“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 17 June 2019 00:00

Sensibilità antica e moderna al MANN

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Il “salottino” centrale abitato da modelli scultorei e citazioni, all’interno dell’ampio spazio che accoglie al museo, sancisce il concetto di atelier del maestro, officina di idee e di studio incessante, introducendo alla trionfale maestà della Sala della Meridiana, al piano nobile. Si sale, come di consueto, salutando Ferdinando IV di Borbone re di Napoli (Ferdinando I re delle Due Sicilie), il quale veglia sulle ali rampanti del monumentale scalone sotto forma di imponente scultura, proprio alla maniera in cui Antonio Canova l’ha plasmata nel 1800.

Infine si incontra ancora una volta, ed è già la terza, il Canova. Amore e Psiche, Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice (1808), modello della statua in marmo conservata alla Galleria Borghese di Roma, Le Grazie (1812-1816), la Maddalena penitente (1793-96) da Genova, e altre fra creazioni in marmo e in gesso in prestito dall’Ermitage, insieme a diverse opere grafiche (preziosi i disegni del maestro e la luce nell’illustrazione del suo studio per mano di Francesco Chiarottini, dai Musei Civici di Udine), si danno appuntamento in questa raffinata corte interna al palazzo, racchiusi nell’arioso e aulico spazio, delimitato dalla cornice di eleganti dipinti e fregi che costella le mura perimetrali di una camera troppo immensa per non essere luogo, troppo intima per appartenere a territori esterni o lontani dagli uomini.
Ricche decorazioni le osservano dal solaio affrescato, e la meridiana che corre perpendicolare sul pavimento, tracciata fino al tramonto da un raggio di sole, è parte dell’ambiente quanto gli attuali e passeggeri ospiti, bianchi come fantasmi, compatti come pietra, ma vivi come animate presenze. I personaggi, stanti, inginocchiati o distesi, non si guardano fra loro, ma sentono la complice vicinanza degli altri, come parti di una grande e largamente disseminata famiglia. Sono leggibili nell’insieme, questi organismi distinti, autonomi nelle loro personali fattezze e nel loro “vissuto”, e danno vita a vicendevoli corrispondenze pur restando soli e indipendenti, ognuno all’interno di un mondo unico, stabile ma irripetibile, regolato dagli stessi materici eppure imponderabili principi degli altri. Accostandosi a ciascuno di essi, o girandovi intorno, si percepisce il calcolo di un artefice che ha cercato in pochi, delicati particolari, il perfetto intaglio di un equilibrio altrimenti irrigidito, l’espressione di un effimero che insieme all’imperituro profilo di una forma segna l’infinito ciclo dell’esistere, come nella minuta fragilità di quell’ala di farfalla che la Psiche eternamente fanciulla tiene sospesa fra le estremità di nobilitati polpastrelli.
La grandezza risiede nel non aver contaminato l’idea pura con l’istante, e al contempo nel non aver ucciso l’arte con la sterile fissità dell’idea, sperimentando nell’idealizzazione classica la sensualità che diveniva moderna, in una Paolina consapevole di non poter più essere la dea degli antichi, ma di acquisire in quell’ora e per sempre, dal momento in cui veniva raffigurata per mano del suo scultore, lo stesso esatto potere di Venere. Ed è così, che sotto piatte e ampie lampade circolari, il forte cono di luce rischiara ogni corpo procreato nell’atto di un lavoro solenne e consistente, mettendone nel giusto risalto la levigatezza estetica e “caratteriale”, cifra imprescindibile di una compiutezza che rifugge la staticità mortuaria. È così che, ancora una volta nelle nostre storie e in quella del Museo Archeologico Nazionale, annulliamo grandi distanze di tempo guardando da vicino l’arte moderna, dentro uno scrigno saturo di antichità il quale arricchisce percorsi come questo dell’inimitabile accostamento diretto fra testimonianze di epoche così lontane fra loro, patrimonio incommensurabile della Napoli e della Campania legate a doppio filo con il Canova, che aveva scelto questi luoghi come privilegiata fonte d’ispirazione e meditazione, ed era da questi scelto per prestigiose commissioni e costante amicizia.
Attraversando un varco non definitivo, e sempre mutevole, questa realtà d’arte e storia ci fa spaziare liberamente dall’ancestrale al contemporaneo pur restando nel nostro posto, nella nostra dimensione. In quest’ottica va inserito l’intervento che alle spalle del Toro Farnese sceglie di esporre una teoria pressoché monocroma, salvo incisivi dettagli, di coppie di ritratti dei volti della statuaria classica facenti parte della collezione del museo, dei quali Gargiulo intercetta i principali segni, congiungendoli, attraverso una rielaborazione in digitale che trasla in un doppio “rivisitato”, alle identità di artisti, intellettuali e star dell’epoca moderna. Ogni vita è legata alle altre, e se Posidonio “scopre” Schiele, un ritratto di ignota scopre Klimt, e Pseudo Seneca Einstein, noi guardiamo occhi appartenenti a quelle personalità e alle maschere scaturite dalle loro stesse opere, o immortalate da fotografie e dipinti divenute icone.
A loro volta tali sguardi ci osservano dall’alto di una consapevolezza per molti dei quali derivante dall’essere trapassati, in aggiunta alla coscienza del ruolo che noi stessi abbiamo destinato alla loro emblematica immagine. È un gioco disinvolto quello di Senza tempo, che restituisce l’espressività sanguigna di esseri umani a noi più vicini, anch’essi figli del nostro oggi e, o fautori di quella cultura di cui noi siamo figli e per certi versi reduci, a facce autorevoli ed indecifrabili, la cui solidità, insieme mortale e immortale, è sancita dal freddo eternare del marmo. Una sacrale rigidità qui stemperata o trasfigurata nella vivezza di temperamenti dalla nostra prospettiva molto più riconoscibili, e il cui impeto risuona fino ai nostri giorni, accompagnato dall’indelebile e misteriosa orma dei loro antichi ospiti.    





Canova e l’Antico
Opere in marmo, gessi, bozzetti, disegni, tempere
MANN − Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Napoli, dal 28 marzo al 30 giugno 2019

Senza Tempo
Fotografie e grafica digitale

Di Gianluigi Gargiulo
MANN − Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Napoli, dal 5 al 30 giugno 2019

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