“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 09 December 2013 01:00

Guappi di cartone

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La scenografia è già in scena mentre si prende posto nella navata/platea del Nuovo Teatro Sanità. Un grande quadrato bianco con al centro un quadrato più piccolo, nel quale campeggiano le lettere HS, che stanno evidentemente per Hotel Splendid. Il quadrato bianco è inghiottito dal buio che precede l’inizio dello spettacolo. Resta solo il quadrato più piccolo e le lettere HS. Luce. Il quadrato si apre e si rivela una geniale macchina scenica, che suggerisce le bianche pareti dell’hotel, le porte delle stanze, le finestre.

La luce rossa e la musica incalzante da poliziesco anni ’70 danno suono e colore alla vicenda. Materializzano l’antefatto che conosciamo da programma e che viene riassunto, provvidenzialmente, dalla radio, protagonista in scena al pari degli attori. La storia è banale: dopo una rapina finita male quattro rapinatori si asserragliano in un hotel di lusso, trattenendo in ostaggio una turista americana, braccati dalle forze dell’ordine, all’esterno della struttura, che attendono la resa. L’americana è morta, scopriremo presto, ma con loro c’è un altro personaggio, un carabiniere, passato dalla loro parte, pare, ma il dubbio rimane che lo sbirro resti sempre sbirro...
Storia di disperazione. Dramma claustrofobico. Ci aspettavamo ragionamenti, tradimenti, introspezioni. Ci aspettavamo di vedere cinque caratteri in scena, cinque persone, cinque modi di affrontare la vita. Invece è emersa, faticosamente, una omogeneità di fondo, a tratti stucchevole, episodicamente comica. Omogeneo il livello degli attori, non sempre convincenti. Inizialmente sembra che Sasà, il capo, sia fatto di una stoffa diversa rispetto agli altri: “Il mio coraggio è non fare quello che fate voi”. Non sniffa, sembra padrone dei suoi nervi, alieno dalla violenza gratuita, riesce anche a pronunciare qualche frase ad effetto dal sapore filosofico: “Quando c’è una via di fuga io scelgo la vita”. Ma è solo un’impressione, che scivola via veloce. È una macchietta come gli altri. Spacciato come gli altri. “Adesso bisogna cercare di vivere queste due ore in grande stile”. Avevamo poi puntato su Pierrot, effeminato e isterico, ma anche lui è scivolato nel calderone, al di là dei proclami. “Io sono un uomo innamorato dell’avventura”.
Le tre pareti visibili della scena racchiudono il dramma di coscienze tormentate. Vite sregolate, traballanti, prive di uno o scopo o una direzione. Criminali poco credibili. Uomini poco credibili. Sembrano piuttosto ragazzini che scimmiottano gli adulti. Del resto uno dei personaggi così accusa l’altro: “Giochi a fare il criminale che non sei mai stato”. Recitano una parte. Giubbini di pelle, occhiali da sole, basettoni. Musica dance, pistole e cocaina. “Lo spettacolo siamo noi”. Spettacolare la macchina scenica. Le pareti che leggere si avvicinano nel delirio allucinato di Alfredo. Lo specchio che diventa tavolo su cui “tirano” la polvere e che continua a illuminare col suo riflesso il volto.
Non sono uomini i nostri protagonisti. Sembrano quei bambini nei vicoli di Napoli che sfrecciano già sulle moto giocattolo, o sulle biciclette, impugnando pistole giocattolo per esercitarsi a sparare su chi passa, per gioco. Come i giovani cuccioli che giocando apprendono la vita. Sono crudeli come i bambini i personaggi in scena. “La crudeltà è la nostra salvezza”. Indifferenziati come adolescenti. Incerti nei ruoli, anche sessuali. Incapaci di esprimere una posizione univoca. Privi della cifra carismatica che faccia di ciascuno di loro un individuo e al tempo stesso deboli e disgregati, anche quando cercano di farsi coraggio: “È il momento di restare uniti, almeno una volta nella vita”. Invece si tradiscono l’un l’altro, sono pronti ad assumere il punto di vista dell’uno e dell’altro. Sono vigliacchi. “Se abbiamo un po’ di tempo da vivere accordiamoci per il minor danno possibile”. Cercano di tirarsene fuori. Ambigui. Sotto il velo ipocrita dell’altruismo: “A che serve pagare tutti?”. Sono disposti a tutto pur di non prendere posizione, anche ad affidare alla sorte la loro vita: “Giochiamocela a poker”. Non hanno un progetto, non sanno chi sono. “Avevo messo in conto di finire male, ma non così”. Hanno paura. Questa è la realtà. Come ragazzini hanno paura. Aspettano solo la risoluzione della vicenda. Al di là dei proclami. Al di là delle pose. Aspettano il colpo di pistola finale, che metta fine all’attesa, alla necessità di decidere, alla necessità di essere.

 

 

Hotel Splendid
da
Splendid’s
di Jean Genet
adattamento Mario Gelardi
regia Vincenzo Pirozzi
con
Antonio Agerola, Raffaele Ausiello, Ivan Boragine, Mario Di Fonzo, Ciro Esposito
aiuto regia Carlo Geltrude
scene Flaviano Barbarisi
aiuto scene Anna Seno
luci Paco Summonte
foto e grafica Carmine Luino, Rosaria Piscopo
produzione Nuovo Teatro Sanità
in collaborazione con radio CRC
lingua napoletano
durata 45’
Napoli, Nuovo Teatro Sanità, 5 dicembre 2013
in scena dal 5 all’8 dicembre 2013

 

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