Siamo in un’ipotetica Vienna, priva di ogni connotazione; uno dei personaggi vestiti di scuro è Angelo, uomo di fede e burocrate integerrimo, a cui il Duca Vincenzo ha lasciato il governo della città fingendo di dover partire. Vincenzo è un uomo giusto ed onesto ma la troppa libertà che ha lasciato ai suoi cittadini ha portato a una degenerazione dei costumi ed al lassismo morale. Per questo motivo Vincenzo resta in città celandosi nelle vesti di un monaco per osservare i cittadini da un altro punto di vista. In un’aula di tribunale si assiste al piglio rigido e manicheo con cui Angelo giudica un giovane, Claudio, reo non tanto per aver commesso il crimine della fornicazione, assai diffuso, ma per essersi fatto scoprire ingravidando la sua promessa sposa Giulietta.
Dietro una quinta di sinistra compare una grata dietro cui vi è Claudio che non riesce ad accettare la condanna a morte sfogandosi con Lucio. A questa conversazione assiste il finto monaco Vincenzo, che decide di riparare a questa integerrima tirannia a cui è giunto il severo Angelo.
Seguendo la logica scespiriana per cui il Potere è in grado di contaminare anche gli animi più probi ed onesti, Angelo esercita il suo ruolo con miopia e pedanteria, godendo dell’esercizio stesso del Potere, perciò la sua ipocrita falsità è manifesta nel rigore forzato che non gli fa concedere alcuna grazia. Ma Angelo va oltre, perché si spinge fino al ricatto barattando la vita di Claudio con il possesso del corpo di Isabella, novizia e sorella del giovane condannato a morte. È Lucio a suggerire ad Isabella di recarsi da Angelo per indurlo in tentazione: cosa che, com'è per la recita di un copione, puntualmente avviene.
Isabella tenterà però onestamente di ottenere la grazia per il fratello, pregando e supplicandolo, ma questo non farà altro che accrescere la lussuria del governante fino al ricatto finale. Aiutata dal monaco Vincenzo, si troverà un modo per ingannare Angelo e rimediare ai suoi errori, commessi anche nel passato: così Vincenzo potrà svelare il suo mascheramento e mettere ordine e giustizia in città, qui dove un bieco rigore aveva preso il sopravvento. Vincenzo si mostrerà saggio e giusto nella sua sentenza, metterà ordine nelle vite di ognuno seguendo lo stesso metro di comportamento di chi aveva giudicato in precedenza, Misura per misura, appunto.
I corsivi dicono dell'esaltazione della teatralità, in coerenza con l'opera scritta da Shakespeare, che è un insieme di dramma dialettico e di commedia nera. Perciò la messinscena viene fondata sull’interazione dialogica dei personaggi, dando viva forza ai dialoghi prima ancora che alle azioni sceniche o ad una plausibile ricostruzione scenografica, invece determinata per dettagli (la grata da galera, le sedie, un inginocchiatoio). Nel complesso lavoro di compagnia non tutti i personaggi mi sembrano scolpiti con uguale profondità; colpiscono il Lucio interpretato da Stefano Jotti e l'Angelo di Luciano Dell'Aglio, che è pallido e macina a labbra strette le commenti e frasi che sembrano sentenze piene di dubbi e di accortezza e che invece nascondono (per rivelarla) l'invelenita e progressiva corruttela del Male: “Quando non siamo in pace con noi stessi le cose non vanno come vorremmo”. Perfetta inoltre Alessandra D’Elia, nel ruolo di Isabella.
Sicuramente il taglio operato dalla regia su alcuni punti del testo lo ha reso più concentrato e più agile, focalizzando il lavoro sul concetto di Potere, sulla funzione assunta dagli attori, sui nuclei fondanti della storia scritta da William Shakespeare
Misura per misura
di William Shakespeare
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con Federica Aiello, Giovanni Battaglia, Agostino Chiummariello, Michele Danubio, Alessandra D’Elia, Luciano Dell’Aglio, Stefano Jotti, Gennaro Maresca, Vittorio Passaro, Maria Scognamiglio
impianto scenico Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
assistente alla regia Flavia Francioso
tecnico luci Lucio Sabatino
in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli
durata 1h 20’
Napoli, Galleria Toledo, martedi 15 marzo2016