Mansioni quotidiane da espletare, con noia oppure con rigoroso senso del dovere, sorridendo o imprecando, in un minuzioso elenco di verbi all’infinito che aprono la maggior parte delle composizioni: Richiamare, Restituire, Prendere, Imparare, Ricordarsi, Aspettare, Andare, Cercare, Continuare... Esortazioni che l’autore rivolge a se stesso, quasi fossero un incoraggiamento ad affrontare la giornata particolare e l’esistenza in generale senza lasciarsi sopraffare dall’angoscia, dalla distrazione, dall’insofferenza.
Nelle piccole incombenze casalinghe: “Cambiare la lampadina alla madonna / con bambino fulminata sulle scale. / Scendere in cantina per verificare / se scatta il numerino al contatore. / Tornare su a controllare se funziona. / Se ancora non si accende bestemmiare”.
Nelle questioni sentimentali: “Prendere una pillola ogni sera / per dormire. Trasformare / la disperazione in infelicità. / Scegliere quale preferire. / La dottoressa riceve il giovedì”; “Farsi consegnare da una donna la parola / amore riparata. Non dimenticarla accesa / non guardarla fissa non farla fulminare. / Ogni quattro anni un controllo generale. / Se si rompe ancora contattare un cane”.
Negli impegni sociali: “Arrivare ultimi per disperazione. / Dopo la disfatta rifiatare. Vestirsi / bene per andare a ritirare il primo / premio di consolazione: un plotone / d’esecuzione di bolle di sapone”; “Scorrere tutte le foto con le dita. / Lasciare che sfili lenta la parata / di sorrisi a falcata regolare. / Aspettare la banda musicale / salutare majorette e musicisti. / Dimenticare quanto si era tristi”.
Ironia e autoironia, nei versi di Bajani: l’amara constatazione dei fallimenti propri e altrui, la non adesione dei progetti ai risultati, il perpetuo perdere e perdersi nello stillicidio di giorni, incontri, convenevoli e vano affaccendarsi. La maschera da indossare ‒ pena una qualsivoglia condanna o esclusione ‒ trova una sottolineatura stilistica nell’uso reiterato, quasi parodistico della rima, tipico delle filastrocche, degli strambotti, dei canti carnascialeschi.
C’è sarcasmo ma c’è anche dolore, non appena si affrontano i ricordi e le figure più care dell’infanzia, nel rimpianto di un’ingenuità tradita, di un’attesa delusa. Per cui se il frequente aculeus finale può sterzare nel sogghigno, onde evitare qualsiasi retorica o commozione, sa anche trattenersi quando valuta intellettualmente l’arcana responsabilità della parola, il suo segreto incanto: “Curare una parola che sta male. / Se zoppica fasciare la zampetta. / Non avere fretta di farla volare. / E nell’attesa darle da mangiare”; “Far figliare le parole, portarle / in giro al momento del calore. / Farle montare per strada / guaire e poi tornare a casa. / Vederle gonfiare giorno dopo / giorno. Aspettare la nidiata”; “Non partire senza lasciare una / sporta di parole per chi resta. / Dire ‘questa è per la mattina / quest’altra invece per la sera’. / Lasciare una sporta a parte / per chi la notte nel buio si dispera”.
Andrea Bajani
Promemoria
Einaudi, Torino, 2017
pp. 62