È sera, quasi notte.
Questi attimi sospesi suggeriscono atmosfere evocative.
Il carattere provvisorio di questo silenzio mi induce a desiderare che duri a lungo.
Vorrei poterlo ascoltare tutto, dall’inizio alla fine, vorrei poter rimandare a domani questa operazione di sosta del corpo, di tregua della mente, vorrei poter dormire mentre tutti straparlano e ostentano cose con una tale e spaventosa importanza da esortarmi a sperare che in fondo fingano tutti, che si stiano solo attenendo alle regole del gioco dell’importanza, non voglio dormire adesso.
Sono un soggetto insofferente.
L’incertezza di questo confine tra il giorno e la notte riassume tutta la mia vita.
Come è familiare questo silenzio.
È sera, quasi notte.
Una sera sfumata, lirica, ottocentesca.
Abbraccio il quieto preludio della notte della vita, che ricorda Foscolo e, ancora, Pascoli.
Stringo i ricordi del passato, ormai cari fantasmi, proietto la mia gioia illusoria in un futuro imprecisato che attendo, celebrando Leopardi, badando bene a tener fuori D’Annunzio, suggeritore di soluzioni troppo moderne e vagamente mistiche.
Sono un soggetto malinconico.
Non ci sono più rumori a distrarmi, non ci sono rituali a scandire il tempo.
Tristemente riscopro tensioni tipiche dello spirito romantico.
Come è doloroso questo silenzio.