“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Febbraio 2013

È difficile parlare di uno spettacolo di Pippo Delbono. Tiro un bel respiro. Chiudo gli occhi. Cerco di mettere un po’ di ordine nel fluire di emozioni. Cerco di mettere un po’ a fuoco quello che si intravede, i frammenti di realtà pensiero, essere, vita, morte, dolore, e ancora vita. Cerco di dare un ordine. Ci rinuncio. Provo a seguire un ordine narrativo? Forse, ma sciuperebbe il godimento dello spettacolo. Tiro di nuovo un respiro. Chiudo gli occhi. Sento fluire di nuovo l’energia trasmessa.

Wednesday, 27 February 2013 15:56

Voce di dentro

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Si inizia con un sospiro rarefatto che diventa sempre più denso, secca è poi la Voce che sentenzia una verità tutta interiore. Nella psiche umana ci sono i motivi reali delle decisioni, nel profondo dell’umano si celano gli impulsi rimossi, che una volta saltati i meccanismi inibitori, esplodono in flusso di coscienza incontrollato. Si avverte l’esigenza di realizzarsi pienamente, di riappropriarsi di un passato per dirigersi verso il futuro, ma il passato è “solo il tempo che credevi tuo” e le aspettative scolorano in futuro che è un nodo inestricabile.

Tuesday, 26 February 2013 23:17

La signora in bianco

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Secondo appuntamento della rassegna cinematografica Visioni a cura del Centro Donna di Avellino. Tel Aviv, oggi. Shira, figlia minore di una famiglia ortodossa e appena diciottenne, è promessa sposa di un giovane (poco più grande di lei, se non coetaneo), in attesa di divenire zia: sua sorella maggiore Esther, moglie di Yohai, è in dolce attesa. Completano il quadro familiare un fratello e una sorella più grande, Frida – ancora single – una zia menomata fisicamente (ma saggia e moderna) che accudiscono con amore, la madre e il padre che riveste un ruolo importante nella loro comunità religiosa.

I segreti mediterranei si svolgono in silenzio, e si riavvolgono nel colore. Le tele di Longobardo sono dolcemente bersagliate da questa materia leggerissima, ariosa, amena e poi, nella medesima opera, pure abbondante, densa, piena, ma comunque ancora (sempre) un po’ sfuggente. Sarà per il taglio dell’ “inquadratura”, sarà per la grazia ferma e scontrosa dei toni e delle tinte, i quali si incontrano su increspature palpabili, che emergono dal supporto e “schiumano”, toccandosi, talvolta, così come si toccherebbero gli argini in cima a due piccole onde sulla superficie del mare. Fatto sta che una consistente cifra di indefinitezza è mantenuta.

Premessa. Sono una donna. Non sono mai giunta a comprendere la ratio e la dinamica del fuorigioco. Affronto quasi con ansia da prestazione uno spettacolo sul calcio, sul doping nel calcio. Entriamo. Fabio e Damien sono già in scena. Riscaldamento durante la presentazione. Il teatro apparecchia sé stesso e comincia a riscaldare anche noi, pubblico eterogeneo, più o meno francofono e francofilo. Colori fosforescenti nel buio. Si sente un battito pulsante, come un battito cardiaco. Poi comincia ed è una lunga cavalcata. Saltiamo in groppa allo spettacolo e ne scendiamo solo alla fine. Abbiano attraversato decenni. Abbiamo traversato una società in trasformazione. Trepidiamo, vediamo materializzarsi il mondo, il sudore, l’odore, le sensazioni collettive. Miracolo del teatro. Miracolo del suono che si fa parola, del gesto che si fa luogo e spazio e popola il mondo in una nuova creazione.

Tuesday, 26 February 2013 12:17

L'oscurità quasi assoluta

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Ne La città involontaria di Anna Maria Ortese non c’è alcuna misura precisa del reale: i centimetri non sono centimetri, i numeri non corrispondono ai numeri. Eppure l’autrice prova la normalizzazione scientifica del proprio racconto (il quarto de Il mare non bagna Napoli) iniziando con un calcolo topografico che sa di misurazione oggettiva: i tre piani più un terraneo; le trecentoquarantotto stanze; i quattro corridoi e, per ogni corridoio, le ventotto lampade, di cinque candele ciascuna; una larghezza che va dai sette agli otto metri; le ottantasei porte, quarantatré a destra e quarantatré a sinistra, dietro cui sono stipate da una a cinque famiglie, con una media di tre famiglie per vano, per un numero complessivo di tremila persone.

