“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 April 2022 00:00

Tre poeti

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L’editore milanese Marco Saya ha coraggiosamente scelto di dedicare la sua attività alla poesia, arte poco redditizia e di difficile divulgazione.

Nel suo catalogo sono compresi sia opere classiche (da Esiodo a Leopardi, da Laforgue a Yeats, da Poe a Rilke), introdotte da illustri e competenti prefatori, sia volumi di critica letteraria, e soprattutto testi di autori contemporanei. Tra di loro, i nomi di Sonia Caporossi, Nicola Vacca, Luca Vaglio, Maria Angela Rossi, Gabriele Galloni, Franz Krauspenhaar, Annamaria De Pietro, Giulio Maffii, Giorgia Meriggi, Andrea Carraro e di numerosi altri poeti, si sono segnalati a livello nazionale, ricevendo premi e attestazioni di valore.
Quest’anno, le edizioni Saya hanno proposto ai lettori i lavori di Antonio Bux, Francesco Gallina, Stefano Guglielmin.
Iniziando proprio da quest’ultimo (Schio, 1961), docente alle scuole superiori e fondatore del blog Blanc de ta nuque, possiamo affermare che il suo libro Dispositivi si distingue non solo per il pensiero ideologicamente critico sotteso alle composizioni, ma anche per la coraggiosa e provocatoria scelta stilistica, lontana dagli esiti lirici della tradizione letteraria italiana, estranea a facili accomodamenti e recuperi espressivi. I dispositivi cui si riferisce Guglielmin sono quelli messi in atto dalla cultura, dai media, dal potere politico e finanziario che ci dominano per determinare i nostri comportamenti quotidiani, le nostre scelte nel lavoro, nell’alimentazione, nella vita sentimentale e sessuale, nei rapporti comunitari, nel sistema scolastico, nelle abitudini riguardanti la salute. E, ovviamente, anche nella scrittura, troppo spesso asservita alle imposizioni del mercato editoriale. I versi, oscillanti tra il sarcastico, il rabbioso e l’amaramente rassegnato, dispensano lampi di consapevolezza, volontà di resistenza, desiderio di opposizione: “Non c’è ospedale o lente non c’è / olezzo o stridore che soccorra, ma dissenso vero o dispersione / per moto involontario: scegliere al bivio un senso provvisorio, / crederci, oppure tornare all’infinita diversione / ossia vivere, appunto”, “Smonto teorie e piccole chiese. Sbanco terra / promessa. Cerco garanzie sulla morte di Dio. / Offro in cambio collezione in plastica di falle / e reliquie, praticamente eterne”.
Francesco Gallina (trentenne, anch’egli docente di lettere alle superiori, ricercatore all’Università di Parma e saggista), con Medicinalia approfondisce, attraverso l’indagine sul mondo scientifico e ospedaliero investigante sintomi e cure di morbi e patologie varie, il collegamento che unisce la poesia – malattia dello spirito – con il dolore del corpo. Ogni singola infermità radiografata dall’autore, trova quindi la sua corrispondenza in una sofferenza dell’anima, che la scrittura poetica è incaricata di sondare e possibilmente guarire. La poesia colta, esplorativa, cerebrale di Francesco Gallina, disserta di cellule, cromosomi, ossa, viscere; cita nomi di famosi clinici, genetisti, farmacologi, anatomisti, psichiatri (Netter, Milgram, Evans, Koebner...); elenca malesseri fisici di ogni tipo, dal raffreddore alla cataratta al morbo di Basedow; passeggia tra i reparti ospedalieri; illustra prodotti, articoli, macchinari, suppellettili presenti nei nosocomi. “Il museo delle armi: il divaricatore / di Beckman, il fissatello atraumatico, / l’enterostato, il mosquito (avresti preferito / un mojito, ma va be’), il passafilo, / il portaaghi, rovi di forbici e forcipi / e altri ordigni barocchi”, “a vetro smerigliato il polmone / radiopaco è una costellazione / nodulare di supernove / dense, come colonie / di biomasse a legno ceppi radici, / incielate lucciole nel parenchima”. Per constatare leopardianamente, infine, che il dì natale è comunque funesto, perché “non c’è cura dalla morte, ma dal mal che deriva / dal passare dentro un corpo”.
Antonio Bux (Foggia, 1982), traduttore, critico letterario, blogger e curatore di collane editoriali, nel suo Diario dell’intruso riporta il lettore in un ambito poetico più tradizionale, che utilizza risorse e metodi tipici del patrimonio poetico universale. Le descrizioni naturali di paesaggi ed elementi vegetali o animali si rincorrono di pagina in pagina (fiori, insetti, uccelli, condizioni atmosferiche o astrali); i sentimenti, assolutamente privi di aggressività, rancore o acredine, sono orientati verso la tenerezza di rapporti amorosi e consolanti memorie infantili; lo stile è piano, scevro di azzardi sperimentali, e affidato perlopiù a frasi paratattiche e ripetizioni, nella ricerca di un’equilibrata musicalità, e in un’atmosfera di pacata limpidezza che fa dubitare di qualsiasi estraniante o negativa intrusione: “Nei fischi // su in aria di un merlo / l’eco e la notte sono fuori / e tu devi imparare”, “c’è del tempo che mai si perde / quello d’una mano messa a sfiorare / le corde luminose a maggio del grano / nel verde che sale come onda di pace”.





Stefano Guglielmin
Dispositivi
Marco Saya Edizioni, Milano, 2022
pp. 58


Francesco Gallina
Medicinalia
Marco Saya Edizioni, Milano, 2022
pp. 105


Antonio Bux
Diario dell’intruso
Marco Saya Edizioni, Milano, 2022
pp. 176

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