Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
L’argomento che necessariamente con frivolezza oggi si affronta riguarda i mille e un bonus a disposizione del cittadino italiano, nell’astratta estate del 2020.
È d’obbligo premettere che la platea delle agevolazioni fiscali oggi percepibile è l’atto finale di una lunga serie che ebbe il suo inizio con il bonus Salvezza dell’anima, il cui primo utilizzo avvenne nell’Unico/33, e che non richiese né l’uso di mezzi di pagamento tracciabili, né la minima formalità documentale. Nei secoli, le detrazioni si sono fatte via via più numerose e meno spirituali, abbandonando le aree animistiche e spostandosi progressivamente verso quelle finanziarie, peraltro perdendo in semplicità di applicazione.
L’argomento ha a che fare non col romanzo di Guido Morselli – che peraltro consiglio per le oculate citazioni – ma con la non ancora sufficientemente dibattuta questione del perché il genere umano non intenda lasciare che il genere umano scompaia. Ci si chiede, insomma, perché venga opposta tanta resistenza all’autodistruzione.
Samuele, quattro anni a settembre, è mio figlio, il mio secondo figlio. Sin dalla nascita ci piace chiamarlo Samisà, per vezzo, per carezzare con la lingua la sua scontrosità: è una delle nostre strategie per ammorbidire la sua diffidenza; è nato suscettibile infatti, s’è affacciato alla vita con sospetto, non lasciava avvicinarsi nessuno, non permetteva lo si prendesse in braccio, non amava gli sguardi degli altri su di sé. Per me, che ho fatto dell’incontro con l’altro lo stile del mio fare, è stato un duro colpo; c’ho lavorato su parecchio e oggi Samisà, così come sua sorella Gaia, “fa parlare anche i muri” (questa espressione la usò una volta Lucia Calamaro per descrivere me e dunque mi compiaccio di scriverla qui): è diventato tanto socievole e vivace, talmente vivace da costringermi a rimandare il suo incontro con il teatro, nel rispetto di chi suda dietro e sulla scena e del pubblico pagante, e un po’ anche nel rispetto mio, che non amo essere disturbata e non avrei gradito trovarmi in situazioni imbarazzanti.
Stamane, appollaiata sul mio scoglio preferito, quello a forma di balena, mi sono guardata intorno e ho dedotto con immensa amarezza che anche quest’anno agosto è arrivato.
Panzoni armati di racchettoni, Reggaeton e olio di mallo, anche stavolta hanno raso al suolo i miei piani, fatti soprattutto di silenzio e tranquillità.
Ci siamo conosciuti in un ristorante-bar in Rue des Saints-Peres nei pressi di Place de la Concorde.
Dopo una giornata di lavoro, molto dura a causa di talune divergenze di vedute con i colleghi francesi, presso la Direzione Europea dell’A.I.G. − il più grande gruppo assicurativo del mondo − ho sentito l’esigenza di rilassarmi grazie a una gustosa cena a base di coquillage innaffiate da una bottiglia di ottimo Chardonnay.
Per la cinquantatreesima e ultima intervista de Lo stato delle cose incontriamo Marta Abate e Michelangelo Frola di Scena Madre. Con questa di oggi si conclude Lo stato delle cose, un’indagine volta a comprendere il pensiero di artisti e operatori, sia della danza che del teatro, su alcuni aspetti fondamentali della ricerca scenica. Questa riflessione e ricerca partita lo scorso dicembre crediamo sia ancor più necessaria in questo momento di grave emergenza per prepararsi al momento in cui questa sarà finita e dovremo tutti insieme ricostruire.
Perseverare è diabolico, ma sebbene assodato, a noi ci piace proprio di insistere nell’errore. Femmine e maschi, sia chiaro, in amore siamo tutti ugualmente ciucci, con la capa perennemente piena di sapone. Mi perdonerete se, per ovvi motivi, espongo il punto di vista del genere cui appartengo.
Lo stato delle cose: intervista a Daniele Ronco
Written by Enrico PastorePer la cinquantaduesima intervista de Lo stato delle cose incontriamo Daniele Ronco. Lo stato delle cose è, lo ricordiamo, un’indagine volta a comprendere il pensiero di artisti e operatori, sia della danza che del teatro, su alcuni aspetti fondamentali della ricerca scenica. Questa riflessione e ricerca partita lo scorso dicembre crediamo sia ancor più necessaria in questo momento di grave emergenza per prepararsi al momento in cui questa sarà finita e dovremo tutti insieme ricostruire.
Non ci sono limiti, se non quelli del buon senso. E qualora ne esistessero, chi ha il diritto di costringerti a percorrere tortuose strade di vita quando sei alla ricerca del modo, diciamo così, per rendere tuo, soltanto tuo, l’essere che ti appartiene? Altra domanda: dove va il tempo?
Lo stato delle cose: intervista a Caterina Pontrandolfo
Written by Enrico PastorePer la cinquantunesima intervista incontriamo Caterina Pontradolfo. Lo stato delle cose è, lo ricordiamo, un’indagine volta a comprendere il pensiero di artisti e operatori, sia della danza che del teatro, su alcuni aspetti fondamentali della ricerca scenica. Questa riflessione e ricerca partita lo scorso dicembre crediamo sia ancor più necessaria in questo momento di grave emergenza per prepararsi al momento in cui questa sarà finita e dovremo tutti insieme ricostruire.