Monday, 25 February 2013 18:56

Legge e segreto: spunti di riflessione

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Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero,

né l’abitudine, nata da numerose esperienze, su questa via ti forzi

a muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba

e la lingua, ma con la ragione giudica la prova molto discussa

che da me ti è stata fornita.

 

(Parmenide, Sulla natura, Frammento 7)

 

 

Conviene, a volte, iniziare dall’epilogo. A partire dalla parola che traccia i confini, infatti, ci si pone implicitamente al di fuori del fenomeno che si va indagando. Ci si pone, diciamo, al di sopra di esso: e si sa che dall’alto la vista (che non a caso in greco è θεωρία, theorìa) è migliore, più bella e più ampia. Delineare la teoria di un oggetto significa dunque coglierlo nel panorama complessivo di tutti i suoi sviluppi. Non possiamo, qui, tracciare una teoria della legge e dei suoi rapporti col segreto, negli sviluppi del pensiero occidentale. Possiamo pensare, al massimo, di inquadrare dei nodi focali, dei casi esemplari: a partire dunque dal tragico epilogo (Kafka), per tornare al trionfo (Hegel) e, da qui, tentare un approccio genealogico. Il senso di questo percorso torna, infine,  ancora una volta sui suoi confini e sull’altezza del nostro sguardo, per capire se davvero possiamo dirci esterni a certi paradigmi di pensiero.

Il teatro non visto in teatro è un momento ancora più forte di intimità collettiva e condivisione artistica.
Per lo spettacolo Salomè, regia di Stefano Jotti, in scena al Palazzo de’ Liguoro a Napoli, nel quartiere Sanità, sembra proprio di essere calati in un banchetto romano o all’interno di una corte ottocentesca. Si ha quindi una sensazione molto familiare e le persone sembrano conoscersi tutte da tempo. Nella città di Napoli se ne vedono spesso di situazioni così grazie alla ricchezza di edifici storici, spesso allestiti per eventi.

Monday, 25 February 2013 18:11

Chi è l'altro? L'inferno!

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“Chi è l’altro? L’inferno!”. Nella nostra smania citazionista di adolescenti che s’affacciavano al mondo dello scibile, nel nostro orgasmo di sapere voracemente sunto da ogni fonte in cui ci si imbattesse, era questa una delle frasi più ricorrenti che ci piaceva sciorinare. Era a effetto, faceva scena; e poco cale se il senso profondo che la permeava ci apparisse sostanzialmente nebuloso; lo avremmo appreso solo crescendo, allorquando la nostra formazione culturale si sarebbe adoperata ad acquisire la dimensione della profondità. La frase era desunta da Jean-Paul Sartre e la profondità di senso che si citava condensata in uno stralcio dotato di molta approssimazione e poca veridicità filologica, è tutta svolta in Porta chiusa, drammaturgia sartriana per l’occasione messa in scena dalla compagnia romana Officina Dinamo.

Monday, 25 February 2013 18:10

Pezziduomo o uomini a pezzi?

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Arrivo in teatro sotto la pioggia, nell’attesa per le vie adiacenti si sente una musica neomelodica ad alto volume, c’è ancora un’atmosfera natalizia per le strade di Napoli alcuni negozi hanno le luci accese, penso che qui il tempo sembra non passare mai.
Entriamo, siamo in pochi, in scena un tavolo, un proiettore che dall’alto illumina ad occhio di bue una sedia che preannuncia la presenza di un attore, un uomo o forse solo un pezzo di sé. Entra l’attore Giovanni Battaglia, con fare disinvolto, alla maniera dei menestrelli shakespeariani ad esprimere la sua desolazione per l’assenza di pubblico, adducendo a sé stesso la causa di tale mancanza ed elogiando i pochi presenti come spettatori speciali, meritevoli di ricevere la sua presenza.

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il Pickwick

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