Michele Di Donato
Belgio, istruzioni per l’(ab)uso
Mi era capitato di incontrare Jan Fabre lo scorso settembre, mentre era di passaggio a Napoli, ritrovo un suo spettacolo al Politeama nel corso del Napoli Teatro Festival edizione 2017. Da quell’incontro conservo un’immagine mitigata dell’artista dissacrante che la vulgata dipinge, un’impressione che volge più verso l’idea un personaggio dall’inventiva talentuosa ma anche furbesca.
Il passato che precipita nel presente
È un viaggio della memoria interessante quello che intraprende Maurizio Igor Meta, è un viaggio a ritroso che prova a ripercorrere i passi di chi, partito alla volta dell’America in cerca di una prospettiva di vita migliore, ha lasciato dietro di sé la labile traccia, sbiadita dal tempo, di una storia che merita di essere raccontata, perché contiene parte di un’essenza interiore, perché dà corpo a quell’istanza mai sopita di cercare capire chi siamo guardando da dove veniamo.
Se il teatro diventa un ghetto
È una domenica di maggio, le stagioni teatrali volgono al termine e si prova ad intercettare gli ultimi spettacoli significativi a cui offrire lo sguardo e tradurlo in testimonianza. Bambolina, produzione di Cerbero Teatro in scena al Nest, è uno degli ultimi fuochi di stagione, prima che le programmazioni di sala lascino il passo a festival e rassegne estive.
Per parlare di Bambolina parto da due momenti che mi colpiscono in modo significativo: l’inizio e la fine. O meglio: prima dell’inizio e dopo la fine. Prima dell’ingresso in sala noto un pubblico mediamente giovane, anche molto giovane (qualcuno ha ancora addosso il completino da calcio e le scarpette, dopo aver trascorso la domenica pomeriggio a giocare a pallone per le strade); alla fine, quello stesso pubblico lo trovo in piedi ad applaudire entusiasta uno spettacolo teatrale.
Tre modi diversi di deludere
Il mio Napoli Teatro Festival, edizione 2017, comincia con un filotto di spettacoli nei cortili di Palazzo Reale, due al Cortile d’onore ed uno al Cortile delle carrozze, per la precisione. Sin dal primo appropinquarmi percepisco, rispetto alle più recenti edizioni della rassegna festivaliera partenopea che, almeno nell’approccio, qualcosa è cambiato: la città sembra “accorgersi” che c’è un Festival di teatro, lo percepisci e non è soltanto un discorso di cartellonistica, in una Napoli che peraltro, coi suoi cantieri di lavori in corso sembra uno scavo a cielo aperto; qua e là qualche drappo disteso sulle impalcature campeggia a dichiarar presenza del Napoli Teatro Festival.
Siena, le finali di In-box
Siena: uno di quei gioielli sopravissuti pressoché intonsi al Medioevo, con le sue fattezze e le sue atmosfere, con le sue mura che traspirano secoli di storia, i suoi edifici del centro che ti trasportano in un’aura atemporale... l’attraversi e ti sembra di farlo coi fratelli Gambi narrati da Federigo Tozzi... non ne condividi le preoccupate frustrazioni d’un tempo ormai remoto, ma immagini i loro stati d’animo e ti par di vederli lì dove una narrazione primo novecentesca li ha collocati... è Siena, ed è bella e avvolgente come una spirale, chiusa e arroccata come un’arnia.
Ragionando su Frosini/Timpano
Due spettacoli in due sere. Acqua di colonia e Carne, andando in scena fra Salerno e Caserta, si offrono in visione come due lavori che, pur nella sostanziale diversità di forma e contenuto, suggeriscono una continuità poetica ed espressiva della coppia artistica formata da Elvira Frosini e Daniele Timpano.
Arte o fuffa?
Assistere a Not Here, Not Now di Andrea Cosentino vuol dire confrontarsi con due livelli di fruizione: uno epidermico, in cui la logorrea affabulatoria, le gag e le trovate inducono al riso mediante una comicità intelligente; l’altro, sottilmente – e a tratti anche non sottilmente, ma proprio dichiaratamente – argomentativo, facendosi portatore, innervandolo sulle note del comico, di un ragionamento acuminato su una questione cogente.
Dalla verità alla realtà
Un giallo? Forse... Un dramma delle periferie? Chissà... Nessuno può tenere Baby in un angolo di Simone Amendola e Valerio Malorni suggerisce queste prime domande, per poi, progressivamente allontanarti dalla mente la necessità di una risposta univoca e di una catalogazione di genere. Perché parlandoti di un efferato fatto di cronaca e delle possibili verità che lo compongono, ti sta in realtà parlando di tutt’altro: sta costruendo, attraverso un meccanismo di scrittura di raffinata acutezza, un ragionamento profondo sull’essenza dell’animo umano e su come la verità possa essere una e molteplice, smussata e plurima e non necessariamente un monolito granitico e monodimensionale
Del demone che regalò il paradiso
10 maggio 1987 – 10 maggio 2017: trent’anni esatti dal Primo Scudetto. Chi non l’ha vissuto non può capire fino in fondo; chi non è napoletano, chi non conosce l’intima essenza di questa città ben difficilmente può penetrarne l’immaginario e comprendere cosa quel momento abbia rappresentato per una città e per un popolo atavicamente portato a mescolare vita e fantasia, sogno e realtà, sacralità fideistica e laicità profana.
Donne che corrono incontro alla vita
Ritorni e ritrovi: ritorno al Magma Teatro Club, spazio grazioso di familiare accoglienza e piccola oasi di passione teatrale, dove Libero de Martino e Donatella Faraone Mennella hanno in breve creato e fidelizzato un pubblico assiduo e attento, a testimonianza del fatto che un buon lavoro può attecchire anche nella “provincia addormentata” di prischiana memoria. E ritrovo Vernicefresca – dopo aver visto il loro ultimo lavoro (Ho.me) – le cui vicende teatrali continuano ad appassionarci per i paradossi amministrativi contro cui costantemente cozzano le loro iniziative, che altrove sarebbero ordinariamente lodevoli, mentre in quel di Avellino – per qualcuno – sembrano quasi rappresentare un fastidio, se non addirittura un problema per la comunità, se è vero (come è vero) che un non meglio identificato comitato cittadino si è recentemente mobilitato presentando istanza al Comune per farne interrompere le attività formative (misteri irpini…).