“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 04 April 2020 00:00

L’ultimo contatto di Visconti col mondo popolare

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Considerato tra uno dei padri del cinema italiano, insieme a Roberto Rossellini e Vittorio De Sica, Luchino Visconti è stato tra i più innovativi dei registi italiani. Appartenente a una famiglia aristocratica milanese, legata all’ambiente teatrale, il giovane Luchino, di natura irrequieta lascia l’Italia e va a studiare a Parigi. Qui avverrà un incontro che segnerà la sua vita, ovvero quello con il regista Jean Renoir del quale Visconti diventerà assistente fino al rientro in Italia.

Tornato in Italia, riuscirà a realizzare uno dei suoi tanti progetti, il film Ossessione nel 1943. La pellicola rientra tra quelle girate poco prima della fine della guerra come I bambini ci guardano di Vittorio De Sica e Quattro passi tra le nuvole di Alessandro Blasetti, ovvero i primissimi film che si pongono come punto di rottura con la cultura fascista e il suo regime. Negli anni seguenti, Visconti realizza altre pellicole che vengono annoverate dai critici tra le meraviglie del neorealismo italiano, come La terra trema e Bellissima (con Anna Magnani e Walter Chiari).
Nonostante il nome del regista milanese sia associato al neorealismo, negli anni del boom, Luchino realizza due capolavori assoluti: Rocco e i suoi fratelli nel 1960 e Il gattopardo nel 1963, opere dall’esito drammatico che manifestano perfettamente il modo di intendere il cinema di Visconti. In Rocco e i suoi fratelli viene narrata la storia di una madre che, con i suoi quattro figli, si trasferisce a Milano, dalla Lucania, per ricongiungersi con il quinto figlio. Nella pellicola vengono esaminate quasi singolarmente le storie dei cinque fratelli, i loro sogni, le loro ambizioni, le loro aspettative ma anche le loro fragilità e le difficoltà incontrate nell’inserirsi nella società milanese dei primi anni Sessanta, una società che sembra diversi decenni avanti rispetto a quella lucana. L’intera vicenda (o quasi) ruota intorno alle contraddizioni dei ragazzi, che oscillano tra due atteggiamenti opposti: da un lato custodire le tradizioni e l’orgoglio lucano, dall’altro uscire allo scoperto aggrappandosi alla possibilità di un rinnovamento che solo una metropoli come quella milanese può concedere. Il regista decide di offrire il suo contributo al dibattito sul gigantesco fenomeno dell’immigrazione interna dal sud al nord, e lo fa da par suo, partendo da un racconto di Giovanni Testori, il giusto spunto per sviluppare un potente affresco melodrammatico di una famiglia meridionale che abbandona la terra per andare a cercare fortuna nelle fabbriche milanesi. Oltre che dal citato Testori, il soggetto sarà arricchito dalle illustri penne di Suso Cecchi D’Amico, di Vasco Pratolini e dello stesso Visconti, affiancati nella sceneggiatura da Massimo Franciosa e Pasquale Festa Campanile.
Gian Piero Brunetta definisce questo film una “tragedia sulla colpa dello sradicamento e della perdita d’identità”. Inoltre sostiene che questo è l’ultimo film che vede Visconti a contatto con il mondo popolare.
Memorabile l’interpretazione della bellissima francese Annie Girardot, attrice già affermata, nel ruolo di una donna emancipata che va a sconvolgere l’equilibrio interno della famiglia lucana. La donna verrà contesa aspramente tra Rocco (Alain Delon) e Simone (Renato Salvatori), fratelli entrambi legatissimi a lei; saranno proprio la rivalità e l’esasperato sentimento a portare uno dei due a compiere un omicidio.
In questa pellicola, Alain Delon si incontra per la prima volta con Luchino Visconti: grazie a questo enorme successo, verrà consacrato a livello internazionale. Dal canto suo, Renato Salvatori, esploso anni prima nei film di Dino Risi, in coppia con Maurizio Arena, Poveri ma belli e Belle ma povere, conferma la sua vena anche drammatica, già emersa ne I magliari di Francesco Rosi del 1959.
Ad arricchire ulteriormente il cast Paolo Stoppa e Claudia Cardinale. Molti i premi conferiti al lungometraggio, tra cui il Leone d’argento a Venezia ( ma non il Leone d’oro, tra le polemiche del pubblico) e il David di Donatello a Visconti come miglior regista. Infine il film si classifica nel 1960 al secondo posto quanto a incassi (battuto solo dalla La dolce vita di Fellini), superando due indiscussi capolavori, rispettivamente di Vittorio De Sica e Luigi Comencini, La ciociara e Tutti a casa.








Ciak si (ri)gira − Quarant’anni di cinema italiano (1945-1985)
Rocco e i suoi fratelli
regia
Luchino Visconti
soggetto Giovanni Testori, Suso Cecchi D’Amico, Vasco Pratolini, Luchino Visconti
sceneggiatu­ra Massimo Franciosa, Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Luchino Visconti
con Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Roger Hanin, Alessandra Panaro, Paolo Stoppa, Claudia Cardinale, Adriana Asti, Eduardo Passarelli, Katina Paxinou, Spiros Focás, Max Cartier, Corrado Pani, Rocco Vidolazzi, Suzy Delair, Claudia Mori, Enzo Fiermonte, Nino Castelnuovo, Rosario Borelli, Renato Terra
fotografia Giuseppe Rotunno
musiche Nino Rota
montaggio Mario Serandrei
paese Italia
lingua originale italiano
colore bianco e nero
anno 1960
durata 170 min.

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