“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 21 November 2018 00:00

“First Man”: un piccolo passo... verso la noia

Written by 

Era il 21 luglio del 1969 quando Neil Armstrong metteva piede sul suolo lunare. Una data storica, un momento epico seguito in diretta tv in tutto il mondo. Un punto segnato dagli Americani nella corsa allo spazio intrapresa con la Russia negli anni della Guerra Fredda.
31 ottobre 2018: esce al cinema First Man, quarto film da regista per Damien Chazelle (Whiplash, La La Land) che sente il bisogno raccontare ancora una volta l’impresa. E lo fa rinnovando il sodalizio, stretto con il grande successo di La La Land, con Ryan Gosling che veste i panni di Neil Armstrong.

Chazelle, regista e sceneggiatore, abbandonato il film musicale, è ora alle prese con tutt’altra materia e la sua regia sente il peso di tanta responsabilità. Decide di non raccontare semplicemente lo sbarco sulla luna (magari lo avesse fatto!) a cui dedica circa una ventina di minuti alla fine (agognata) della pellicola, ma di rivelare l’uomo Armstrong, tanto ricoperto di gloria dalla NASA, quanto tormentato nel privato. È la morte prematura della figlioletta a causa di una brutta malattia, infatti, a spingere l’ingegnere aeronautico a partecipare al programma Gemini, il secondo messo in atto dagli Stati Uniti per sviluppare la tecnologia necessarie ad affrontare i viaggi spaziali e, successivamente, ad accettare l’incarico di comandante della missione Gemini 8. È forse il tentativo di anestetizzare il dolore per la perdita subita che lo spinge ad andare avanti nella missione anche di fronte ai diversi fallimenti e alla morte dei suoi colleghi durante le simulazioni di volo. Si percepisce chiaramente la volontà di scavare nella mente e nel cuore del protagonista e di dare alla storia una connotazione decisamente più intima mostrando l’aspetto privato dell’uomo pubblico Armstrong.
Peccato che, nonostante gli sforzi, lo spettatore finisca per trovarsi di fronte a 138 minuti di silenzi o, nella migliore delle ipotesi, di discorsi frammentati, frasi lapidarie e domande che cadono nel vuoto senza ottenere risposte. Si fa un po’ fatica a seguire il film che va avanti in un’alternanza tra privato e pubblico e che vede il protagonista dividersi tra le simulazioni di volo e la famiglia da cui è sempre più slegato. Il tutto raccontato in soggettiva, attraverso primissimi piani claustrofobici, costringendo lo spettatore a seguire il repentino spostamento della telecamera da una parte all’altra, con il risultato (per i deboli di stomaco) di sentirsi a bordo di un peschereccio in balia delle onde di un mare forza sette.
È a questo punto che in un certo tipo di spettatore (forse un po’ semplice e di poche pretese) comincia a farsi strada l’idea di abbandonare la sala. “Tanto so già come finisce”. Ma il sospetto che si tratti di un film che lascerà il segno si insinua nella sua mente lo costringe a resistere fino alla fine, “in fin dei conti con cotanta materia per le mani non si può fare un brutto film!”. Questi, più o meno, sono i pensieri che passano per la testa di quel certo tipo di spettatore mentre cerca di resistere, incollato alla poltrona (per fortuna comoda) del cinema, lottando contro sonno, noia e mal di mare. E finalmente, dopo la descrizione dettagliata di circa otto anni di preparativi, di studi e di errori tecnici, di morti inutili, arriva il momento della missione. Si parte! Si va sulla luna! Allora lo spettatore riacquista fiducia nella pellicola e si mette dritto sulla sua poltrona per non rischiare di perdersi il gran finale travolto da quella sonnolenza che ha cercato di combattere per quasi due ore. E poi... in una manciata di minuti succede tutto. Inizio e fine della missione. “Un po’ tirato per i capelli ma suggestivo... Ok, adesso possiamo andare”. Ma non è ancora il momento di alzarsi dalla sedia perché c’è l’epilogo. Si... anche l’epilogo, come se dopo due ore e dieci se ne sentisse il bisogno. Prima di partire per la luna, il nostro eroe aveva lasciato a casa una moglie sola con due figli, preoccupata, arrabbiata e in ansia per la probabilità di rimanere vedova. Aveva lasciato una famiglia in cui non si rispecchiava e più e che non lo riconosceva più. E, allora, bisogna rimettere le cose al loro posto. Regista (Damien Chazelle) e sceneggiatore (Josh Singer) ci tengono a chiudere il cerchio e a dare un finale a tutte quelle situazioni che avevano lasciato in sospeso. Grazie, ora sì che è arrivato il momento di alzarsi. Nel frattempo si è fatta ora di cena...

 

 

 

First Man
regia Damien Chazelle
soggetto James R. Hansen
sceneggiatura Josh Singer
con Ryan Gosleng, Claire Foy, Corey Stoll, Pablo Schreiber, Jason Clarke, Kyle Chandler, Christopher Abbott, Patrick Fugit, Ciarán Hinds, Lukas Haas, Shea Whigham, Ethan Embry, Olivia Hamilton, Gavin Warren, Connor Colton Blodgett, Bryan D'Arcy James, Cory Michael Smith,Brady Smith, William Gregory Lee, Skyler Bible, John David Whalen
fotografia Linus Sandgren
musiche Justin Hurwitz
costumi Mary Zophres
produzione Temple Hill Entertainment
distribuzione Universal Pictures
paese USA
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2018
durata 141 min.

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook