“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 27 August 2015 00:00

La nostra complicata pazzia contemporanea

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Sempre meglio essere chiari fin dall’inizio: non sarà qui che troverete lunghi discorsi sull’instabilità mentale, l’alienazione o patologie di vario tipo. Se siete interessati ad approfondire le psicopatie umane, per conoscerne le statistiche e le manifestazioni fisiche, è bene che guardiate altrove perché qui si parla di ben altro genere di pazzia e la daremo anche per scontato. Il nostro compito di oggi è semplicemente quello di incolpare qualcuno.

Quando la follia sembra avvilupparsi su di te e sugli altri pochi eletti come te – e credere che ci siano pochi eletti è già di per sé una follia, ma da che mondo è mondo ci si concede di credere che siamo sempre in pochi – non resta altro da fare che trovare un colpevole, uno su cui far cadere tutta la responsabilità della propria sofferenza. Ma non ci si può accontentare di un colpevole qualsiasi, che poi fatica ad essere unanimemente riconosciuto in quanto tale, e non ci vuole nemmeno uno che potrebbe difendersi con ragione e spingerti a doverne trovare un altro. La decisione è stata lunga. Numerosi personaggi ho messo sul banco degli imputati, la scrematura è stata via via sempre più difficile finché la giuria non ha deliberato la sentenza: il colpevole è certamente Italo Svevo.
Volendo credere alla versione molto armoniosa della vita dell’autore, gli elementi per condannarlo si baserebbero solo sulla sua produzione, come se fosse qualcosa di molto distaccato dalla sua persona, il che è assolutamente impossibile. In ogni caso, se così fosse, ci basterebbe incolpare La coscienza di Zeno, opera che si dichiara come un’autobiografia pubblicata per vendetta e che costituisce la nostra prova più schiacciante, ma finiremmo in questo modo per non tener conto neanche del fatto che l’abbia scritta lui, come se il colpevole a quel punto non fosse neanche l’autore ma solo e soltanto l’opera, come soggetto autonomo. E allora torniamo a Italo Svevo in quanto uomo, che già contiene e precede ciò che poi avrebbe scritto, e compiamo un percorso che gli attribuisca la completa responsabilità della nostra complicata pazzia contemporanea.
Se nasci da padre tedesco e madre italiana, che muoiono entrambi entro i tuoi trentaquattro anni, in un posto di dominio austroungarico che diventa poi a fatica italiano, costringendoti al cambio di cittadinanza e incrementando la già presente ambiguità delle tue radici... qualche serio problema di identità ce l’avrai per forza. E se poi si tiene conto che tutto ciò accade in un tempo storico fondamentale per la trasformazione del mondo intero, proprio a te che cerchi di approfondire gli esordi della psicoanalisi, a te che subisci il fallimento dell’azienda paterna, a te che vuoi scrivere e cominci invece per necessità a lavorare in banca, che vuoi suonare il violino e te lo porti dappertutto ma non hai mai il tempo di suonarlo... beh, sfido chiunque a vivere una vita mentale normale. Tra l’altro anche l’azienda in cui lavorava finì per arrecargli un danno dal momento che fu chiusa dagli austriaci dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, per non parlare del fatto che quel cavolo di fascismo lo metteva in condizione di non potervi aderire poiché era contrario, ma di non potervisi opporre perché era pericoloso, e nel frattempo aveva ben altro a cui pensare perché aveva sposato la cugina... Ecco, questo è Italo Svevo. D’ora in avanti, quando aprirete un manuale di letteratura e leggerete espressioni come vita armoniosa sul suo conto, dentro di voi sappiate che è una cazzata. Piuttosto si potrebbe dire che è riuscito a trovare, attraverso la letteratura, un espediente che lo salvasse e che gli regalasse una parvenza di armonia. È così che sarà nata la Coscienza di Zeno.
Italo Svevo è riuscito a risolversi attraverso il personaggio di Zeno Cosini, passato alla storia come l’inetto per eccellenza. Ricco di una ricchezza ereditata dal padre, lascia tutto l’onere dell’azienda commerciale all’amministratore di casa, l’Olivi, e si concede di essere sfaccendato, senza rendersene granché conto, perché la sua maggiore occupazione è quella di crogiolarsi, soffrendo, nella sua inettitudine. Zeno dice "La malattia è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione", malato dunque di una malattia morale che gli spegne qualsiasi tipo di impulso all’azione e da cui non intende realmente guarire poiché gli fornisce un perfetto alibi. È su questo alibi che si poggia, più o meno inconsapevolmente, tutta la nostra complicata pazzia contemporanea. Svevo fonde il pensiero negativo e antipositivista di Schopenhauer col problema dell’ambiguità dell’io e della ricerca inconscia del piacere, analizzate da Freud. Si capisce che l’impulso alla salute non è che un’eterna illusione del genere umano poiché è la vita stessa ad essere una dolorosa malattia. La vita umana è inquinata alle radici, i veri malati sono quelli che si credono sani. Sarà solo l’esplosione di un ordigno a rifondare il mondo. Bella roba. Una visione molto allegra della vita e della modernità e, soprattutto, un ottimo invito alla passività e alla depressione, perché la gente cerca sempre buoni pretesti per essere demotivata e lamentarsi. Ho visto gente adagiarsi su questa inettitudine, convinta di essere più profonda degli altri e di possedere una sensibilità che arreca sofferenza, dunque di essere destinati a soffrire fino alla fine dei proprio giorni. Tra questa gente ci sono anch’io.
Zeno Cosini, se visto dalla prospettiva di Italo Svevo che l’ha creato, risulta un personaggio tutto sommato vincente perché si impone come suo alter ego, sul quale egli riesce a sfogare tutta la sua reale frustrazione rendendolo una sorta di eroe negativo che a conti fatti, e per assurdo, è positivo. Ma volendo addentrarci nella reale lezione di Svevo, bisogna pur dire che non era di certo quella di giustificare l’inettitudine fine a se stessa: La coscienza di Zeno non voleva far altro che spalancare la condizione umana, abbattere quella tanto fastidiosa identificazione a mo’ di automatismo con la società che ci circonda, accettare le proprie imperfezioni e i propri limiti non per adagiarsi ma per superarli. Un’operazione molto profonda che consiste in una grande presa di Coscienza, appunto. Restare immobili invece, cristallizzati nelle proprie immutabili condizioni, non consente alcun tipo di miglioramento umano, ed è solo in questo senso che i veri malati sono quelli che si credono sani, poiché sono totalmente ignari delle proprie imperfezioni, sono privi di spirito critico e ignorano il necessario percorso umano che ognuno di noi dovrebbe fare.
Se il mondo fosse veramente diviso in questi due schieramenti, non avrei alcun problema e non ce l’avrei con Italo Svevo. La questione invece si apre attorno al sottoprodotto reale – e non più solo letterario – nato da tutta ‘sta faccenda, ovvero la categoria di quelli che rimangono intrappolati sulla soglia della divisione. Essendo provvisti di una smisurata sensibilità, non riescono ad accettare il mondo senza interrogarsi e senza soffrirne ma non hanno poi la giusta coscienza, e talvolta la forza, per guarire da tutto ciò. E si ammalano, si dannano, si autodistruggono, per finire poi in fondo convinti, involontariamente e inconsciamente, di essere comunque migliori degli altri e di essere persino giustificati. In questo modo, i validi requisiti di partenza, anziché essere un grandissimo valore aggiunto da cui partire, finiscono per diventare non solo autoreferenziali ma anche la più drammatica sfortuna che possa capitare ad un uomo.
Caro Italo Svevo, non potevi non prevederlo. Dovevi essere più chiaro, dovevi preoccuparti dei danni che avresti potuto arrecare e anche se non è realmente colpa tua, cosa che so benissimo, ho bisogno di riversare su di te tutta la frustrazione mia e quella del mondo contemporaneo. I veri malati sono quelli che si credono sani, siamo d’accordo. Ma i rompicoglioni invece sono quelli che si credono malati.

