Probabilmente Cronache da North B-East, almeno nella versione veduta da noi ieri sera, ha come obbiettivo non la rappresentazione ma l’evocazione: immagini scorrono (prima sfocate, poi via via rese più chiare alla vista) sulla parete nuda mentre, su un tappeto sonoro, frammenti di narrazioni da desolazione post-urbana raccontano di pezzettini reali: scorci di peccati veniali, piccole vergogne personali, vaghi e vari motivi d’abbandono moderno. Evocazione, abbiamo scritto, e non rappresentazione giacché gli spettatori fissano le immagini innanzi, si lasciano carezzare dalla musica, prestano ascolto a una voce. La domanda che sorge è la seguente: è davvero teatro?
Chiara e leggera è la luce del giorno, in fondo la notte è ancora lontana. Il pubblico attende, così come Vladimiro ed Estragone: in un velo sottile, il filtro dell’eterna incomunicabilità tra finzione e realtà. Mondi che si sfiorano, l’uno con l’illusione di inglobare l’altro. Illusione non metafisica ma tutta, dolorosamente, umana.
“Ogni scrittore appartiene, in definitiva e con ogni evidenza, a una società segreta, a una cospirazione formata da un solo membro: lui stesso”. Dovrebbe bastare questa frase di Pinter perché registi, critici e pubblico smettessero di cercare Pinter in autori che non sono Pinter. Ed invece...
Tra “i ventricoli rossi” di Napoli, in treno a Firenze dopo essere stato a Genova, a Roma, Bologna. A Comasina, Bovisasca, Novate Milanese per sentir dire di Quarto Oggiaro, piazzale Corvetto, porta Vigentina, Sesto San Giovanni. Ancora a Napoli, quartiere Montesanto, rione Traiano, periferia di Gianturco poi nella Calabria più scura e omertosa, dove il cemento avanza a chilometri fino a toccare, con il proprio grigio, anche il mare. Di nuovo a Napoli, di nuovo a Firenze, coi ricordi anche a Palermo e Torino mentre è a piedi, passo dopo passo, che da Soccavo giunge a Pianura, da Pianura a Quarto, da Quarto a Pozzuoli.
Si conclude oggi la pubblicazione di questo strano racconto a puntate. Si è riusciti, in questi due mesi e mezzo, a portarne avanti la pubblicazione a cadenza settimanale, cosa che, in tempi come questi in cui tutto si consuma rapidamente, non può che procurarci una (seppur minima) gioia. Sperando (ovviamente e soprattutto) che i nostri "venticinque lettori" (non ce ne voglia il grande Alessandro per questa importuna citazione) si siano comunque almeno un po' divertiti e abbiano avuto almeno un po' la possibilità di inquadrare da un'altra prospettiva (che poi è già sempre la nostra) questa epoca che nella sua miseria, nella miseria del suo risentimento e della sua solitudine, si trova ad essere decisiva. Viviamo a cavalcioni di una soglia anzi, forse più correttamente, lungo lo scorrimento di una faglia epocale. E la viviamo a cavallo di un secchio. Il mondo, poi (quando giungerà questo "poi"), sarà realmente differente. Probabilmente peggiore. E per questo allora abbiamo sentito la necessità di un "lieto fine" (ce lo si conceda, almeno nella fictio!). Sull'ironica malinconia che porta con sè ogni "lieto fine" il lettore potrà farsi, qualora proprio lo voglia, una propria personalissima idea.
All’Out Off Teatro Stabile e di Innovazione va in scena l’Amleto di William Shakespeare. Lorenzo Loris ne è regista ed interprete. Rappresentare l’Amleto è sempre cimento impegnativo e la conoscenza di una delle drammaturgie del Bardo maggiormente messe in scena fa sì che chi va a vederlo difficilmente possa trovarsi impreparato, ma anzi vi si assiste desiderando di assorbire come una spugna la riproposizionedelle parole del drammaturgo di Stratford.
August Underground o di violenza e (anti)cinema
Written by Daniele MagliuoloNel 2001 Fred Vogel, giovane regista americano di cinema indipendente, dà il via ad una serie di pellicole dal contenuto controverso e sospetto (durante un festival in Canada fu addirittura arrestato, salvo poi essere scarcerato quando le autorità appurarono che quel che era rappresentato in pellicola era finto) dal titolo di August Underground. Per dare un’idea di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un bel passo indietro, quando negli anni ‘70 tutto un movimento cinematografico rompe con i canoni classici del cinema horror per sviluppare la paura intorno a figure categoriali appartenenti al mondo quotidiano del reale.
“pronto?”
“si?”
“ciao Laura, sono io”
“ah, ciao caro, coma va?”
“bene, grazie… e tu? che fai?”
“niente di nuovo, sto aspettando che mi venga a prendere Tony per uscire, facciamo un giro in moto stasera”
“beh…si… ti avevo chiamato proprio per questo… ascolta”
“perché, l’hai sentito forse?”
“no, non l’ho sentito…. però l’ho visto”
“ah si? e che ti ha detto?”
“non mi ha detto niente, ma…”
“e allora? ma è lì per caso”
“si… è qui però…”
“me lo passi per piacere?”
“non posso Laura…. mi dispiace”
“come ‘non puoi’? dai, forza, passamelo”
“non posso purtroppo… ascoltami Laura”
“ma che c’è? ch’è successo? s’è sentito male?”
“no”
“e dunque? che c’è?”
…
“…è morto”
“COSA?”
“si, è morto… scusami Laura”
“NOOOOO”
“mi dispiace, ma dovevo dirtelo; vieni qui all’obitorio per il riconoscimento, sbrigati che è solo”
Roberto Rossellini, Anna Magnani, Ingrid Bergman: ovvero il triangolo che fece scalpore, suscitò clamore, andando a scuotere la morale retriva e bigotta dell’Italietta che arrivava ai primi anni ’50, in bilico tra macerie e ricostruzione, ma al tempo stesso proclive, come per un’indole endemica, ad appassionarsi a vicende che presupponessero di prender partito, sia che si trattasse di elegger beniamino uno fra Coppi e Bartali, sia che bisognasse pronunciarsi su monarchia e repubblica.
L'altra nascita di una nazione. Django unchained di Tarantino
Written by Delio SalottoloNon c’è che dire, un film di Tarantino è sempre un film di Tarantino, e quindi va preso e accettato per quello che vuole offrire e dare, e va goduto per quello che intende mostrare. Lo si sa fin troppo bene, Tarantino è uno che ha studiato in maniera anticonvenzionale, non è un “regista” laureato, ma uno che, cresciuto senza padre e con un madre giovanissima che gli faceva vedere sin da bambino di tutto, la sua formazione l’ha fatta in un negozio che noleggiava videocassette. Il suo cinema è allora sempre e comunque puro divertimento, anzi il suo cinema è geniale proprio perché ha per oggetto costantemente l’ironico gioco sullo stesso strumento (non a caso dov’è che in un attentato muore Hitler in Inglourious Basterds? In un cinema, ovviamente) e una passione smodata per i film di serie B, specialmente quelli italiani.