“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 08 June 2014 00:00

Domenica pomeriggio

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Anche questa domenica, come ogni domenica, Rachele si sarà svegliata d’umore malmostoso. Nel dopopranzo, avrò udito i suoi primi “non ho mai tempo per me” levarsi e crescere fino ad allagare il pomeriggio d’umide reprimenda sulla mia incomprensione, il mio egoismo, la mia pigrizia.

Alle sei della sera non la sopporterò più e, me ne andrò a fare un giro. Non aiuterà, a risolvere i problemi, porterà solo la quiete effimera della lontananza dal suo molesto frinire; però, che altro fare? Contro le convinzioni refrattarie a qualsiasi mutamento, inutile il silenzio (varrà un sottrarsi al confronto); inutile il confronto (inasprirà il livore); inutile lo stesso livore (ammetterà l’accusa, volendo rigettarla). Ma dove andrò? Non avrò conoscenti, né amici, né parenti, in questo pugno di case e risaie serrato tra ganasce d’autostrade; non frequenterò i bar per sacrale rispetto del vino; neppure il parroco troverà il tempo per una parola, se non di circostanza, e dio lo potrò trovare ovunque. Non chiederò il banale Segno dei muri d’una chiesa, o d’un convento, a questa generazione. Mi incamminerò, allora, per la solita strada, conosciuta a memoria, e noterò un viottolo a cui non sarò mai stato attento. Lo imboccherò, disperatamente curioso, fin dove si ridurrà ad una capezzana: un semplice terrapieno erboso, digradante a destra e mancina verso i canali irrigui, oltre le due file parallele di terra, denudata dalle ruote dei trattori. Avrò la gratuita speranza che conduca a nuovi cieli e terre; alle Indie; ad Antilla. Proseguirò fin quando l’uomo ancestrale emergerà, nella paura di non poter tornare indietro. Sarà vicino il tramonto. Mi chiederò se ritroverò la strada, nel buio immune della notte. E mentre esiterò, scorgerò, da lontano, venirmi incontro un vecchio; e un cane. Dunque vi sarà qualche luogo abitato all’altro capo della via, penserò, e, rinfrancato, riprenderò a spingermi avanti, finché le tracce dei trattori spariranno; l’erba sarà alta; il sentiero comincerà a farsi sinuoso, assecondando una profonda roggia. E giungerò, infine, al termine; ma non ci saranno Indie, non ci sarà Antilla: solo un tumultuoso, invalicabile fontanile. Così mi guarderò intorno, e scorgerò la casa di Rachele, vicina ma non raggiungibile, proibita da quella risorgiva ribollente. È la mia storia. Mi detergerò il sudore; rifarò a ritroso il cammino. La casa di Rachele mi aspetterà, attendendo d’irridere la mia ennesima sconfitta col molesto frinire della sua padrona, che si sarà mutato in un dolente sguardo, gravido di rimproveri. Soltanto i tigli mi avranno concesso il loro profumo, sulla via del ritorno, in questa tarda primavera, taccagna di fiori.

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