 

 

Bibliografia di riferimento

Italo Svevo
Romanzi e continuazioni
a cura di Nunzia Palmieri e Fabio Vittorini
saggio introduttivo di Mario Lavagetto
Milano, Mondadori, 2004
pp. 1802

Elio Schmitz
Diario
a cura di Luca De Angelis
Palermo, Sellerio, 1997
pp. 162

Alberto Cavaglion

Italo Svevo
Milano, Bruno Mondadori, 2003
pp. 256

Enrico Ghidetti

Italo Svevo. La coscienza di un borghee triestino
Storia e Letteratura, 2006
pp. 382

Giuseppe Camerino

Italo Svevo e la crisi della Mittleuropa
Napoli, Liguori, 2002
pp. 220

AA.VV.

Italo Svevo. Il sogno e la vita vera
a cura di Mario Sechi
Roma, Donzelli, 2009
pp. 260

Mario Marchi

Vita scritta di Italo Svevo
Firenze, Le Lettere, 1998
pp. 260

Elio Gianola

Un killer dolcissimo. Indagine psicanalitica sull'opera di Italo Svevo
Milano, Mursia, 1995
pp. 320

Mario Lavagetto

Lavorare con piccoli indizi
Torino, Bollati Boringhieri, 2003
pp. 346

Mario Lavagetto

L'impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo
Torino, Einaudi, 1975
pp. 244

Ella Berthould; Susan Elderkin

Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno
Palermo, Sellerio, 2013
pp. 637

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