“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 18 June 2014 00:00

Lo sprint mancante

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Capita talvolta, nell’approcciare l’analisi di uno spettacolo, di ricorrere alla formula della comparazione; capita e può capitare quando la visione di uno spettacolo si presta al raffronto con una pietra di paragone che, più o meno illustre che sia, presenta dei punti di congruenza – o anche semplicemente degli spunti di incongruenza – tali che l’analisi comparativa possa soggiungere in aiuto alla riflessione.

È questo il caso, perché due elementi, uno scenico ed uno concettuale, ci richiamano alla memoria (recente), visiva e ideale, altra messinscena da mettere in relazione con Scende giù per Toledo di Arturo Cirillo; la messinscena in questione è Operetta burlesca di Emme Dante. Il primo dato che colpisce, visivamente, è la scelta dell’abito di scena di Rosalinda 'Sprint', il travestito portato in scena da Cirillo: uno sgargiante gilè in lamé turchese che ricorda assai da presso la mise di Pietro, il ‘maschio sbagliato’ di Operetta burlesca; il secondo aspetto, quello tematico, come s’intuisce, risiede nel discorso sulla diversità, diversamente portato avanti nei due spettacoli.
Ed è qui che le due strade si separano vistosamente, nell’approccio “visionario” alla tematica e nel differente uso della grammatica teatrale: mentre con l’opera della Dante ci eravamo trovati al cospetto di una capacità di conferire spessore drammaturgico (e che spessore!) ad una vicenda usuale di ordinaria diversità neghittosa, con Scende giù per Toledo ci troviamo di fronte ad un’ordinaria vicenda di questi (e di altri) tempi (l’opera da cui Cirillo prende le mosse è del ’75, firmata Patroni Griffi), che non riesce a superare, dal punto di vista teatrale, la soglia dell’ordinario.
Fatta salva la capacità attoriale di Arturo Cirillo regista in scena di se stesso, abile a dar voce e vita – più ancora che corpo – al manipolo di personaggi che animano Scende giù per Toledo, quello che a noi pare il limite più evidente della messinscena risiede proprio nella drammaturgia di un testo sul quale pare ormai posatasi una patina polverosa, patina che non s’è riusciti a soffiar via con una ventata di freschezza inventiva (quella freschezza inventiva che, di contro, riconosciamo ad Emma Dante, per la capacità di tradurre in immagine teatrale la parola altrimenti inerte).
Rosalinda ‘Sprint’ è la protagonista portata in assito da Cirillo. La scena è statica: un interno kitsch, paravento purpureo, un letto in mezzo alla stanza, un angolo per il trucco ed abiti gettati alla rinfusa. Nel corso della rappresentazione l’ambiente rimarrà tale, sia che Rosalinda ‘Sprint’ abiti quell’interno, sia che faccia rivivere i suoi sogni, sia ancora che si sposti altrove (a casa del sarto o fino alle bianche scogliere di Dover), come a render frustrata da coatta stanzialità ogni sua velleità d’altrove. “Perché non sono nata forestiera?”, si chiede Rosalinda, nata in un corpo che non riconosce, nemmeno nel colore dei capelli, un nero che ella si sforza di convertire al biondo, e abitante di un luogo che vorrebbe lasciare, teatro di sofferenze, ribalta di prostituzione.
Sulla scena Cirillo passa disinvoltamente dall’uso della prima a quello della terza persona, intercalando nella recitazione brani registrati, come segmenti narrativi che intendono ampliare i punti di vista, dal reale all’onirico, dallo sguardo sul presente alla rimembranza del passato. Il passaggio da un ruolo all’altro è affidato a precisi segnali di scena; così, una collana indossata trasforma in un istante Rosalinda nella Baronessa e una vestaglia maculata le fa assumere le sembianze di Marlene Dietrich (non quella vera, ovviamente!). Rosalinda 'Sprint' è un’anima pura che vagheggia l’amore e sperimenta la morte, ed infatti più volte sulla scena il suo desiderio si frustra, più volte sulla scena il suo corpo cade come morto. In pratica il suo agire scenico, com’ella stessa asserisce, è una “prova generale della morte”, esperita nel quotidiano anelando desiderio di fuga (verso un amore, verso un luogo lontano). Ma ogni suo desiderio è frustrato, annegando in un marasma di deiezioni – evocate con scatologica dovizia di particolari – una marea di melma e merda che le esplode dal di dentro annegandola nel proprio putridume.
Il viaggio, tra onirico e reale, di Rosalinda ‘Sprint’, si consuma in una pluralità di registri, che variano dal divertente al laido, dallo struggente al sordido. Senza però che la messinscena riesca mai ad acquisire quello sprint che la protagonista reca impresso nel suo nom de plume. Un limite che crediamo risieda in una regia a cui non riesce di incanalare la vicenda fuori dai binari del cliché, confidando troppo nel mestiere d’attore e nella sua poliedrica capacità di tenere la scena e immettendo troppo poco sul piano dell’inventiva teatrale, della costruzione di immagini che potessero avvalorare una resa poetica della messinscena.
Pur senza necessariamente scomodare il paragone “ingombrante” citato in apertura, Scende giù per Toledo pare complessivamente venir meno a se stesso, consegnandosi ad una memoria destinata a rimaner volatile e fatua come lo svolazzo di un boa di piume di struzzo.

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Scende giù per Toledo
di Giuseppe Patroni Griffi
interpretazione e regia Arturo Cirillo
scena Dario Gessati
musiche originali Francesco De Melis
luci Mauro Marasà
regista assistente Roberto Capasso
voce femminile Deborah Italia
pianoforte Enrico Zanisi
sax Orlando Trotta Paik
chitarre elettriche Lorenzo Masini
chitarra classica Francesco De Melis
suono Davide Abruzzese, Vasco Maria Livio
fonico Mario Gentili
costumi Sartoria The One srl, Roma
parrucche Mario Audello, Torino
realizzazione scene “Scene di luce” di Keiko Shiraishi
direttore di produzione Marta Morico
coproduzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Marche Teatro-Teatro Stabile Pubblico
lingua italiano e napoletano
durata 1h 30’
Napoli, Teatro Sannazaro, 15 giugno 2014
in scena 15 e 16 giugno 2014

 

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