lavorativi, le dava l’impressione di una sorta di scarsa lucidità. Smemoratezza, distrazioni, gesti privi di significato e altre anomalie comportamentali cominciavano a preoccuparla, ma del resto non riteneva di parlarne ai figli poiché le loro scelte lavorative avrebbero potuto indurli a sospettare che la madre potesse ritenerli in qualche modo responsabili dell’ormai certo parziale decadimento del marito, se non proprio dei primi segni di una forma di iniziale disturbo neurodegenerativo.
Fu quando Elvira scoprì casualmente che Alberto Airaghi aveva preso l’abitudine di scendere nel seminterrato della fabbrica dove a luci spente si sedeva su uno sgabello con accanto una candela e cominciava a fare la punta a pezzi di legno lunghi e stretti con un coltello a serramanico, che senza esitare decise di chiedere un consiglio su come comportarsi alla sua più cara amica Giovanna Botteri che in quanto specializzata in medicina esercitava presso l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Le prime parole della Botteri furono “sospetto Alzheimer”, poi le diede l’indirizzo con sede a Bonn di un Centro tedesco per quel tipo di  sindrome.

A Malpensa poterono prendere il volo per Bonn con due ore di ritardo dovuto a cause a loro sconosciute. Alberto Airaghi era agitatissimo, le mani gli tremavano. Elvira lo aveva convinto a fatica a farsi visitare solo dopo avergli detto − mentendogli − che la sua amica Botteri le aveva garantito che in quella sede erano specializzati in studi e cure di certi lievi disturbi pre-senili.
Accadde il giorno della visita presso il Centro. I medici parlavano tedesco, Alberto Airaghi non capiva, uno dei medici conosceva la lingua italiana sicché Elvira fu in grado di parlargli avendo così la conferma che si trattava di Alzheimer. Fu l’unica parola che Alberto Airaghi capì chiaramente, appena uditala in stato di agitazione parossistica fece per scendere dal lettino dal quale cadde a terra rovinosamente fratturandosi i due avanbracci.

Rudy e Silvia arrivarono a Bonn due giorni dopo. Elvira aveva preso alloggio in un albergo nei pressi del Centro. Alberto Airaghi restava nel frattempo ricoverato presso il Centro dove i medici lo dovettero sedare per evitare altri incidenti.
Anche il ristorante si trovava nella zona del Centro. A tavola Elvira con i due figli. Tutti con un punto interrogativo stampato sul volto. Si osservavano reciprocamente con gravità.
− C’era d’aspettarselo, mi sentirei di dire − Elvira.
− Cosa? − Rudy.
− Beh, quei vostri studi... e di conseguenza i lavori che avete scelto. Non potrebbe essere andata così?
− Vorresti dire, o supporre forse, che abbiamo distrutto il sogno di una vita di papà, portandolo prima alla depressione e poi definitivamente in preda all’Alzheimer? − Silvia, con aria vagamente polemica.
− Non proprio ma... insomma.
− Quindi avremmo dovuto costruire mobili anziché realizzare le nostre aspirazioni e dare sostanza al personale talento che crediamo di avere nella materia che volevamo trattare? − Rudy.
Elvira dette segno di essere piuttosto turbata dalla situazione con un silenzio il cui significato non sfuggì ai figli. Silenzio anche dei figli sino alla frettolosa fine del pranzo, prima di recarsi al Centro.

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